Il presidente della Lazio, davanti alla Comissione Antimafia, racconta i rapporti con la tifoseria: "Ho subito situazioni pesanti, ma ora sanno che se sbagliano non c'è storia per nessuno". Ascoltato anche Preziosi: "Lo stadio è diventato una zona franca, si può fare di tutto"
"Tra consenso e legalità ho scelto la seconda, non sono mai sceso a patti. Oggi ritengo sia stata una scelta giusta che può essere perseguita da tutti. Certo, ricevo ancora oggi minacce telefoniche, anche sette-otto al giorno". Ad affermarlo è il presidente della Lazio, Claudio Lotito, davanti alla Commissione Antimafia. Lotito racconta quanto subìto sotto la presidenza biancoceleste: "Quando arrivai alla Lazio la dirigenza dell'epoca mi disse che avrei dovuto incontrare i tifosi. La cosa che mi lasciò perplesso è che mi fu chiesto se a Formello o altrove. Io risposi 'in mezzo alla strada'. Si presentarono tre soggetti, uno si presentò dicendo di chiamarsi Diabolik e io gli dissi di essere l'ispettore Ginko. Lui lì mi ha fatto capire usi e costume di tutto il sistema, dai biglietti omaggio alle trasferte pagate fino alle coreografie. Io non gli diedi la mia collaborazione e sono iniziate una serie di problematiche. Ho subito situazioni pesanti, camion con sterco di cavallo davanti casa, intimidazioni, affissioni, minacce; questo ha prodotto evoluzioni di carattere giudiziario. Sono abituato a vivere con serenità queste situazioni. Pensavano che assumessi un atteggiamento più morbido, io ho sempre detto in Tribunale come stavano le cose. Ora la tifoseria si comporta in modo corretto, sa che se sbaglia non c'e' storia per nessuno. Ancora oggi ricevo sette, otto telefonate di minacce al giorno. Sapete cosa faccio? Scrivo l'orario e presento tutto a chi di dovere: i responsabili vengono quasi sempre individuati".
Lotito, parlando del fenomeno della criminalità negli stadi, aggiunge: "Il problema non è il biglietto, il problema è l'elemento criminale: spaccio di stupefacenti, merchandising falso, reclutamento di persone per fare estorsioni e recupero crediti e c'è anche la prostituzione. I capi tifosi che possono avere quel tipo di attività spesso possono fare parte di un sistema molto più ampio come 'ndrangheta e camorra che utilizzano questo tipo di strumento. All'inizio questo fenomeno è stato sottovalutato dalle forze dell'ordine e anche dagli stessi magistrati, sono stati etichettati come reati da stadio ma non era così. Quando sono arrivato il merchandising era in mano ai tifosi, io l'ho messo nei negozi, ho creato una radio e una tv che hanno contribuito a cambiare la situazione".
"Scommesse da eliminare"
Il presidente della Lazio si sofferma poi sul problema scommesse in Italia: "Vanno tolte dal sistema, lo Stato da una parte chiede legalità, dall'altra incassa. Non va bene che lo Stato viva su un sistema malato, le sommesse sono deleterie". E sulla trattativa che riguardò l'acquisto di Beppe Sculli dal Genoa conclude: "Non c'è stata alternanza: nel 2011 un giocatore è andato via e avevamo una richiesta dall'allenatore che voleva Sculli; lo abbiamo chiesto al Genoa per la stagione 2010-2011. Dopo un anno con noi, pagato 650 mila euro, tra i contratti più bassi, il giocatore ha iniziato ad essere insofferente alla città di Roma e aveva problemi familiari. Ha espresso il desiderio di andare via e ci ha messo pure in difficoltà. Lo abbiamo dato al Genoa in prestito, col diritto di riscatto. Dopo lo abbiamo mandato a Pescara e infine se lo è ripreso Preziosi pagandolo 2,5 milioni".
Preziosi: "In altri stadi è impossibile fare quello che si fa in Italia"
"Ho potuto constatare, dopo 25 anni nel mondo del calcio, che c'è questo malcostume: lo stadio è diventato zona franca. È una zona in cui si può fare di tutto, si rimane impuniti, è questo quello che mi preoccupa". Lo dichiara il presidente del Genoa, Enrico Preziosi, anche lui ascoltato quest'oggi davanti alla commissione antimafia. "Le persone normali, il 95%, hanno paura, spesso non portano i bambini - continua Preziosi -. Quando ci sono risultati che non arrivano si coglie l'occasione per contestare. In realtà vengono fatte azioni delinquenziali, è questa la verità, tutto questo mi preoccupa. Non c'è mai stata una relazione tra la tifoseria organizzata e la società, io sono uno dei presidenti più contestati, potrei parlare di questo malcostume ma non della relazione tra la dirigenza, la società e la tifoseria, questo rapporto non c'è, è limitato a club che magari chiedono agevolazioni per pensionati e per chi meno abbiente, comunque non è qualcosa che mi vede coinvolto. I miei rapporti con la tifoseria non sono semplici, sono complicati, ci sono cartelloni 'Preziosi vattene' dappertutto, ma non ho mai avuto paura che qualcuno mi potesse colpire fisicamente".
"Certe cose succedono solo in Italia"
"In altri stadi è impossibile fare quello che si fa in Italia - prosegue il presidente dei grifoni -. Occorre dare un segnale, bisogna farlo capire subito: allo stadio si deve andare per vedere la partita e basta. La Digos è a conoscenza di "tifosi caldi", deve controllarli e governarli. Si cerca di usare il buonsenso per evitare scontri anche perché c'è una disparità numerica tra agenti e tifosi. I rapporti con la Digos sono di dialogo obbligato"
Il presidente, a proposito di presunti legami con la criminalità organizzata da parte di Sculli dice: "Giuseppe è un ragazzo preso dalla Juventus ed è sempre stato chiacchierato. Con noi ha disputato 4 o 5 campionati e ha sempre fatto il suo dovere, era ardimentoso in campo. Non so se gli proveniva dalla famiglia, ma a me non risulta che abbia connivenze con la Mafia. Il nostro rapporto era solo sul campo". Fu proprio Sculli l'unico a dialogare con gli ultras che avevano costretto i giocatori del Genoa a sfilarsi la maglia dopo la sconfitta per 4-1 contro il Siena nel 2012. "Ricordo - afferma Preziosi -, che era stato chiamato da un tifoso e parlava con lui in un orecchio, in un modo così plateale che mi aveva sorpreso, sembrava ci fosse un rapporto stretto tra loro". A proposito di quel match il numero 1 dei rossoblù conclude: "È stata un'umiliazione, una sconfitta per lo Stato, è umiliante consegnare le maglie a quegli ultrà. Non andava dato il Daspo ma la galera".