Nel giorno della triste notizia della morte di Aldo Biscardi, Alessia Tarquinio ricorda il direttore con cui ha iniziato a lavorare nel mondo del giornalismo: "Aldo ha accompagnato i campionati di tutti. Ci ha fatto crescere"
Dovrei ricordare la data. E’ stata una delle prime volte che sono andata in "onda". Non la ricordo. Come molte altre. So chi avevo al mio fianco. Fisicamente e metaforicamente. Due colleghe in studio, un padre orgoglioso e super critico a casa. Ricordo chi avevo di fronte, a chi stavo parlando proprio in quel momento: un uomo, un'istituzione, un colore di tinta mai visto prima. E neppure dopo. Era solo suo.
Come il suo modo di fare tv. Di fare sport, in tv. Avevo poco più di 20 anni. Per me lui era l’inizio della settimana. Biscardi, martedì, mercoledì, giovedì, venerdì, sabato, campionato. Era l’uomo che tutti aspettavano: per ascoltarlo, per criticarlo, per vedere cosa avrebbe inventato. La moviola, lo sgoop, non parlate tutti insieme al massimo due o tre alla volta che la gente a casa non capisce.
Neanche io capivo tanto eh, ma fingevo bene. Era il 2000 credo. E mi stordiva di domande: Pirlo gioca? (era la sua fissazione. Aveva visto lungo pur vedendo poco). Piccolè ma era fuorigioco? (hanno inventato il Var adesso, pensa se potevo essere precisa io guardando un monitor e pure da lontano). Non ha mai, mai, fatto un commento estetico. Ero una ragazza che voleva fare la giornalista. Che non si faceva chiamare giornalista perché non aveva ancora quel benedetto tesserino. Mi rispettava. E io lui. Ed io, io ero, in quel momento, al posto giusto. Su uno sgabello troppo alto. Perfetto per dondolare le gambe e sognare. Negli anni, nei corridoi, ho capito che ogni collega aveva una un ricordo, un aneddoto, una frase da citare. Aldo ha accompagnato i campionati di tutti. Ci ha fatto crescere.
Denghiu’ Aldo, "incrocia le dite" per noi.