La punizione di Ramirez, la lunga corsa di Politano e altre strenne natalizie dall'ultima giornata di campionato
Quelli di voi che hanno visto solo gli highlights di Milan - Atalanta potrebbero pensare che l’azione del 2 a 0, quella che ha portato al gol di Ilicic, sia un contropiede. In realtà si è trattato di un rilancio di Berisha dal fondo mentre il Milan era in pressione. La singola giocata che ha trasformato un’azione statica in una transizione, aprendo la difesa del Milan come una scatola di tonno, è un colpo di nuca, cioè qualcosa che non fa neanche parte della grammatica calcistica. Il rilancio di Berisha era un po’ troppo corto e basso ed è finito dalle parti di Gomez. L’argentino gli va incontro, pressato da dietro da Abate. In queste situazioni bisognerebbe innanzitutto evitare di perdere il pallone, ma Gomez fa l’unica cosa che permette di spezzare le distanze del Milan, cioè un colpo di nuca che allunga il pallone verso Spinazzola. A velocità normale non si capisce neanche cos’è successo; a un secondo replay il colpo sembra casuale; dopo un terzo replay è evidente che Gomez ha abbassato la testa di proposito per usare la nuca come un tappetino elastico su cui far rimbalzare la palla e prolungarla verso il compagno. Potremmo usare questa azione anche come una piccola metafora, per certi versi, della stagione di Gomez: sottile, quasi invisibile ma straordinariamente ricca di qualità in ogni sfumatura.
Questa più che una giocata di Cacciatore è una giocata del destino o, se preferite, del dio del calcio. Un dio che, però, non è esattamente come ci piace immaginarlo. Non so quanti di voi sono familiari al concetto molto poco natalizio di “funesto demiurgo”, che per lo scrittore rumeno Emile Cioran rappresentava l’idea di un creatore per niente benevolo, il solo creatore in grado di spiegare tra le altre cose la tendenza umana alla cattiveria. Per Cioran “la bontà manca di immaginazione” e non esiste ironia se si vuole essere buoni. Il dio del calcio che ha orchestrato il 22 dicembre di Fabrizio Cacciatore non può che essere un dio vendicativo e ironico, che ha punito Cacciatore per la sua esultanza senza freni, scatenata, scoordinata, sgradevole. Un dio che tiene anzitutto al senso del decoro e che attraverso il castigo di Cacciatore ha voluto darci un esempio di cosa succede se ci lasciamo andare, se ci sentiamo troppo liberi. O forse ha voluto punire Cacciatore per il suo coraggio, per aver superato le Colonne d’Ercole di un terzino normale, per aver colto il frutto proibito a quasi tutti i terzini destri: per essersi inserito in area e calciato di sinistro a giro sul secondo palo, anziché fare un passetto verso la riga di fondo e crossare per la punta, come si fa dalla notte dei tempi.
Cacciatore ha pagato carissimo la sua ambizione, scivolando appena cinque minuti dopo aver segnato il pareggio, franando faccia al suolo praticamente a partita finita e lasciando Mattia Destro da solo davanti a Mirante. Il dio del calcio ha letteralmente tolto il terreno sotto ai piedi di Cacciatore facendolo diventare l’assistman del gol con cui il Bologna, in 10 contro 11, ha vinto la partita. Ma il dettaglio più crudele e gratuito, che nonostante tutto il nostro scetticismo ci rende sospettosi che effettivamente ci possa essere un’intelligenza metafisica dietro a tutto ciò, è il gol annullato immediatamente dopo. Il Chievo batte e parte all’attacco, la palla finisce in area, c’è un tiro, una ribattuta, e la palla arriva sul piede di Cacciatore che segna. Sollievo, immediata redenzione. E invece no.
Fabrizio Cacciatore è uno dei migliori terzini della Serie A per numeri offensivi: oltre ai 2 assist già realizzati Cacciatore ha generato 21 Expected Assist (cioè nell’insieme dei suoi assist statisticamente avrebbero potuto portare a 21 gol), meglio di lui tra i terzini hanno fatto solo Kolarov (37 xA), Ghoulam (28) e Biraghi (27). Fabrizio Cacciatore non meritava una punizione del genere. Per quanto effettivamente, a guardare le azioni una dopo l'altra, faccia ridere.
Matteo Politano era in questa classifica anche nell’ultima puntata: segno che è in un grande momento di forma, che lo sta consacrando come una delle ali migliori del nostro campionato. Politano è addirittura nella propria area quando parte quest’azione, lo vediamo dribblare in maniera secca un primo giocatore dell’Inter, che aveva provato la riconquista in modo un po’ ingenuo, per poi involarsi sulla fascia destra.
Politano si fa praticamente tutto il campo. Per qualche secondo lo vediamo correre con la testa bassa, l’aria un po’ ingobbita, mentre al suo fianco Brozovic lo rincorre con fatica, portato in un terreno che non è il proprio. È una scena quasi da gara dei quattrocento metri, inusuale nel calcio. Una volta arrivato in una zona sensibile, Politano rallenta e alza finalmente la testa, è ancora troppo lontano, quindi riaccelera verso il fondo. È mancino quindi si potrebbe pensare che rientri sul sinistro, invece usa il piede debole per trovare Falcinelli. La palla è leggermente lunga e Falcinelli deve allungarsi fino a rischiare la sua stessa vita, considerando che sbatte sul palo con la nuca. Non è comune vedere un uomo rischiare di morire giocando a calcio, così come non è comune una corsa così puramente fisica come quella di Politano - non scontata per un giocatore così brevilineo - e la specie di acchiapparella che ha messo in scena sulla fascia.
I tiri da fuori sono una categoria ambigua: tutti i tiri da fuori sono in teoria una giocata meritevole di essere descritta, anche perché si tira meno da lontano e ne vediamo pochi rispetto a un tempo, al tempo stesso però ne abbiamo visti così tanti che è difficile ci stupiscano ancora. La punizione di Gaston Ramirez dopo un minuto e mezzo di gara contro il Napoli, con cui la Sampdoria è passata in vantaggio al San Paolo, è di quelle che ti fanno alzare in piedi con le mani nei capelli. Di quelle che ti costringono a guardare almeno un paio di volte i replay. Anzi, neanche guardandola una decina di volte si riesce a capire che tipo parabola abbia il tiro, quante volte sembri stia cambiando direzione. Il palo è quello di Pepe Reina, che vista la distanza ha messo solo tre uomini in barriera, ma salta in ritardo perché è impossibile capire dove tuffarsi. Il tiro di Ramirez va forte e teso verso l’incrocio scoperto, ma sibila in aria come se poggiasse su una corrente d’aria. Un tempo si girava il pallone in modo da colpire la valvola appositamente per dargli un effetto del genere, chissà che anche Ramirez non sia ricorso a questo trucchetto. O magari è solo un fine conoscitore dei venti del golfo di Napoli.
Gianluca Caprari ha compiuto da qualche mese 24 anni ma di lui il pubblico italiano sa già molto. Ci ricordiamo che è stato uno dei talenti più promettenti tra quelli usciti dal vivaio della Roma, della generazione di Florenzi, Ciciretti, Viviani, Verre. Ricordiamo il suo esordio tra i professionisti, in Champions League, con Vincenzo Montella sulla panchina della Roma. Ricordiamo anche che deve parte della sua fortuna a Zdenek Zeman, che lo ha lanciato col Pescara in Serie B, e a Massimo Oddo che, sempre con il Pescara, lo ha portato in Serie A e con cui. In molti però, a dicembre 2017, lo ricordano soprattutto per la cifra che ha pagato la Sampdoria quest’estate, 15 milioni che per alcuni si giustificano solo all’interno del contesto del contemporaneo passaggio di Skriniar all’Inter. Sembrano troppi 15 milioni per una seconda punta, o trequartista, che in ogni caso è entrato più spesso a partita in corso che dell’inizio. Coperto spesso dalle ombre di Duvan Zapata e Gaston Ramirez.
E però, Caprari sta giocando una buona stagione, all’altezza dei compagni più affermati e perfettamente a suo agio nel gioco tecnico della Sampdoria, forse la squadra di fascia media con più trequartisti in campo (che lo sono stati in passato o che lo potrebbero essere senza problemi). La qualità di Caprari nel contesto tecnico del Doria non è fine a stessa, così come non lo era in quello del Pescara, seppur in modo diverso. Nell’azione qui sopra Carpari si abbassa sulla fascia, lasciando Quagliarella da solo al centro dell’attacco, per aiutare la catena laterale di sinistra ad uscire dal pressing del Napoli nella propria metà campo. Prende lo spazio alle spalle di Hysaj in maniera molto intelligente e quando capisce che non ha il passo per lasciarselo alle spalle frena altrettanto saggiamente. A quel punto arriva Jorginho al raddoppio e Caprari si ritrova con 3 lati su 4 coperti: davanti e dietro da maglie azzurre, a destra dalla linea laterale. Solo un’invenzione, gli permette di tornare dentro al campo, un gioco di suola con cui si palla la palla dietro alla gamba sinistra usandola come perno per girare su se stesso. Eludere il pressing per una squadra che gioca palla a terra come la Samp è fondamentale e Caprari in questo caso compensa con le sue qualità l’assenza di Duvan Zapata, della punta grossa su cui lanciare in caso di difficoltà.
Mertens non riesce più a segnare: sono due mesi che non trova la rete, dalla vittoria interna contro il Sassuolo. In compenso nelle ultime partite sembra aver ritrovato la sua influenza creativa sulla trequarti del Napoli. Mertens sta diventando sempre più un falso nove che rifinisce che non il finalizzatore della grossa produzione offensiva della sua squadra.
Ieri, contro la Sampdoria, Mertens in realtà ci ha provato, ha tirato 6 volte in porta e in almeno un paio di occasioni la sua imprecisione è stata abbastanza sorprendente. Quando però si è trattato di dare l’ultimo passaggio ha confezionato giocate di grande estro e qualità, servendo 2 assist, che così diventano 3 nelle ultime 2 partite.
In questa occasione riceve un passaggio da Allan, può ricevere indisturbato ma alle sue spalle Insigne è libero, sta correndo verso la porta e deve sbrigarsi. Mertens se la alza con l’interno piede e, per non perdere un tempo di gioco prolunga il pallone verso Insigne con un collo esterno che comunica grande urgenza, e che gli permette di evitare anche il rientro di Torreira. Forse Mertens si è accorto tardi di Insigne e ha dovuto rimediare affrettando la giocata; forse invece ha semplicemente sbagliato il primo controllo ed è stato costretto dare quel passaggio d’esterno non semplice, soprattutto per il gioco di appoggi, che forse solo un giocatore elettrico come Mertens poteva permettersi.
Le partite contro la Juventus sono sempre difficili per la Roma, quella di ieri lo è stata particolarmente per molte ragioni e difficilmente i tifosi romanisti possono trovare qualcosa con cui consolare il proprio Natale. Edin Dzeko, invece, uno che ne ha passate molte nella sua vita (calcisticamente e non solo), sa come si reagisce alle avversità. Ieri, nel momento più difficile della partita, quello immediatamente successivo al vantaggio con smitragliata di Benatia, ha iniziato a farsi vedere di più dai propri compagni, alzando il proprio livello e provando, come si dice, a caricarsi la squadra sulle spalle, e se non proprio tutta la squadra almeno l’attacco. È sempre durissimo giocare contro difensori come Benatia e Chiellini, feroci in marcatura in qualsiasi zona di campo, anche per un uomo della stazza di Dzeko, ma nel caso mostrato qui sopra riesce a propiziare una delle pochissime occasioni della Roma con una giocata al tempo stesso semplice e raffinatissima. Stop di petto orientato (perché Dzeko ha una sensibilità fuori dal comune proprio in questo fondamentale) e passaggio al volo di collo per Perotti in profondità. Perotti sembra tenuto in gioco da Alex Sandro e la Roma arriva al tiro con El Shaarawy, l’occasione più limpida della gara prima del tiro dell’errore di Shick a tempo scaduto.
Vicina alla giocata di Dzeko andava citata per forza di cose questa di Higuain. Un'altra dimostrazione del lavoro oscuro che quasi tutti i più grandi centravanti compiono ogni partita. Quando Higuain gioca la sponda che vedete qui sopra la partita tra Juventus e Roma è ancora ferma sullo 0-0. La Juventus ha mostrato già il proprio campionario strategico: palla lunga per Mandzukic con inserimento di Matuidi da una parte; inserimento di Khedira e Cuadrado dall’altra. D'altra parte che un modo per far male alla Roma fosse colpirla in transizione si sapeva, e Allegri non aveva previsto solo le due strategie appena citate per attaccare la profondità della difesa alta di Di Francesco. Higuain qui sopra compie una giocata intelligente, difficile ed elegante, servendo la corsa di Khedira alle sue spalle con un colpo all’indietro di prima quando tutti pensavano che avrebbe stoppato la palla. Khedira riesce ad arrivare fino all’area di rigore giallorossa ma scivola e si fa recuperare da De Rossi. La giocata di Higuain resta una perla all’interno di un’ottima partita e ci ricorda che anche se Gonzalo è ossessionato da gol la sua tecnica e visione in origine gli avevano permesso di giocare trequartista. Si parla poco della sua utilità nel gioco di squadra, ma Higuain è un attaccante completo e quando è in forma diventa impossibile da difendere anche lontano dalla porta.