Non c'è Inter-Roma senza "3": la storia della partita (im)perfetta
Serie ALa prima volta che le due squadre si affrontarono, nel 1927 in via Goldoni (oggi sede di un oratorio, guidato da un prete milanista...) fu subito spettacolo: 3-3. In campo c'era già la storia di Inter e Roma: Meazza, Bernardini, con Arpad Weisz sulla panchina dell'Ambrosiana. Da allora, passando per i capolavori di Djorkaeff e Totti, il "3" sarà una costante a Milano, per una sfida perfetta nella sua imperfezione...
"Un proiettile che fischia fulmineo su dieci teste, s'incunea nell'angolo alto a destra della casa romana e scuote la rete. Delirio. La fine". A dispetto di un linguaggio populista - che in confronto il tormentone social "Asensio 4-1, è finita" fa quasi tenerezza, roba da pischelli - gonfio di enfasi e metafore belliche, tipico dell'eloquenza fascista, quel pomeriggio di 90 anni fa rappresentò un manifesto di anti-retorica e "velocità", l'avanguardia di tutti i più "futuristi" e futuri degli Inter-Roma. Certo, per il risultato e il "genere" di partita: un 3-3 dalle sequenze folli; ma che interpreti: basterà ricordare che in via Goldoni 61, l'11 dicembre del 1927 (con la Roma appena fondata) c'erano in campo due personaggi che saranno icone assolute di Milano e della Capitale. Uno, Peppino Meazza, darà il nome allo stadio dove stasera nerazzurri e giallorossi si daranno "battaglia" per la Champions (rimaniamo in linea con la citazione iniziale, militaresca, ripresa da una Gazzetta dell'epoca); e all'altro - Fulvio, detto "Fuffo" Bernardini - sarà intitolato il centro sportivo di Trigoria. Se non fosse sufficiente... sulla panchina dei milanesi sedeva un certo Árpád Weisz, ungherese di origini ebraiche, ancora oggi il più giovane allenatore a vincere un campionato di Serie A (34enne nel 1929-30 con l'Ambrosiana, il primo a Girone unico, ma si ripetè per due volte con il Bologna nel 1935-36 e 1936-37), rimasto vittima delle leggi razziali e morto in una camera a gas ad Auschwitz. Dimenticato, e riportato alla memoria nel 2009 grazie al lavoro di ricerca del nostro Matteo Marani e al suo libro "Dallo scudetto ad Auschwitz", appunto.
Al civico 61 di Via Goldoni oggi c'è un'abitazione, alle spalle l'oratorio
La partita imperfetta
Il campo di via Goldoni - che dal 1928 prenderà il nome di "Virgilio Fossati" in omaggio allo storico capitano interista caduto durante la Prima Guerra Mondiale - era stato inaugurato nel Capodanno del 1913 (Inter-Lazio 3-1) e aveva chiuso i battenti il 15 giugno del 1930 per il crollo delle tribune, a pochi minuti dal fischio di inizio di Ambrosiana-Genoa 1893, a un passo dalla tragedia: oltre 160 feriti, alcuni dei quali non vollero comunque perdersi un altro 3-3, "la partita perfetta" nella sua imperfezione , una formula pitagorica nell'infernale simbolismo dantesco, nel significato che gli antenati cinesi di Zhang Jindong assegnavano al numero magico dei 3 elementi: cielo, terra, uomo. Cosmico, e perché no, sacro: uno e trino, cos'è il calcio se non una religione, cosa siamo noi se non dei devoti!
Tra sacro e profano
Niente di blasfemo, per carità: alle spalle di via Goldoni c'è davvero l'oratorio "San Gaspare Bertoni", della parrocchia di Santa Croce, e il campetto sorge sempre lì, circondato dai palazzoni del quartiere "Acquabella", tra la stazione di Dateo e Piazzale Susa, dove i ragazzini dell'associazione calcistica O.S.C.A.R. ospitano le partite casalinghe del loro campionato CSI. Guidati da Padre Matteo, 39 anni, della Costa D'Avorio, a Milano da 8 in missione per l'Ordine degli Stimmatini. Calciatore, cintura nera di taekwondo e con una nuova passione per il kung-fu vietnamita. Milanista, in casa dell'Inter... ieri è stato lui a "confessarsi", quando siamo andati a trovarlo: "Sono tifoso del Milan, lo ammetto. Per Weah, Kaka e perché nel mio Paese è la squadra più amata, ci sono tanti club che si chiamano Milan. E poi la prima squadra che ha giocato qui, nel 1903, sa qual è stata? Il Milan!". Radici africane, milanista in "casa" dell'Inter, da Trinità a "triplete" è un attimo: vi ricorda qualcuno?
Sliding doors: Balotelli-Cassano 3-3
Già, Mario Balotelli - che "nasce" calcisticamente all'oratorio della sua Concesio - fu uno dei protagonisti dell'ultima volta che Inter e Roma si produssero nella notte (im)perfetta a San Siro, era il 1° marzo del 2009, negli anni in cui i due club si contendevano il dominio nazionale: da una parte José Mourinho, dall'altra Luciano Spalletti. Spettacolo dentro e fuori dal campo. Come un concentrato di arte pura fu quello precedente, nel 2003, con Cassano, Vieri, Recoba e Montella a scolpire tonnellate di emozioni e pazzia sulle difese "in libertà" (ecco riaffacciarsi la matrice futurista di Marinetti e soprattutto di Giacomo Balla...).
Non c'è Inter-Roma senza "3"
Ma è nell'ultimo ventennio - stavolta niente "v" maiuscola, s'intende - che il numero 3 è diventato una variabile imprescindibile di questa vorticosa roulette di gol e colpi di genio. Amanti delle statistiche - e scommettitori - sanno bene che sui 32 match disputati al Meazza, dal gol di Djorkaeff (5 gennaio 1997), passando per il cucchiaio di Totti (26 ottobre 2005) e la doppietta di Eto'o in Supercoppa (21 agosto 2010) fino all'ultimissima di Nainggolan (26 febbraio 2017), nella metà delle gare almeno una delle due formazioni abbia segnato 3 reti. Che in totale fa 105, una media di 3 - ovviamente - a partita. E dal 2012 la Roma ha vinto 4 volte su 6. Come dite? Sì, una spremuta de' sangue: 3-1, 3-2, 3-0 e il 3-1 dello Spalletti II, che si è ripetuto all'andata all'Olimpico, lo scorso agosto, da neo interista. Ma non c'è Inter-Roma senza tre.