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Calhanoglu sta giocando all'altezza delle aspettative

Serie A

Emanuele Atturo

Dopo un inizio di stagione difficile, il trequartista turco sta finalmente riuscendo ad esprimere il suo talento, diventando uno dei giocatori più importanti del nuovo Milan di Gattuso

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Da quando Gennaro Gattuso si è seduto sulla panchina del Milan ha completamente ribaltato l’inerzia della stagione: è subentrato alla quattordicesima giornata di campionato trovando una squadra che faceva mediamente 1.42 punti a partita; dopo altre quattordici giornate il Milan ne ha fatti 2.14: un incremento di 0.72 punti in più a partita. Ora i rossoneri possono ragionevolmente ambire alla qualificazione in Champions League che sembrava impossibile solo fino a poche settimane fa, creando entusiasmo attorno a una stagione che aveva i contorni di un naufragio, ma i meriti di Gattuso stanno soprattutto nel modo in cui è riuscito a dare un senso al Milan, valorizzando una rosa che fino a prima del suo arrivo non era stata all’altezza delle aspettative estive. Il giocatore che forse più di tutti è stato il termometro della stagione del Milan è stato Hakan Calhanoglu: sbiadito e incollocabile nella prima parte dell’anno; insostituibile e decisivo nelle ultime partite. Si nota bene anche dai numeri: i passaggi chiave di Calhanoglu sono passati da 1,58 a partita a 2,34; i dribbling da 0,33 a 0,90; i tiri da 1,50 a 2,36.

Calhanoglu era arrivato come uno dei pezzi pregiati del mercato estivo, ma il fatto che venisse da un contesto molto codificato a livello tattico non rendeva chiaro cosa aspettarsi. Al Bayer Leverkusen Calhanoglu era emerso come uno degli interpreti di spicco della visione ipercinetica del calcio di Roger Schmidt: un trequartista creativo prestato all’esigenza della squadra di giocare ossessivamente in verticale. Dentro un calcio meno diretto e dai ritmi più bassi Calhanoglu avrebbe fatto la differenza con la sua intensità agonistica o sarebbe invece emersa una qualità tecnica non di primissimo livello?

Cosa è cambiato?

L’impatto di Calhanoglu con il calcio italiano non è stato dei migliori: «Appena sono arrivato a Milano mi hanno rubato gli scatoloni del trasloco che avevo lasciato in macchina». Non conosceva la lingua e doveva girare sempre con un traduttore vicino, confermando quindi le difficoltà dei calciatori turchi nel nostro campionato. Calhanoglu rischiava di infoltire una lista che comprende Emre Belozoglu, Hakan Sukur, Salih Uçan, Umit Davala.

Alla radice dei problemi iniziali di Calhanoglu ci sono però soprattutto ragioni tattiche. Montella lo definiva «Un giocatore di grandissimo talento» ma aggiungeva la solita frase che suona un po’ di rito: «si deve ancora adattare al nostro campionato a livello tattico». Secondo l’ex tecnico del Milan Calhanoglu aveva«bisogno di trovare la posizione, può giocare da interno o esterno d’attacco, ma avendo anche Suso avremmo troppi giocatori con la palla tra i piedi. Serve chi attacca la profondità come Borini».

Ma più che una questione di divisione dei compiti - anche perché Suso è un giocatore molto diverso da Calhanoglu - era di sistema. Con il passaggio al 3-5-2 effettuato da Montella dopo poche partite in stagione, Calhanoglu poteva giocare solo da trequartista sinistro accanto a Suso, in un modulo che non conosceva: «In carriera non ho mai giocato col 3-5-2 prima di Montella e per questo ho fatto fatica ad adattarmi a un modo di giocare non mio. In Germania giocavamo 4-2-3-1, diverso da quello che voleva Montella. Con il ruolo voluto da Gattuso mi trovo a mio agio, gioco meglio».

Gattuso è stato bravo soprattutto nel semplificare le cose. Innanzitutto ha ripristinato il 4-3-3, un modulo che i giocatori conoscevano meglio e che ha aiutato il giocatore di maggior valore tecnico - Suso - ad essere a proprio agio. Il suo Milan ha iniziato a difendersi con un baricentro basso ed ha via via acquisito sicurezze, provando ad aggredire l’avversario più avanti. Ma è con la palla che si sono visti i maggiori miglioramenti: il Milan ha imparato a sfruttare la qualità tecnica dei propri difensori, con uscite palla da dietro sempre più efficaci, che hanno migliorato complessivamente il gioco.

Certo, il Milan non è diventato all’improvviso una squadra tatticamente raffinata. I meccanismi di uscita palla sono efficaci ma non complessi e le combinazioni offensive seguono degli schemi lineari. Ma Gattuso ha migliorato le connessioni fra i suoi giocatori, lasciandoli anche piuttosto liberi di seguire il proprio istinto. Il Milan è diventato una squadra molto codificata nella fase difensiva (nel 2018 è tra le migliori difese in Europa con appena 7 gol subiti) e fluida invece in quella offensiva.

Con il 3-5-2 di Montella i rossoneri avevano provato a sviluppare una fase offensiva molto condizionata dai movimenti delle punte, e che pagava una certa rigidità. Gattuso invece ha rimesso al centro del gioco i propri centrocampisti, assecondando le peculiarità di ciascuno. Nel 4-3-3 Calhanoglu e Bonaventura formano una catena di sinistra che nel corso del tempo ha assunto un’influenza sempre maggiore nel gioco del Milan, prima completamente sbilanciato a destra sulle conduzioni di Suso a convergere verso il centro.

L’esterno basso, Rodriguez, rimane più bloccato e aiuta l’uscita palla da dietro: in questo modo nasconde i suoi problemi atletici ed esalta invece la sua qualità nei passaggi, specie in diagonale. Più avanti, Bonaventura e Calhanoglu si occupano di far progredire la manovra. Spesso è Calhanoglu a partire da esterno alto, ma i due si scambiano la posizione con una tale fluidità che è impossibile capire chi in realtà fa l’esterno sinistro e chi la mezzala. Bonaventura è quello più anarchico nei movimenti e meno presente nel contributo difensivo; Calhanoglu ha invece più libertà delle scelte col pallone e più diligente nelle coperture anche profonde, e nel lavoro di pressing. Calhanoglu tocca meno palloni, e con una precisione più bassa, ma realizza più passaggi chiave, più tiri, più falli, più tackle. Esercita un controllo minore sulla partita rispetto a Bonaventura, e per certi versi è meno preciso, compie scelte più forzate che lo portano all’errore, ma la grande quantità di tentativi ambiziosi, unità alla sua qualità lo porta ad avere un impatto superiore.

Trequartista quantitativo

Calhanoglu si sta esprimendo bene nel Milan di Gattuso perché gli è permesso di fare le cose che gli riescono meglio: non deve ordinare il gioco, né tirare il freno. In questo modo è riuscito a tradurre in Serie A molte delle qualità che lo rendevano un trequartista quasi unico nel panorama europeo. La capacità di giocare ad alta intensità, con la palla o senza; la qualità nei calci piazzati, con parabole sempre tese e imprevedibili; la vertigine verticale che riesce a imprimere a quasi ogni sua azione, tirando spesso, cercando imbucate o cross, forzando spesso la giocata.

Un trequartista accelerazionista, che sa andare a una sola velocità e che dà il meglio di sé quando può velocizzare il gioco in maniera istintiva, senza troppi pensieri dietro. Calhanoglu è un giocatore creativo, anche se non nel modo in cui lo intendiamo tradizionalmente. Non ha quella visione di gioco con cui certi trequartisti  sembrano squarciare i muri dimensionali; non ha nessuna elusività nell’uso del corpo e non gli riesce facile saltare l’uomo. Calhanoglu non ha una creatività qualitativa ma quantitativa: l’intensità con cui sta nelle partite lo porta a generare molta entropia attorno alla porta avversaria, e a creare tanto quasi per inerzia.

Calhanoglu ha dichiarato che Gattuso gli ha chiesto di giocare libero nella testa ed è evidente nelle libertà che si prende nel forzare passaggi o tiri dalla distanza. Non sarà efficiente, né particolarmente elegante per i puristi dell’estetica, ma è vitale nei contesti spesso chiusi e impantanati tatticamente della Serie A. Calhanoglu è arrivato su medie di tiri per novanta minuti addirittura superiori a quelle avute col Leverkusen di Roger Schmidt, un sistema che usava il tiro da fuori come arma tattica per disordinare i ritmi. Oggi Calhanoglu prova 4.1 tiri ogni 90 minuti ed è il quarto della Serie A in questa classifica, dopo Insigne, Dzeko e Dybala, cioè calciatori teoricamente più offensivi. Solo Dybala prova più conclusioni da fuori area rispetto al turco.

In questi mesi Calhanoglu ha seguito l’altalena del Milan e ha confermato le grandi qualità che lo avevano fatto diventare un fenomeno di culto nel 2014, quando i tifosi europei guardavano i suoi gol su punizione da centrocampo e lo sognavano con la maglia della propria squadra. Ma questi mesi hanno confermato anche tutti i suoi limiti: un giocatore affidabile sia quando bisogna attaccare che difendere, ma a cui non si può chiedere razionalità e che quindi mal si adatta ai contesti e alle squadre che ambiscono ad ordinare il gioco e la partita tramite il pallone. Calhanoglu era, ed è, un trequartista del caos e del disordine, ed è assecondando questa specie di tensione entropica che Gattuso sta traendo da lui il meglio.