Benevento, nessuno come Diabaté: altro che le comete in Serie A

Serie A

Luca Cassia

A segno senza sosta, Cheick Diabaté si discosta dalle meteore del passato in Serie A (Foto LaPresse/Ansa)

Impatto clamoroso quello del centravanti maliano al Benevento, 10 tiri nello specchio e 7 gol ovvero uno ogni 41'. Atteso dalla sfida all'Atalanta dove nel 2005 Makinwa ebbe una parabola simile, Diabaté ha già preso le distanze dalle meteore della Serie A apprezzate agli inizi prima di eclissarsi

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DIABATÉ: "FARÒ ALTRI GOL, CHIAMATEMI IL MOSTRO"

Per eguagliare "Tatanka" non poteva che servire un gigante, buono s’intende. Era dal 2001 che la Serie A non registrava tre doppiette in altrettante partite consecutive: vi era riuscito Dario Hübner, capocannoniere a fine stagione con il Piacenza, ribattezzato "bisonte" a causa di quella corsa pesante che più volte ha fatto sognare la provincia. Lo ha emulato Cheick Diabaté, il "Mostro" come apostrofato dai tempi del Bordeaux in Francia. Numero 45 di piede e 194 centimetri d’altezza alla conquista dell’Italia a partire da Benevento, ultima della classe che a Reggio Emilia ha conquistato il primo punto esterno del campionato. Merito del suo bis, nient’altro che una costante dopo lo stesso exploit servito contro Hellas e addirittura Juventus. Il saldo realizzativo parla chiaro: 7 gol in 6 presenze delle quali solo le ultime 3 disputate da titolare, una rete ogni 41' per il centravanti maliano che ha calciato nello specchio solo in 10 occasioni. Un impatto devastante alle nostre latitudini, nemmeno paragonabile a quello di altri "sconosciuti" in Serie A dai buoni inizi prima di perdersi nel dimenticatoio.

Tutti pazzi per Diabaté

"Non è finita qui, non ho finito di segnare", ha promesso l’attaccante originario di Bamako sbarcato in Francia a 18 anni portando nel cuore la madre e il migliore amico entrambi scomparsi tragicamente. Inizialmente incompreso a Bordeaux per lingua e atteggiamenti, poi esaltante in 6 stagioni da protagonista: 66 gol in 152 presenze totali, più prolifico di gente come Dugarry e Micoud nella storia del club, lui che timido fuori dal campo si riscopre feroce durante le partite. Ronaldo come idolo di gioventù, l’amore e la serenità con il prossimo la sua filosofia di vita dopo la perdita della famiglia. Quasi un paradosso per un colosso dalla stazza minacciosa, sgraziato ma efficace, già accostato a Peter Crouch per via delle lunghe leve e della relativa mobilità. Un profilo titanico ritoccato dall’ottimo posizionamento che ha trovato fortuna nei tatticismi estremi della Serie A. In realtà Diabaté era reduce dalle magre soddisfazioni in Turchia all’Osmanlispor, squadra che un anno fa gli riservò il ritorno in Francia al Metz trascinato alla salvezza con 8 reti in 14 gare. Un copione d’attualità nel Benevento di De Zerbi dove, segnando il gol vittoria all’esordio contro il Crotone dopo 12', è rapidamente diventato uno degli uomini copertina del campionato. Una felice intuizione del ds Foggia e del presidente Vigorito, prestito low cost che già stuzzica gli intrecci di mercato. Difficile propiziare un’altra impresa salvezza, intanto nel mirino del quasi 30enne Diabaté c’è l’Atalanta.

Le capriole di Makinwa

Proprio la prossima avversaria del Benevento, annata 2004/05, riservò una parabola simile ad un altro attaccante africano sconosciuto ai più. Scovato in Nigeria dalla Reggiana, transitato in provincia da Como a Modena (un gol in Serie A all’Inter) fino alla discreta stagione in B al Genoa, Stephen Ayodele Makinwa fu uno degli acquisti invernali dell’Atalanta vincolata al fondo della classifica. Non era la Dea d’Europa trasformata dall’avvento di Gasperini, piuttosto la neopromossa guidata inizialmente da Mandorlini prima della panchina affidata a Delio Rossi. Un gruppo in rima da Bellini a Marcolini, da Bernardini a Mingazzini fino a Pazzini, Albertini e Comandini ceduti a gennaio quando venne invece prelevato dal Genoa il 21enne di Lagos. Maglia numero 20, tanto veloce quanto sfrontato nel sogno salvezza dei bergamaschi in precedenza condannati alla resa. Dalla rassegnazione alla speranza a suon di gol proprio come la new entry Diabaté a Benevento. L’Atalanta archiviò 24 punti nel girone di ritorno contro gli 11 della prima metà, troppo poco per scongiurare l’ultimo posto e l’immediato ritorno in B, tuttavia Makinwa andò a segno in 4 gare di fila e 6 volte complessive propiziando le vittorie contro Bologna, Sampdoria e Chievo. Indimenticabili in città le sue capriole, qualcuno voleva addirittura nominarlo Sindaco prima della cessione al Palermo. Non migliorerà mai quel bottino realizzativo nel resto di una carriera in declino tra Lazio e Chievo fino alle comparsate nelle serie minori (Reggina e Carrarese) e le comparsate all’estero (Grecia, Cina e Slovenia), ultime tappe prima del ritiro a 32 anni con un presente da procuratore sportivo. Chi l’avrebbe detto dopo quella mezza stagione a Bergamo?

Le altre meteore in Serie A

C’è da perdersi nella sterminata produzione di flop e delusioni propiziati dal calciomercato e bocciati in Serie A, tuttavia è doveroso tracciare una linea tra gli indifendibili "bidoni" e le comete più fugaci. Parliamo di quei giocatori che, giunti a fari spenti o quasi ma incoraggiati da un avvio promettente, hanno presto smarrito la rotta inabissando altrove la propria carriera. Prendete Gustavo Bartelt alla Roma, faccia da divo delle soap opera sudamericane e avvio da urlo nel 1998: due reti nell’esibizione all’Olimpico contro il Santos, gol all’esordio nella rimonta in Coppa Italia contro il Chievo. A seguire nient’altro che un desaparecido, abbaglio di coppa bissato in chiave più recente da Hoffer al Napoli (rete estiva alla Salernitana) e Pratto al Genoa, due guizzi tra Nocerina e Bari più un acuto in Serie A per il "Cammello" tornato in auge in Sudamerica poiché premiato nell’Albiceleste dall’ex ct Bauza. Premesse tradite negli anni ’90 da altri attaccanti stranieri, vedi l’australiano Aloisi che segnò al debutto dopo 2’ in Cremonese-Padova prima di retrocedere due volte con i lombardi, oppure Andreas Andersson dall’illusorio acuto con il Milan di scena ad Empoli.

La stagione 1999/2000 accese invece i riflettori su due giovani talenti: Nello Russo segnò al battesimo nell’unica presenza in A con l’Inter prima di sparire nelle divisioni minori, Enyinnaya era invece il partner di Cassano fatale proprio ai nerazzurri al San Nicola ma sprofondato nella Serie B polacca. Dal Nord Europa furono semplici comparse pure Hallenius, che dalla Svezia ingannò il Genoa con un gol alla Van Basten, oltre al connazionale Ranegie subito in rete in Udinese-Milan: prematuramente ribattezzato Renegade, non festeggerà mai più in Friuli. Il passaggio delle comete ci riporta in rossonero con José Mari e Ricardo Oliveira, trasferimenti onerosi dalla Liga nonché inizi da sballo contro Roma e Lazio, peccato che di lì a breve faranno mesto ritorno in Spagna. Significativa la storia di Benjamin Onwuachi, nigeriano classe 1984 transitato nel vivaio della Juventus: il 25 novembre 2003 Lippi lo getta nella mischia in Coppa a Siena dove serve l’assist a Zalayeta e sigla il gol vittoria. Sarà il suo unico gettone in bianconero prima di perdersi nella periferia del calcio europeo e ripartire dalla D alla Nerostellati di Frattamaggiore. La palma di meteora per eccellenza spetta tuttavia a Francesco Grandolfo, attaccante dai gol a raffica nella Primavera del Bari. Pugliesi già retrocessi nel rush finale, ecco perché Mutti gli concede la ribalta nel finale di stagione: prima una manciata di minuti contro Palermo e Lecce, poi la maglia da titolare al Dall’Ara dove a 19 anni segna tre gol a Viviano nel 4-0 finale. Era il 22 maggio 2011, sette anni più tardi lo ritrovate in Serie C al Bassano dopo l’esodo nelle serie inferiori. Smalto perduto per Grandolfo, tris mostruoso nemmeno riuscito a Diabaté.