Durante questi sette anni di successi, iniziati da Antonio Conte e arrivati a Massimiliano Allegri, la Juventus ha cambiato pelle tante volte. Abbiamo provato a riflettere su qual è stata la squadra più forte
Forse ci vorrà più di qualche anno e si dovranno giocare altre stagioni, prima di avere la distanza necessaria a distinguere i contorni dell’impresa sportiva che ha compiuto la Juventus negli ultimi sette anni. Basta guardare all’albo d’oro della Serie A per rendersi conto dell’unicità di quello che stiamo vivendo. La Juventus in passato si era fermata a cinque titoli consecutivi, conquistati negli anni che vanno dal 1930 al 1935, in un calcio imparagonabile con il nostro per quanto è lontano nel tempo. La stessa impresa fu eguagliata dal Torino, inarrestabile in campo e fermato solo da una tragica fine, e in tempi più recenti dall’Inter nell’era post-Calciopoli. Ma nessuno era andato oltre cinque campionati vinti consecutivamente.
Anche allargando gli orizzonti al di fuori dei confini nazionali troviamo pochi altri esempi di un dominio tanto lungo: in Francia, il Lione vinse sette titoli di fila dal 2001 al 2008, a coronamento della rivoluzione societaria portata ad ogni livello dal presidente Aulas e iniziata nel 1987; in Germania il Bayern Monaco ha appena vinto il suo sesto titolo consecutivo con tre allenatori differenti alla guida (tre titoli per Guardiola, due per Heynckes e uno per Ancelotti). Ma altre dinastie calcistiche nobilissime, come quella del Real Madrid di Alfredo Di Stefano e Ferenc Puskas, si sono fermate a cinque titoli.
Forse questi numeri cominciano a dare la misura di quanto eccezionale sia il momento storico che stiamo vivendo, e a mettere in discussione quell’opinione comune - che abbiamo maturato come una specie di paradosso percettivo - che la Juventus vinca quasi automaticamente il campionato. Una visione contestata da Allegri, che in questa ragione ha spesso ripetuto che «nel calcio vincere non è normale».
Come è cambiata la Juventus in questi anni
Non si vince se non si cambia, e per vincere con questa continuità la Juventus è dovuta cambiare continuamente. In questi anni ha perso diversi pezzi, alcuni importanti, alcuni all’apparenza imprescindibili, eppure è riuscita a non abbassare mai il proprio livello competitivo, dando l’impressione di essere la stessa di sempre. Un aspetto notato anche da James Horncastle in un pezzo su ESPN: «La Juve ha normalizzato il cambiamento».
Nel 2011/12, la prima Juventus di Conte, partì con l’idea di giocare con il 4-2-4 di origine “venturiana”: un sistema doveva permettere alla Juventus di trovare le combinazioni tra le punte centralmente, dopo aver allargato il fronte d’attacco (in rosa i bianconeri avevano già le ali Krasic e Pepe, e dal mercato estivo arrivarono Elia e Estigarribia). Conte, però, capì subito che Pirlo aveva bisogno di maggior protezione, il campione bresciano doveva preservarsi, coprendo meno spazio possibile nella fase di non possesso, per restare lucido nell’altra fase. Durante quella sua prima stagione alla guida dei bianconeri, il tecnico leccese passò prima al 4-3-3, inserendo l’energia strabordante di Arturo Vidal, poi virò verso il 3-5-2, il modulo feticcio che non avrebbe più abbandonato fino al suo addio.
Ciascun uomo nella Juventus di Conte introiettò i movimenti che il loro allenatore aveva nella sua testa: il lancio di Pirlo, di prima alle spalle della difesa, sulla corsa della punta o dell’esterno che attaccava la profondità; i movimenti interno-esterno delle mezze ali a svuotare il centro del campo; l’uscita di palla dal basso, ogni volta sempre più sicura grazie anche a Bonucci, salito giorno dopo giorno alla ribalta come secondo regista (suo l’assist per il gol-scudetto di Vucinic sul neutro di Trieste). Col 3-5-2 Conte trionfò in Italia per tre anni di fila, ma fallì in Europa.
Massimiliano Allegri utilizzò lo stesso modulo per le prime 10 partite della stagione 2014/15, poi lanciò la Juventus in una nuova era. Tornò alla difesa a 4, sistemò il centrocampo con un rombo, 4-3-1-2, che aveva Pirlo vertice basso e Pereyra prima, Vidal poi, vertice alto. La chiave di quella Juventus fu probabilmente il talento e l’intelligenza calcistica di Carlos Tevez: ora prima punta, col sostegno di Morata da sinistra; ora trequartista aggiunto, fluttuante tra le linee, alle spalle di Llorente. Per quella Juventus arrivò la prima delle due finali di Champions League disputate e perse negli ultimi anni, quella persa 3-1 contro il Barcellona di Luis Enrique.
Da quel momento la Juventus ha cambiato pelle ogni anno: Allegri ha utilizzato i primi mesi di ogni stagione come terreno d’allenamento per le sue esercitazioni tattiche. Perso Vidal per la sua seconda stagione bianconera, quella 2015/16, il tecnico toscano rinunciò al trequartista e tornò al 3-5-2. Poi in quella successiva, 2016/17, varò il 4-2-3-1, modulo europeista per antonomasia (secondo alcuni) con un cambio tattico che arrivò a stagione ben inoltrata. Fino ad arrivare a quest’ultimo campionato, nel quale le permutazioni tattiche si sono susseguite non solo da una giornata all’altra, ma anche all’interno di una stessa partita e tra una fase di gioco e l’altra. Il rimpasto tattico sembra essere stato concluso con la scelta del 4-3-3, modulo capace di sfruttare al meglio le caratteristiche di Matuidi e Douglas Costa.
Considerate le molteplici vesti tattiche e gli interpreti diversi, è legittimo dopo sette anni domandarsi qual è stata la Juventus più forte di questi sette anni, andando oltre questa apparente monotonia. Per farlo, dovremo interrogarci sulla competitività della squadra non solo in relazione al contesto della Serie A, ma anche a quello della Champions League.
Quale tra tutte queste è stata la Juve più forte?
Quale Juventus ha dominato di più in campionato?
Cominciamo facendo un distinguo tra le due gestioni tecniche, quella di Conte e quella di Allegri. Se volessimo trarre ispirazione dalla classifica del campionato, indubbiamente dovremmo indicare nella squadra capace di raccogliere 102 punti nell’edizione 2013/14, la squadra migliore della gestione di Antonio Conte. Nessuna squadra aveva mai sfondato la tripla cifra in Serie A, nelle edizioni del campionato che assegnano 3 punti per la vittoria; eppure quella squadra ebbe nella Roma di Rudi Garcia una fiera contendente, in un campionato giocato a lungo testa a testa. Nessuna delle Juventus di Allegri è mai riuscita neanche ad andare vicina a ritoccare questo record. E paradossalmente, la migliore Juve degli ultimi quattro anni di gestione del tecnico toscano, in termini di punti raccolti, è proprio quella di quest’anno, che è andata vicinissima a non vincerlo questo Scudetto. Il Napoli è stato più che una contendente per questa Juventus, che lo ha inseguito a lungo e che, anche quando è stata davanti, ha mostrato il fianco e ridato speranze a un avversario di grandissimo livello.
La forza mentale di questa Juventus, pur intaccata dalla notte del Bernabeu in avanti, è testimoniata dalle numerose vittorie chiave che la Juventus ha conquistato sui campi delle prime della classifica: i bianconeri hanno preso i 3 punti al San Paolo, 6 punti a San Siro, 4 all’Olimpico vincendo contro Lazio e pareggiando con la Roma.
In entrambi i casi, sia per la Juve 2013/14 che per quella 2017/18 sembra che avere un avversario che tiri il passo sia stato un aspetto fondamentale. In fondo se per vincere una partita, come ripete l’adagio, basta segnare un gol in più dell’avversario, per vincere un campionato basta un punto. Ormai sappiamo, però, che i risultati nel calcio non corrispondono sempre alle perfomance, che a volte si può ottenere molto facendo poco, e viceversa. Per avere un’idea più oggettiva di quale Juventus negli ultimi 7 anni ha fatto meglio in campionato dobbiamo dare uno sguardo alle statistiche.
Quale ha avuto le migliori performance statistiche
In particolare, possiamo guardare a quella più avanzata tra le statistiche a nostra disposizione, e cioè l’indice degli Expected Goals, che misura la pericolosità dei tiri, fatti e subiti, dando un’idea del valore avuto dalle squadre (il valore numerico espresso, xG, corrisponde ai gol che in base all’algoritmo ci si sarebbe potuti aspettare avesse segnato).
Secondo gli Expected Goals saremmo portati a pensare che la Juventus più forte tra tutte sia stata quella 2012/13, ovvero la prima Juventus di Conte. Nessun attacco di nessuna squadra ha messo insieme di più nelle ultime sette stagioni di Serie A: un totale di 71 xG creati in 38 partite. Una macchina perfetta, un grande sforzo collettivo, parzialmente vanificato dalle qualità individuali degli attaccanti: perché quell’anno la Juventus realizzò 63 gol, rigori esclusi, e cioè 8 meno delle attese.
Segnare meno gol di quelli suggeriti dalla statistica è un evento raro per una squadra che vince il campionato, perché le squadre più forti solitamente superano sempre la media delle squadre “normali” (in base alla quale è calcolato l’algoritmo, che tiene conti di tutti i tiri di tutte le squadre su più stagioni). I capocannonieri juventini di quell’anno furono Vidal e Vucinic, con sole 10 reti a testa (5 rigori per il primo e 2 per il secondo) e in un certo senso potremmo immaginare che con uomini diversi, o semplicemente con gli stessi maggiormente ispirati, la Juventus avrebbe potuto fare anche di più. Senza dubbio, la Juventus 2012/13 dal punto di vista offensivo ha macinato numeri impressionati e non eguagliati.
La Juventus odierna è invece uno straordinario esempio contrario, di una squadra su cui l’effetto delle qualità individuali sono più evidenti. I bianconeri hanno segnato 76 reti a dispetto dei soli 49 Expected Goals prodotti: nessuna squadra quest’anno in tutta Europa ha marcato una così forte differenza nella statistica. Gli attaccanti juventini, Dybala su tutti, hanno registrato overperformance consistenti delle reti segnati rispetto alla media statistica, a testimonianza della loro assoluta qualità tecnica, capace di mandarli oltre le aspettative.
Ma se è vero che gli attacchi fanno vincere le partite (o vendere i biglietti dello stadio) ma le difese invece fanno vincere i campionati, dobbiamo considerare anche le prestazioni difensive. La soliditià del pacchetto arretrato è stata la vera costante in tutti questi anni, la leva che ha permesso ai bianconeri di alzare i tanti trofei.
Al momento, la Juve di quest’anno si piazza al secondo posto assoluto per gol incassati (18 rigori esclusi) ed è al secondo posto anche per gli xG concessi. I bianconeri hanno fatto meglio di così solo nel 2015/16, quando subirono 16 gol per 20,9 xG: nessuno in Serie A dal 2012 (da quando cioè sono registrati gli Expected Goals) ha concesso meno di quella Juventus.
Quella del 2015/16 fu una cavalcata straordinaria verso il titolo anche per un altro motivo: la Juventus era stata addirittura quindicesima in classifica a fine settembre, dopo un avvio disastroso in termini di risultati. E fu una rimonta fortemente basata sulle fortune difensive: solo 5 gol subiti e una sola sconfitta (maturata a Verona alla penultima giornata a giochi già fatti) in tutto il girone di ritorno.
Quale Juventus ha fatto meglio in Europa?
Ogni ragionamento sulla Juventus, però, non può prescindere dal percorso europeo, dalla magnifica ossessione per la Champions League. Sotto questo aspetto, Allegri si fa di gran lunga preferire a Conte, per aver raggiunto e perso due finali, oltre ad aver subìto l’onta dell’eliminazione per mano del Bayern Monaco e del Real Madrid solo a pochi secondi dal fischio finale, negli altri due casi. Quindi il campo della nostra ricerca si restringerebbe a sole due formazioni: quella scesa in campo a Berlino per affrontare il Barcellona (2015/16); e quella che a Cardiff ha provato a contendere la “Duodécima” al Real Madrid (2016/17).
A Cardiff la Juventus tenne il risultato in bilico per un tempo, poi crollò sotto i colpi di un Madrid che francamente le era superiore in tutto. Le poche indicazioni di Zidane all’intervallo bastarono al Madrid per inclinare a proprio favore il piano della partita: Carvajal e Marcelo salirono lungo le fasce con maggiore coraggio, supportando l’azione di Isco e di Modric alle spalle degli esterni bianconeri, Mandzukic e Alves.
A Berlino, nonostante il colpo psicologico del vantaggio iniziale siglato da Rakitic dopo appena 4 minuti, la Juventus riuscì a riprendere in mano la partita. Anzi, nel momento in cui subì il gol di Suarez in contropiede, i bianconeri sembravano in pieno controllo delle operazioni. Allegri stava per mettere il proprio marchio su quella finale, quando nel secondo tempo decise di alzare la pressione ad ostacolare la costruzione bassa dei blaugrana. Dopo il gol del pareggio di Morata, la Juve alzò ancor di più il proprio baricentro, sicura dei propri mezzi. Finì però per esporsi al contropiede, l’arma segreta della squadra di Luis Enrique, che quell’anno decise di affondare il tiqui-taqua per affidarsi completamente all’estro dei 3 migliori attaccanti del mondo: Messi, Suarez, Neymar.
Una squadra, quella dell’edizione 2014/15, zeppa di talenti individuali con un livello tecnico particolarmente alto. Tevez, in due anni alla Juventus, mise a segno 50 gol in 95 partite in tutte le competizioni: un centravanti di piccole dimensioni ma fortissimo fisicamente, con un primo controllo eccezionale e rapidissimo sugli appoggi. Il suo lavoro tra le linee fu cruciale per avere la meglio in semifinale contro il Real Madrid. Morata accoppiava tecnica e velocità in maniera eccezionale, in quella Juventus poteva giocare da punta pura o da esterno sinistro, mostrando qualità assoluta in entrambi i ruoli.
In quella Juve si riscoprirono le doti difensive di Leonardo Bonucci, che secondo molti era inadatto a giocare in una linea a quattro ai massimi livelli e invece riuscì a esprimere a pieno tutte le sue doti, compresa la visione di gioco. Il vero cuore di quella squadra era il quadrilatero di centrocampo formato da Pirlo-Marchisio-Pogba-Vidal: un mix micidiale di geometrie, fantasia, forza e cuore. Allegri cucì su Vidal il ruolo di assaltatore: in fase di non possesso, era il trigger che scatenava la pressione offensiva di tutta la squadra; in quella offensiva, muovendosi dalla posizione di trequartista, arrivava puntuale in area con i suoi inserimenti (arrivando a segnare 7 gol e a realizzare 4 assist; aveva fatto di meglio la stagione prima quando di gol ne aveva segnati 11 e di assist ne aveva realizzati 5).
Più di tutte, la Juventus che arrivò in fondo all’edizione della Champions League 2014/15 ha mostrato qualità nella manovra e capacità di controllo sulla partita, sia dal punto di vista tecnico che dal punto di vista mentale, necessarie per conquistare il trofeo. Più di quella dello scorso anno arrivò vicina a vincerla, giocando a lungo alla pari e in controllo contro un Barcellona eccezionale. Tutto sommato è a quella formidabile stagione che potremmo ricondurre il picco dell’esperienza vincente di questo ciclo. Sempre che il prossimo anno non saremo costretti a rifare questo stesso ragionamento da capo.