3 giugno 2008, è il "Pirla-day": parola di José Mourinho

Serie A

Alfredo Corallo

Il 3 giugno del 2008 (esattamente 10 anni fa) José Mourinho sbarcava alla Pinetina e si presentava alla stampa con la celebre frase: "Sì, ma io non sono pirla...". L'inizio di un "matrimonio" durato 2 anni, che culminerà nel Triplete lasciando un ricordo indelebile nel cuore dei tifosi interisti, prima del divorzio...

Alle 2 passate Matilde era ancora lì a farsi i selfie allo specchio con i suoi occhialetti colorati a forma di cuoricino. Ma una giornata così andava festeggiata e poi è grande ormai, non è più la ragazzina di 10 anni fa (il daddy dovrà farsene una ragione). Era poco più che adolescente, ma anche la primogenita di casa Mourinho ha lasciato un pezzo di cuore a Milano e il wedding party di una coppia di amici al Castello Di Casiglio è stato un ottimo pretesto per rivedere la città dove ha vissuto per un paio di stagioni. Certo è una coincidenza davvero bizzarra: perché era un 2 giugno anche il giorno che papà José firmava il contratto di matrimonio con l'Inter e la mattina seguente si sarebbe presentato in abito blu all'altare della Pinetina con quella che ebbe tutta l'aria di una liturgia, e confetti per tutti, titoli ai giornali e sogni di tituli agli interisti, promettendo loro di essere fedele e di amarli e onorarli tutti i giorni della sua vita. Finché il Real non li separi...

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La manifestazione del consenso

Mourinho e l'Inter erano entrambi sopravvissuti a una dolorosa separazione: l'allenatore portoghese "tradito" - esonerato - dal Chelsea; Massimo Moratti spiazzato dalle parole d'addio di Roberto Mancini che dopo l'ennesima eliminazione dalla Champions aveva annunciato di voler andar via... di casa. Nasce quella sera di metà marzo a Liverpool la decisione di voltare pagina, di guardarsi intorno: e nonostante il ripensamento del Mancio, il presidente non tornerà sui suoi passi. È lo stesso Mou nella sua prima conferenza stampa di Appiano Gentile a svelare il mistero, approfittando di una domanda sul suo italiano già così perfetto. "L'ho imparato presto perché sono molto intelligente... no, io ho capito la domanda: tu vuole preguntare quando Inter ha parlato con me la prima volta. Dirò la verità: è stato il giorno dopo la seconda partita con il Liverpool. Ma nulla in quel momento era stato deciso. Ho studiato molto meno però, in tutto tre settimane". 

Il mago di Setubal

Il profeta José dispensa le sue perle di dialettica, lasciando ammaliati i giornalisti presenti in sala e i telespettatori incollati per quasi un'ora alla diretta televisiva, ipnotizzati dalla maestrìa oratoria del nuovo Mago, uno che - a parere dei vecchi cronisti - non si vedeva dai tempi di Helenio Herrera. Ma se al Chelsea si auto-incensò da Special One, (anche) alla luce di otto mesi da "disoccupato" e un campionato tutto da scoprire, sceglie di non esagerare, non subito, almeno. "Come voglio essere chiamato? Niente di speciale, voglio essere semplicemente José Mourinho, che ha la stessa motivazione e una grande passione per il calcio".

Finché non allenta il nodo della cravatta e si scioglie nella sua prosopopea filo-herreriana. In ordine sparso: "Amo molto la comunicazione, soprattutto perché finisce sempre con una mia decisione...". "I miei giocatori sono i migliori del mondo: l'ho detto quando allenavo una piccola squadra e oggi non posso che confermarlo". "Se porterò la mia famiglia a Milano? Certo, mia moglie è una persona fantastica che mi dà tutta la serenità per allenare e i miei figli sono bambini del mondo: senza famiglia José non lavora". Sugli obiettivi: "Nel calcio moderno è quasi impossibile vincere tutto, ma abbiamo la metodologia giusta per mantenere un livello altissimo durante la stagione in tutti i fronti".

I nerazzurri erano reduci da 3 scudetti consecutivi: "Roberto (Mancini, ndr) ha fatto un super lavoro, ma l'Inter deve dimenticare quello che ha vinto: quella è storia. Sono qui per cambiare la filosofia calcistica, la serie A può tornare ad essere il miglior campionato del mondo". "La Champions? In Europa almeno 11 squadre vogliono vincerla, noi siamo tra queste". "Sembro antipatico, è vero, ma solo in panchina. Sono sempre concentrato e serio, quando mi riguardo in tv ho la stessa sensazione perfino io. Ma vi assicuro che fuori sono differente...". Per arrivare al colpo di genio. 

Ma io non sono pirla

In questi anni la retorica mourinhana ha fatto scuola, è stata vivisezionata dagli scienziati della Comunicazione che ne hanno studiato la prossemica e ogni aspetto semiologico. Quella mattina del 3 giugno Mourinho recita il suo monologo a memoria, non c'è spazio per l'improvvisazione, come nel suo modo di intendere il calcio, maestro e "maniaco" dei dettagli qual è. Ci lavora con un professore, a Lisbona, ferrato nel dialetto milanese. Così, l'occasione per giocarsi il jolly arriva propizia su una domanda "riformulata" in italiano: "Pensa che Lampard potrebbe trovarsi in difficoltà in Serie A?" chiede un giornalista dall'accento inglese. "Perché mi chiedi di un giocatore del Chelsea?", replica il tecnico. "È un modo furbo di rifare la domanda del mio collega" (che José aveva eluso ndr). E allora Mourinho, con tanto di boccuccia e pause da attore consumato: "Siiiì. Sissississì... ma io non sono pirla...". Risate e applausi, come da copione. 

Parola di José

Da quel momento perderà un po' di quella leggerezza e anche il suo italiano non sarà più così fluente, distratto dalla sua guerra personale con il "rumore dei nemici", che Mourinho sente dappertutto, ne fa una malattia, anche se ormai è chiaro a tutti che si tratti di una strategia "politica", sposata in pieno dalla sua tifoseria che, come i suoi giocatori, per lui "si getterebbe nel fuoco". Le "manette", la performance sulla "prostituzione intellectuale" e gli "zeru tituli" della Roma (allenata peraltro da Luciano Spalletti), del Milan e della Juventus. Per chiudere con la "parabola" dello struzzo português e mezzo milanées, in perfetto stile Abatantuono ("Allora dobbiamo fare tutti como quell'animale là, quello chi mette la testa giù, sotto? Io no so il suo nome in italiano... Bravo giornalista, o struzzu!"), per un nuovo capitolo della sterminata produzione letteraria interjuventina, costantemente aggiornata, dalla A di Agnelli alla Z di Zanetti: "Area con venticinque metri ce n’è solo una in Italia..." riferendosi platealmente ai bianconeri. Era il febbraio del 2010, qualche mese dopo avrebbe portato l'Inter alla conquista del Triplete, non mantenendo però fede alla promessa di matrimonio del 3 giugno: "Voglio rimanere all'Inter per i miei 3 anni di contratto, se non di più". Parola di José.