#SkyMisterCondò, Carlo Ancelotti si racconta

Serie A

Paolo Condò

Torna su Sky Sport la serie condotta da Paolo Condò: “Mister Condò – Gli allenatori si raccontano”, con un episodio dedicato all’attuale allenatore del Napoli. Da sabato 31 agosto alle 18.45 e alle 24.00 su Sky Sport Serie A alle 01.00 su Sky Sport UNO. Disponibile su on demand e Sky Go

JUVE-NAPOLI LIVE

Molti profeti del calcio descrivono il gioco come uno sfogo di pessimi umori: la rabbia, i nervi, la tensione, la cattiveria. Poi c’è Carlo Ancelotti, che ottiene gli stessi risultati - anzi, molto migliori - usando una faccia rilassata e i modi bonari di chi apprezza i propri campioni anche nelle loro umane debolezze. Ha vinto tanto e ovunque nel mondo, Ancelotti, e Napoli è la scommessa con la quale vuole guadagnarsi l’ultimo spicchio di Pantheon. Sempre col suo stile, ovviamente. [Paolo Condò]

Leggenda narra che Carlo Ancelotti da bambino avrebbe potuto sfondare nel ciclismo (complice una vittoria ai Giochi della Gioventù), se il suo cuore fin dall’infanzia non avesse pulsato al ritmo dei calci dati al pallone, prima contro il muretto dietro casa, in via Vallicella; poi nel Reggiolo, la squadretta locale.

Al giovane Ancelotti il talento e la passione non mancano, ma le opportunità neppure e la prima capita al Parma, in C1, grazie anche a Cesare Maldini, il primo dei grandi campioni che incontrerà in seguito, nel corso della sua carriera. Non è la velocità la sua dote migliore, ma la sua visione del gioco e il suo senso del gol, caratteristiche apparentemente perfette per giocare da centrocampista arretrato, dietro le due punte, dove lo posiziona Maldini, che siede sulla panchina del Parma, subentrato in corsa, dopo l’esonero di Landoni, Al termine della stagione 1978-79, la squadra, seconda nel suo girone, deve affrontare la Triestina al Menti, nello spareggio valido per la promozione in B. A Roma, impegnato a ottemperare agli obblighi di leva, un giovane e poco imparziale Paolo Condò, attende con ansia, via radio, il fischio iniziale. Una fetta di Roma, invece, è a Vicenza e assiste curiosa in tribuna. Si tratta della dirigenza giallorossa, al gran completo, da tempo in corsa con l’Inter per accaparrarsi il gioiellino emiliano.

Lui si fa attendere, ma non manca l’occasione. Segna la doppietta che - a 40 anni di distanza - ancora toglie il sonno ai tifosi triestini e convince il presidente Dino Viola, che quel diciannovenne, forse un po’ lento, sì, ma decisivo, deve a tutti i costi trasferirsi nella capitale. È così che quell’estate, per 750 milioni, Carlo Ancelotti passa alla Roma, dove ad attenderlo c’è Nils Liedholm, il “Barone”. Sarà quello il secondo incontro fondamentale della sua vita.

Dicono che tu possa considerarti un mito soltanto se hai imparato da un grande maestro e hai svezzato a tua volta un grande allievo. Il primo maestro di Ancelotti fu Nils Liedholm, depositario del necessario equilibrio nella Roma ruggente di quegli anni. Arrigo Sacchi è stata un’altra fonte d’ispirazione, meravigliosa ma un po’ stressante. L’ allievo è ovviamente il figlio Davide, che da tempo lo accompagna in panchina. Ancelotti cerca di trasmettergli il meglio delle due carriere vissute. Difficile dire quale pesi di più... [Paolo Condò]

Nella Roma di Cerezo, Agostino Di Bartolomei e Falcao, il giovane Ancelotti osserva, assorbe, si diverte. Da Prohaska prende a esempio la gestione del gioco e delle partite; di Liedholm apprezza l’ironia e la pacata serenità con cui si approccia ai giocatori. Fa tesoro di tutto, anche dello scudetto vinto (il secondo della storia della Roma), ma per entrare da giocatore nella leggenda del bel gioco, non basta. Per diventare immortale, serve una squadra fatta di invincibili e un profeta che li sappia guidare. L’epopea inizia il 24 maggio 1989 e trent’anni dopo, c’è ancora chi non la può dimenticare: 2 Coppe dei Campioni, 2 Coppe Intercontinentali, 2 Supercoppe UEFA, 2 scudetti e 1 Supercoppa italiana in soli cinque anni. Chi mai potrebbe pensare a qualcosa di meglio, per concludere la propria carriera da giocatore?

Milano vicina all’Europa è un concetto che Ancelotti declina in due fasi diverse della sua vita: da vecchio saggio del centrocampo milanista e da giovane tecnico di una formazione rossonera ricca di talenti. Fa pratica in Nazionale, come assistente di Sacchi e agli esordi, per non sbagliare, lui li schiera tutti, diventando l’uomo che sussurra ai campioni. E pensare che all’inizio stentava a capirli. A Parma aveva rifiutato Robi Baggio ed emarginato Zola perché il 4-4-2 era la sua unica spiegazione del mondo, e in quella scatola non c’entravano. L’incontro con Zidane gli allarga l’orizzonte: il centro di gravità non è il modulo, è il giocatore. Dopo le stelle di Parma, Ancelotti alla Juve comincia a gestire grandi giocatori in serie, e la sua capacità di guidarli va anche al di là dei risultati, che a Torino non abbondano. Ma il suo passato di campione in campo convince sempre lo spogliatoio, che lo rispetta permettendogli di sopportare l’etichetta di eterno secondo. Gli viene appiccicata in un pomeriggio inzuppato di pioggia e lacrime a Perugia, gli viene tolta in coda a una notte lunga e drammatica a Manchester, dove la vittima del suo Milan è proprio la Juventus. [Paolo Condò]

L’avventura di Ancelotti alla Juventus, si conclude dopo due anni e almeno un paio di delusioni. Tornare a casa, per risollevarsi non sarebbe male. Ecco perché quando il Parma lo chiama e gli chiede di tornare, accetta. La bozza di contratto è pronta, ma proprio tra una clausola e l’altra si insinua Galliani. Così, dalla mattina al pomeriggio, il Carletto nazionale si ritrova di nuovo sulla panchina del Milan. La sua storia in rossonero sembra esprimere un concetto solo: vincere. E infatti vince anche da allenatore e ripercorrendo i fasti di dieci anni prima conquista tutto: 1 Coppa Italia, 1 scudetto, 1 Supercoppa Italiana, 2 Coppe dei Campioni (nel frattempo diventate UEFA Champions League), 1 Supercoppa UEFA e 1 Coppa del Mondo per club. Carlo Ancelotti non ha dubbi: Milano è casa sua e lo sarà per sempre, ma per apprezzarla di più deve starne lontano. Le sirene dall’estero non mancano, anzi, sono ammalianti e hanno il volto di alcune delle più belle città europee. Da qui in poi gli incroci coi campioni si sprecano ed è proprio lontano dall’Italia che entra di diritto tra i più grandi di sempre.

Londra, e dopo Parigi, e poi Madrid, e ancora Monaco di Baviera. La firma Ancelotti diventa una griffe del lusso, di quelle vetrine che recano i nomi delle capitali glamour nelle quali il marchio ha aperto bottega. A partire da Stamford Bridge, il suo è un giro d’Europa di esperienze veloci e vincenti, incontrarsi, trionfare e salutare. Succede a Mourinho al Real e a Guardiola al Bayern, due eredità di segno opposto ma che lui maneggia con analoga proprietà. Ha a che fare con patron molto tosti, da Roman Abramovich in giù: li seduce il tempo necessario per vincere. [Paolo Condò]

Diviso tra Inghilterra, Francia, Spagna e Germania, diventa uno dei cinque allenatori (insieme a Tomislav Ivić, Ernst Happel, José Mourinho e Giovanni Trapattoni) ad aver vinto il massimo campionato in 4 paesi diversi. Regalando la Décima al Real Madrid, è diventato il secondo tecnico, dopo Bob Paisley, in grado di vincere per tre volte la Champions League. Dopo di loro, solo Zinédine Zidane e stato in grado di eguagliarli. In Europa ha ottenuto più trionfi UEFA di chiunque: 7. Dietro di lui, Giovanni Trapattoni e Alex Ferguson, a quota 6, ma se ti chiami Carlo Ancelotti - di certo non sei nato per scattare, ma neppure per star fermo a compiacerti di successi già raggiunti, che chiunque, al posto tuo, solo potrebbe sognare di realizzare. Hai fame di nuove sfide. Ecco perché Napoli.

Certo, non sarà casa, ma è il miglior lido da cui ricominciare.

Non si può allenare il Napoli senza sentirsi partecipi delle aspirazioni della sua gente. Dopo le molte avventure all’estero, Ancelotti torna in Italia perché c’è un club che ha bisogno di lui per compiere l’ultimo passo, e questo club vive in una città differente, una per cui vale la pena di spendersi oltre il concetto di rapporto di lavoro. Da giovane in campo Carlo marcava Maradona, il più grande paladino di Napoli, e lo faceva pure con la necessaria decisione. Ha contratto un debito che va pagato, e lui è pronto. [Paolo Condò]

Illustrazioni di Giuseppe Ferrario per SkySport