
Mario Corso, morto l'artista della Grande Inter: talento e sinistro nella storia. FOTO
È scomparso all'età di 78 anni uno dei simboli del club nerazzurro, mancino straordinario che ha scritto la storia della società con Helenio Herrera. Classe, estro e titoli memorabili nella Grande Inter degli anni Sessanta: quattro scudetti, due Coppe dei Campioni e altrettante Coppe Intercontinentali. Ripercorriamone la carriera attraverso le immagini più belle

"É scomparso Mario Corso, interista, campione eterno dotato di infinita classe. Con il suo sinistro ha incantato il mondo in una squadra che ha segnato un’epoca. I pensieri e l’affetto di tutti noi vanno alla famiglia in questo momento difficile". Così l'Inter, attraverso i propri canali ufficiali, ha voluto ricordare uno dei giocatori simbolo della società
Addio a Mario Corso, mancino della Grande Inter
Nato a Verona nel 1941 e cresciuto nell'Audace di San Michele Extra, società del veronese, Mario Corso viene scoperto dall'Inter dove si trasferisce il 20 giugno 1958 insieme a Da Pozzo e Guglielmoni (costo totale dell’operazione 9 milioni di lire). In nerazzurro diventerà una bandiera con 94 gol segnati (75 solo in campionato) in 502 partite fino al 1973
Mario Corso, Moratti: "Pelé lo voleva nel Brasile"
Che giocatore era "Mariolino" Corso? Maglia numero 11 e ala sinistra atipica, piuttosto un centrocampista votato a creare con un mancino straordinario. Lo chiamavano "Il piede sinistro di Dio", lui che è riconosciuto come l’inventore del tiro "a foglia morta" utilizzato in precedenza da Didì. Specialista dei calci piazzati, conclusioni da effetti e traiettorie imparabili per i portieri avversari

Tecnica, estro e fantasia: un giocatore diverso da tutti gli altri, lui che divideva tra estimatori innamorati del suo gioco (su tutti il presidente Angelo Moratti) e chi invece poteva contestarne il carattere come il "Mago" Herrera. Atipico per profilo e collocazione tattica, indubbiamente uno dei più grandi calciatori italiani degli anni Sessanta

Qui con Giuseppe Meazza, altro giocatore simbolo dell'Inter, Corso era riconoscibile in campo per i suoi calzettoni arrotolati come omaggio a Omar Sivori ovvero uno dei suoi modelli calcistici. Sarà un emblema dei nerazzurri che vinsero tutto e prediletto del presidente Moratti, lui che lo adorava come il figlio Massimo stravedeva per il "Chino" Recoba negli anni Duemila

Un pezzo fondamentale della "Grande Inter", un po’ l’irregolare della squadra ma che divenne subito centrale nel gruppo: debuttò a 16 anni e 322 giorni in Coppa Italia contro il Como, esordio con gol che lo candidò a più giovane marcatore di sempre della storia interista. E sempre nel 1958, il 30 novembre, segnò al Bologna all’età di 17 anni, 3 mesi e 5 giorni

Dicevamo dello scarso feeling con Helenio Herrera, incompatibilità caratteriali che spingevano ogni estate il "Mago" a chiederne la cessione. Partenze scongiurate dall’amore calcistico del presidente Moratti, figura che garantì a renderlo intoccabile. Ecco perché Corso risulta ancora oggi uno degli eroi della "Grande Inter" che vinse tutto

Quattro gli scudetti conquistati in nerazzurro, titoli che ci riportano al 1963 e al 1965 oltre al 1966 e al 1971. Gioie in Italia ma non solo per il "Piede sinistro di Dio" che, con quell’Inter, si prese anche l’Europa e il mondo

Due le Coppe dei Campioni centrate insieme a quel gruppo memorabile: la prima nel 1964, quando i nerazzurri festeggiarono un titolo inedito battendo 3-1 il Real Madrid a Vienna. Nell’edizione seguente ecco il bis, 1-0 al Benfica targato Jair. E "Mariolino" disputò entrambe le finali da titolare e protagonista in campo

Mario Corso è inoltre ricordato per il suo gol segnato il 26 settembre 1964 all'Independiente nell’incontro-spareggio per assegnare la Coppa Intercontinentale. Al minuto 110, primo tempo supplementare, il talentuoso nerazzurro regalò all’Inter la vittoria e il titolo di campione del mondo per club bissato un anno più tardi sempre contro gli argentini

Un'ala atipica che preferiva l’assist alla conclusione individuale, un artista del pallone: istintivo ed estroso, lui che poteva "sparire" dal campo per diversi minuti e inventare la giocata decisiva. Ironicamente Gianni Brera lo ribattezzò "participio passato del verbo correre" per via del suo risparmio di energie in partite, forse meno atleta di altri ma a suo modo geniale

Lo amava papà Angelo, lo ha adorato Massimo Moratti che ha raccontato all’Ansa: "Era l’unico calciatore che Pelé avrebbe voluto nel suo Brasile. Questo per far capire ai giovani la portata della classe del mio amico. Era il mio preferito della Grande Inter, anche mio padre lo adorava e lui rimase sempre vicino alla nostra famiglia. Tecnica sopraffina, gioco in controtempo, le punizioni cosiddette 'a foglia morta': un piacere vederlo giocare"

Imprescindibile nell’Inter, meno fortunato con la Nazionale italiana nonostante la doppietta contro Israele (15 ottobre 1961) che gli riservò il soprannome "Piede sinistro di Dio" per tutta la carriera. Scarso il feeling con il Ct Fabbri, bilancio che in Azzurro recita 23 presenze e 4 gol nel decennio. Chiuderà la carriera al Genoa tra il 1973 e il 1975, ritiro segnato da un grave infortunio alla tibia

Mario Corso diventa allenatore dal 1977: prime esperienze al Sud dalla Primavera del Napoli a Lecce e Catanzaro. Poi, nel 1984, torna all’Inter dove inizia nel settore giovanile ed eredita la prima squadra da Castagner per volere del presidente Ernesto Pellegrini. Si separerà dai nerazzurri nel 1986 e chiuderà in panchina tra Mantova e Barletta fino al Verona nel 1992 prima di tornare all'Inter come osservatore

Qui con Cesare Maldini e Sandro Mazzola in un’immagine più recente, Mario Corso è rimasto legatissimo all'Inter: quando i nerazzurri conquistarono il Triplete nel 2010, lui soffriva talmente in occasione della finale contro il Bayern che non riuscì a seguirla. Un amore proseguito nel tempo e che, dopo la sua scomparsa, ha rinnovato il ricordo di un giocatore straordinario e unico nel suo genere