Quando Paolo Rossi divenne Pablito
il ricordoPaolo Condò ha scelto di ricordare Paolo Rossi attraverso il racconto del suo Mondiale 1978, spiegando come "più che un’occasione perduta, era stata una meravigliosa premessa" di quello che sarebbe successo 4 anni più tardi in Spagna
Nel 1978 Paolo Rossi era arrivato in Nazionale come un vento fresco e irresistibile, spinto dal calcio senza pensieri del Real Vicenza - così veniva chiamata la formazione di Gibì Fabbri, capace di uno straordinario secondo posto - e da una capacità di fare gol che lasciava senza parole. Paolo era un fruscio in area di rigore, quando lo avvertivi era già successo tutto, ladro di tempi di gioco come nessuno.
La maglia da titolare
Il povero Ciccio Graziani, titolare con Bettega di quelle stagioni imperniate sul confronto fra Torino e Juventus, gli aveva dovuto lasciare il posto in modo ineluttabile, fin dall’amichevole prenatalizia di Liegi, contro il Belgio, data del debutto dell’uomo che sarebbe diventato Pablito.
L’altro Rossi
Nella primavera successiva, sulla strada del Mondiale argentino, emerse un Rossi anche in difesa, il terzino sinistro della Juve Antonio Cabrini, ed è da allora che ogni c.t. in avvicinamento a un Mondiale si sente chiedere se non scorga in campionato dei nuovi Rossi e Cabrini, eletti archetipi delle novità che ti cambiano la vita in extremis.
Pablto a Mar del Plata
Divenne in fretta Pablito, a Mar del Plata. Il gol dell’1-1 alla Francia, poi trafitta dal 2-1 di Zaccarelli, il gol dell’1-0 all’Ungheria nella seconda partita vinta 3-1, il trasferimento a Buenos Aires per la terza gara con l’Argentina - ininfluente ai fini della qualificazione ma fondamentale per dire al mondo che l’Italia correva per il titolo - il triangolo di sublime precisione che manda in gol Bettega e i nostri sogni di vincitori del girone contenente i padroni di casa, futuri campioni del mondo. Ancora un gol di pura rapina, l’1-0 definitivo all’Austria, per aprire il secondo gruppo, poi uno sfortunato 0-0 con la Germania e la sconfitta dagli olandesi che ci costa la finale.
Una meravigliosa premessa
Per quattro anni pensammo tutti di aver perso un’occasione irripetibile, e l’esito mediocre dell’Europeo casalingo dell’80 (un altro quarto posto) corroborò quell’idea. Ma se eravamo andati così male era perché Pablito dopo l’Argentina s’era perduto: gli infortuni, la retrocessione col Vicenza, il passaggio a Perugia, la squalifica all’interno dell’inchiesta-scommesse per quella che era stata sostanzialmente un’omessa denuncia. Senza il suo centravanti ideale il calcio di Bearzot non riusciva a ricreare la brillantezza del ‘78. È per questo che il grande c.t. avrebbe insistito oltre ogni evidenza nell’aspettarlo, rischiando l’uscita al girone nel Mondiale che poi avrebbe vinto. Senza di lui non sarebbe potuto succedere. Ed è proprio festeggiando il titolo mondiale che tutti capirono come l’epopea del ‘78, più che un’occasione perduta, era stata una meravigliosa premessa.