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Scudetto Inter, la storia tattica

ultimo uomo

Dario Pergolizzi

©IPA/Fotogramma

Il percorso tattico che ha portato l'Inter di Conte a diventare Campione d'Italia, dall'inizio complicato all'incredibile fila di successi degli ultimi mesi. 

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Antonio Conte alla fine è riuscito a compiere la piccola rivoluzione nel calcio italiano: l’Inter è la prima squadra diversa dalla Juventus a vincere lo scudetto dopo dieci anni. Il percorso per tornare al successo in questo biennio non è stato certo lineare, anzi. A un certo punto, sembrava che l’idillio fosse finito, sia dopo la finale di Europa League persa contro il Siviglia, sia nei primi mesi dopo la conferma, con l’Inter al quarto posto nel girone di Champions e che non riusciva a trovare continuità in campionato. Nonostante questi intoppi e le dinamiche dirigenziali particolari che hanno caratterizzato anche la prima parte del 2021, Conte è riuscito a mantenere la sua squadra incollata all’obiettivo, ritoccando man mano alcuni elementi della sua struttura e riuscendo, infine, anche a trovare delle collocazioni rilevanti per dei giocatori di qualità come Hakimi ed Eriksen, inizialmente usati con parsimonia.

 

I primi mesi: doppio mediano e problemi difensivi

Il percorso di Conte è iniziato con la conferma degli accorgimenti visti nella chiusura della stagione precedente, quando abbiamo visto un assetto diverso rispetto ai canoni: un 3-4-1-2 pensato forse per migliorare l’inserimento di Eriksen, che però si era definito soprattutto sulle spalle di Nicolò Barella, nella duplice funzione di mediano o trequartista. Conte aveva delle ambizioni offensive molto forti, e questo assetto prevedeva tre differenze sostanziali: le rotazioni durante la costruzione, l’organizzazione del pressing e la disposizione delle due punte.

 

A inizio azione la palla circolava da sinistra a destra, e il mediano opposto si abbassava al fianco del difensore centrale, portando il braccetto di destra largo e alto in fascia; l’esterno di centrocampo allora era ancora più in alto o stretto e combinava con i movimenti della punta (Lukaku a destra e Lautaro a sinistra) e del trequartista, che generalmente fungeva da compensatore.

Classica rotazione di avvio manovra col 3-4-1-2.

 

Questa rotazione si era iniziata a vedere con continuità già alla fine della scorsa stagione, con Candreva al posto di Hakimi. Conte ha deciso di mantenerne l’ossatura, ma in definitiva Barella si è preso la posizione a ridosso delle punte più spesso di Eriksen grazie alla sua maggiore consistenza. Lukaku e Lautaro si dividevano lo spazio più in orizzontale che in verticale, e quindi rispetto a prima erano meno coinvolti nella costruzione. Per Lukaku non è stato un grosso problema: nel suo gioco ama defilarsi per ingaggiare dei duelli anche in velocità con i difensori;  Lautaro, invece, è stato meno coinvolto, anche perché l’Inter ha preferito lo sviluppo sul lato opposto – soprattutto con il graduale inserimento di Hakimi – ma l’argentino è riuscito quantomeno a mantenere una certa costanza sotto porta. L’Inter ha mantenuto un buon livello di produzione offensiva, ma i problemi sono arrivati dalla protezione della propria area.

 

L’ambizione di Conte era anche quella di mettere in campo una squadra molto aggressiva nel recupero del pallone, che potesse pressare alto per la maggior parte del tempo. Per riuscirci aveva pensato di aggiungere un uomo più vicino delle punte. Il piano non è stato sempre efficace, e anzi in diverse partite ha concesso grosse occasioni proprio come diretta conseguenza di questa scelta: lo spazio tra difensori e centrocampisti in fase di pressing era una terra di nessuno, in cui i centrali non riuscivano a uscire con il giusto tempismo, mentre i due mediani venivano presi in mezzo tra l’uscire in avanti e l’andare a coprire.

Quando il pressing alto veniva bucato, per l’Inter erano dolori.

 

Conte ha provato a compensare dando più spazio a Vidal e Gagliardini, con Brozovic che faticava particolarmente a presidiare quelle distanze, ma alla fine, chissà se a causa degli impegni ravvicinati, di una difficoltà strutturale o di problemi nella trasmissione dei concetti, ha deciso di fare un passo indietro.

 

Un passo indietro: baricentro più basso e ritorno ai tre centrocampisti

Tre giorni dopo la pesante sconfitta per 2-0 contro il Real Madrid in Champions, l’Inter si presenta a Sassuolo con Barella a fare da pendolo tra la posizione di mediano centrale e quella di trequartista nei rari momenti di pressing in avanti. Da questo momento, quella che prima era una strategia da utilizzare ad hoc nella singola gara, è diventata un aspetto strutturale della squadra. Conte è un allenatore particolarmente ambizioso dal punto di vista offensivo e quest’anno ha dimostrato di saper anche scendere a compromessi e di riuscire a inserire, certo a modo suo, anche dei profili che in passato non avremmo considerato “adatti” al suo gioco. Però quando c’è in ballo la solidità difensiva, Conte non scende a compromessi. Non valeva più la pena, per lui, insistere con quell’atteggiamento: bisognava tornare a macinare punti prendendo meno gol possibile. Non sapremo mai se insistendo, con un po’ di pazienza, Conte sarebbe riuscito magari a rendere l’Inter effettivamente una squadra intensa nel pressing alto.

 

L’Inter non ha più avuto problemi di copertura dello spazio tra le linee né equivoci nel pressing. I difensori laterali, rassicurati dalla minore distanza tra i reparti, senza quindi correre subito in avanti, rompevano la linea anche in maniera preventiva con più sicurezza, e in più potevano contare del supporto di un centrocampista extra. 

La prima partita giocata abbassando il baricentro. Per gli avversari è diventato molto più difficile giocare tra le linee, grazie alle uscite più sicure dei difensori e dei reparti più vicini.

 

L’Inter ha scelto dunque di disturbare il primo palleggio degli avversari solo con delle sporadiche corse delle punte, anche non accompagnate da un mediano a rimorchio, pur di privilegiare la protezione della propria trequarti. L’impatto di questa scelta è stato netto, sia dal punto di vista dei risultati che nell’inversione di tendenza nello stile di gioco. Oltre a non aver praticamente più perso (l’unica sconfitta da qui in poi è arrivata in Coppa Italia contro la Juventus), l’Inter è passata dal tentare di aggredire alta e creare ripartenze corte, all’aspettare l’avversario senza fretta. Una svolta evidentissima nelle statistiche: prima della partita di Reggio Emilia, il valore medio PPDA era di 11.8 un dato che insieme all’altezza media dei recuperi palla, 37.5, posizionava l’Inter al primo posto in campionato per entrambe le classifiche (quelle che misurano l’aggressività del pressing). Dopo, il cambiamento drastico: l’Inter ha il quart’ultimo valore PPDA (20.1) e il sesto valore di altezza media dei recuperi (34.6). Insomma, l’Inter del filotto che ha sigillato il campionato è una squadra estremamente paziente quando la palla è in possesso altrui.

 

Le certezze offensive e l’integrazione dei nuovi arrivati

Ovviamente tutto ciò non avrebbe portato a nulla senza un’adeguata capacità di produrre e capitalizzare occasioni. L’Inter ha potuto permettersi di rinunciare al pressing e, poi, anche a un po’ di possesso, soprattutto perché aveva uomini capaci di ribaltare il campo e manipolare le difese avversarie attraverso dinamiche iper-collaudate.

 

Anche partendo da un baricentro difensivo più basso, l’Inter ha mantenuto la maggior parte dei suoi principi offensivi, almeno quelli più evidenti: proseguire l’avanzata in uno spazio verticale diverso da quello in cui è partito lo sviluppo o in alternativa, se l’attacco si torna stesso corridoio, il giocatore che riceve deve preferibilmente essere uno diverso da chi ha effettuato il passaggio; la palla che se va sull’esterno deve tornare il più velocemente possibile al centro e viceversa, quando arriva direttamente alla punta deve allargarsi nuovamente, l’uso di passaggi diagonali, il muovere la palla da un lato all’altro contro blocchi bassi per invadere l’area con tanti uomini, e così via.

Su quest’ultimo aspetto, Conte è particolarmente esigente.

 

Il dominio di Lukaku e Lautaro è l’apoteosi del gioco offensivo di Conte: due punte in simbiosi totale nella ripartizione degli spazi, capaci di ingaggiare duelli in campo aperto contro i difensori, ma anche di fare da raccordo per l’attivazione delle fondamentali triangolazioni col terzo uomo, un altro tema principale delle risalite della squadra di Conte. Ci sono partite in cui i due giocano più smarcamenti combinati corto-lungo in tandem, soprattutto contro squadre che enfatizzano l’aggressione dei difensori e magari rischiano la parità numerica, per tirare fuori un marcatore e attaccare lo spazio alle sue spalle, e partite in cui devono combinare di più con esterni e centrocampo andando anche a supporto in diagonale. 

Una simbiosi perfetta.

 

Il polo Barella-Lukaku-Hakimi sul centrodestra è diventato particolarmente influente grazie alle dinamiche che nascono dall’interazione di tre giocatori così intensi e qualitativi, ma non bisogna sottovalutare neanche la crescita di Bastoni dal lato opposto del campo, che garantisce all’Inter sia di poter sviluppare i primi passaggi lontano da quei tre - attirando la difesa avversaria e potendo poi trovarli anche in spazi grandi - sia di apportare varianti attraverso la conduzione profonda o la verticalizzazione. 

Giocata a tre: scambio interlocutorio tra Barella e Lukaku, inserimento di Hakimi nello spazio alle spalle del difensore che esce sulla punta, verticalizzazione elegane di Barella (con pausa di suola per aspettare il momento perfetto).

 

Negli ultimi mesi Eriksen è stato sempre più coinvolto, interno con compiti di costruzione che si abbassa favorendo una rotazione sulla fascia sinistra con Bastoni che è più libero di salire senza palla. La partecipazione dei braccetti all’azione offensiva attraverso delle proiezioni profonde è un aspetto che in passato non era così frequente, ma è una variante fondamentale per mantenere una certa imprevedibilità durante l’assedio di squadre chiuse. Avere Eriksen in grado di abbassarsi sulla sinistra consente di creare dinamiche simili a quelle che si vedevano con Barella e Skriniar sul lato opposto con il 3-4-1-2; rotazioni simili a quelle che lo stesso Conte ideava per il suo storico 4-2-4: i difensori laterali sono chiamati ad agire come farebbero, canonicamente, i terzini, nelle combinazioni laterali. Il gol di Lukaku contro il Bologna è esemplificativo di ciò: Bastoni triangola con Young, Eriksen rimane a protezione.

Sovrapposizione interna del difensore.

 

Il quadro è completato dall’apporto meno appariscente di Darmian (formalmente una riserva, ma che entra spesso nelle rotazioni ed è persino riuscito a raccogliere 3 gol e 3 assist) capace di agire su entrambe le fasce e abbastanza diretto nell’attacco dell’area senza palla, e del rientrante Perisic, che l’anno scorso era stato bocciato dallo stesso Conte per la sua incompatibilità difensiva, ma che oggi si è preso la fascia sinistra.

 

La massima espressione dell’Inter quest’anno è dunque arrivata dopo che Conte è riuscito sia a riempire il suo undici titolare di più giocatori offensivi possibile, sia a ritrovare solidità puntando sui suoi capisaldi: un gioco offensivo posizionale “all’italiana”, ai limiti della codifica integrale, e l’enfasi del sovrannumero difensivo per far ritrovare sicurezze ai suoi difensori. Lo scudetto è il giusto premio per tutto questo, e adesso resta da vedere cosa riserverà il futuro, per Conte e l’Inter, con l’intenzione di diventare competitivi anche in Champions League.