Inaspettatamente Paulo Fonseca: tutti i retroscena dello sfogo dopo l'Atalanta

Questa volta non se l’aspettava proprio nessuno. Un Fonseca così duro contro gli arbitri, un Fonseca così duro in generale, non se l’aspettava nessuno. Dire che quello contro l’Atalanta sia stato un postpartita complicato, anche per noi che l’abbiamo vissuto dietro la telecamera, diventa quasi un eufemismo. Però, a ripensarci a mente più fredda, forse ci saremmo potuti arrivare. Bastava guardare dentro la nebbia di San Siro, durante Milan-Empoli: le immagini ritraggono l’allenatore portoghese molto innervosito. Non si può trattare solo di tensione durante una partita , ma di una rabbia che covava e che ha portato allo sfogo sei giorni dopo. Quando invece i tre punti contavano molto di più. Destinatario della rabbia: La Penna. L’arbitro che proprio non è piaciuto a Bergamo e che già Fonseca aveva additato come grande responsabile dell’espulsione, da Varista, di Rejinders in Milan-Udinese. Per lui, quel rosso resta dubbio. E dopo la gara contro l’Atalanta ha voluto proprio esprimere come per lui ci sia quasi una forma di premeditazione che vede nel Milan una vittima: come è possibile – è il pensiero del portoghese – che La Penna venga in qualche modo fermato dopo quella decisione di Udine, si ritrovi ad arbitrare in Serie B qualche partita, e torni in Serie A proprio di nuovo contro il Milan? Parole durissime, su cui potrebbe esprimersi la Procura Federale ma su cui invece non dovrebbe dire nulla, almeno per ora, la dirigenza rossonera. E anzi, il punto è proprio questo. Dov’era la dirigenza rossonera ieri? Probabilmente, un po’ di inesperienza qui ha influito. Perché ai tempi di Galliani, per citare uno dei massimi esempi, era il dirigente che nervoso, ma lucido, andava ad analizzare la condotta arbitrale nel postpartita. Lasciando all’allenatore solo e soltanto l’analisi tattica, di campo. Quanto non accaduto ieri denota però un altro grande punto. Quello della personalità di Fonseca. Sia chiaro, un allenatore in Serie A di personalità ne deve avere per forza. O non allenerebbe. Ma sappiamo bene che ci sono alcune figure più aziendaliste, e altre più dirompenti. Ecco, Fonseca era stato scelto soprattutto perché sembrava coincidere con il primo tipo di profilo, quello cioè più pacato, che raramente si sarebbe esposto con parole così forti. O con scelte così drastiche, come era stato in passato con Leao. La personalità, si scriveva, non poteva certo mancare: o non si sarebbe messo, un po’ a sorpresa, a escludere per tre partite consecutive il suo numero 10. Che ha anche provato a rispondere a tono dal ritiro del Portogallo, ma ha trovato di fronte un muro. E quel muro, alla fine, gli è servito per rialzare il livello. In queste ore, di fatto, si sta riassumendo tutto quello che Fonseca non si pensava potesse essere e invece, solidamente, è. Con tutti gli errori del caso, perché non è mai stato ‘da Milan’ accettare sfoghi come questi. Ecco, nessuno se lo sarebbe potuto aspettare. Ma è successo. E non c’è niente di machiavellico dietro: quelle parole non sono servite per sviare l’attenzione sulla sconfitta, ma perché le pensava davvero. Più chiaro di così...

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Peppe Di Stefano