Sono io il vostro fuoriclasse

Un viaggio partito da zero Era il 2004 quando acquisì il titolo sportivo del Napoli per appena 32 milioni di euro. Il club praticamente non esisteva più: fallito, senza giocatori, senza struttura, senza futuro. Lui lo prese, lo ribattezzò Napoli Soccer, e iniziò a costruire da capo. Seguendo una visione e una strada tutta sua: cercando di imporre il suo punto di vista, provando a portare le logiche di un’industria all’interno del mondo del calcio, sbagliando ma trovando sempre la soluzione ai propri errori. Tre anni dopo arrivò la promozione in Serie A. Da allora, mai una retrocessione, mai conti in rosso, mai un fallimento gestionale e, dopo poco, squadra stabilmente in Europa. Fino a poco fa mancavano ‘solo’ le vittorie: ma a livello di risultati nel lungo periodo era certamente fra i migliori Napoli di sempre. Ora lo è in assoluto. Eppure, il paradosso è servito: la piazza non l’ha mai amato davvero. Troppo accentratore, troppo distante, troppo ‘presidenziale’. “Non mi interessa essere simpatico. Mi interessa vincere”, ha detto una volta De Laurentiis. E forse tutto si spiega lì. Numeri alla mano: una lezione di finanza calcistica In un sistema in cui le società di calcio sono spesso esempi di cattiva gestione, il Napoli ha rappresentato per anni un caso virtuoso. Dal 2007 a oggi il bilancio è stato in utile 11 volte su 17. E in questi bilanci in passivo, le perdite più grandi sono state realizzate nel periodo della pandemia, quando tutti hanno perso qualcosa, inevitabilmente. Se consideriamo il decennio 2013–2023, il Napoli ha chiuso in attivo per circa 140 milioni complessivi. Nessun altro club italiano, esclusa l’Atalanta che ha numeri molto simili a quelli partenopei, ha avuto una simile stabilità finanziaria. “Nel calcio c’è troppa improvvisazione. Io porto un’industria dove ci sono i conti”, ripete spesso il presidente. Ed è difficile dargli torto. Nella stagione 2022-2023 – quella dello scudetto con Spalletti – il Napoli ha fatto registrare un utile netto di 80,1 milioni di euro, il più alto della sua storia, con ricavi pari a 359,2 milioni, trainati dalla Champions League e dalle plusvalenze. E tutto questo sempre guardando il costo del personale: addirittura in quella stagione il monte ingaggi scese a circa 110 milioni . Il rapporto costo/ricavi è tra i più virtuosi della Serie A. In questa stagione il Napoli ha fatto addirittura meglio. Perché secondo le stime dei siti specializzati, il Napoli ha addirittura il quinto monte ingaggi della Serie A con un totale di 82 milioni di euro, meno quindi dello scudetto di Spalletti. Riuscire in questa impresa non è merito soltanto di Conte, che certamente ha riacceso la testa e la passione dei suoi ragazzi, ma anche del presidente che ha sempre tenuto la propria linea, che alla fine si è dimostrata vincente. Senza contare che in questi vent’anni, il Napoli ha generato circa 400 milioni di plusvalenze nette, vendendo giocatori come Lavezzi, Cavani, Higuaín, Jorginho, Koulibaly, Fabian Ruiz, Kim e acquistando calciatori semi-sconosciuti poi esplosi a Napoli. Un ciclo continuo: Osimhen e Kvaratskhelia sono solo gli ultimi. E’ riuscito sempre a rigenerarsi, sempre a trovare il modo di far ripartire dei cicli, affidandosi spesso a progetti credibili. Napoli sempre in Europa Con l’unica eccezione della stagione 2024-25, il Napoli è sempre stato presente nelle coppe europee: 13 partecipazioni tra Champions ed Europa League, con tre ottavi di Champions, due semifinali e la voglia costante di competere. Anche grazie all’esperienza dei propri allenatori diversi tra loro, ma sempre messi nelle condizioni di poter rendere al massimo. Ha iniziato Reja, ha proseguito Mazzarri. Poi è toccato a Benitez, Sarri, fino ad Ancelotti a Spalletti. E ora, Antonio Conte. Tutti scelti da De Laurentiis, tutti pronti a scrivere una pagina speciale nella storia del club azzurro. In questi 20 anni sono passati da Napoli decine di giocatori iconici. Alcuni sono diventati veri e propri simboli: Hamsik è il giocatore con più presenze nella storia del club, Insigne è stato il capitano dell’era moderna, Koulibaly uno dei migliori difensori in circolazione. Altri hanno scritto pagine straordinarie: Cavani, Higuaín, Mertens, fino a Osimhen e Kvara, protagonisti dello scudetto numero 3. Il primo dopo Maradona. Quel Maradona che oggi - incredibilmente - è stato ‘pareggiato’. L’ombra lunga del Diez Ogni successo, a Napoli, viene paragonato a ciò che è stato Diego. È inevitabile. Il terzo scudetto è stato celebrato come ‘quello dopo Maradona’, visto che ancora oggi l’argentino ‘veglia’ sui destini della città. Ma c’è una differenza sostanziale, incredibile, pazzesca: Maradona è stato il più grande di tutti, lo potremmo definire in senso allargato un miracolo, De Laurentiis invece ha vinto con un metodo, il suo: ha vinto con due allenatori diversi, ha vinto abbassando le spese, dettando le condizioni secondo le sue idee. Maradona è stato una benedizione divina, De Laurentiis una convinzione personale. Decidete voi quale è più difficilmente replicabile. Oggi il Napoli è una società sostenibile, autonoma, internazionale. E chissà che, come diceva uno degli allenatori simbolo dell’era De Laurentiis, magari “Il meglio deve ancora venire”. Certamente una cosa incredibile è arrivata davvero. Ma con De Laurentiis c’è sempre un nuovo film da girare. E c’è da capire se accetterà la sfida che anche Conte ha messo sul tavolo: far diventare la società ancora più strutturata. Con la crescita del settore giovanile, il centro di allenamento, il nuovo stadio… Oggi, a 75 anni, dopo due scudetti, tre coppe nazionali, decine di milioni generati, un’identità precisa e un club solido, Aurelio De Laurentiis è il presidente più vincente della storia del Napoli. Non è stato solo il “vostro Cavani”, ma molto di più. Ha scritto la storia del Napoli e di Napoli. Ha fatto diventare la sua società il club del Sud nettamente più vincente della storia della Serie A. Non potrà dire mai di essere il “vostro Maradona”, ma a modo suo ha fatto qualcosa di unico, chissà se mai ripetibile…

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Luca Marchetti