Vlahovic, la Juventus e quel sorriso da ritrovare

Dei seicento e più muscoli che compongono il corpo umano, anche quello scolpito di Dusan Vlahovic, ce n’è uno che da tempo lui non usa più, almeno in campo. Si chiama ‘risorio’ e basterebbe una piccola contrazione di questo minuscolo fascio per accennare un sorriso. Altro non fa, che tirare l'angolo della bocca lateralmente e verso l'alto. Mezzo, sorriso, ecco: neppure uno intero, eppure la fatica che gli fa muovere il risorio, in questo momento, vale più di cento flessioni. Di tutte le espressioni possibili immaginabili non c’è traccia evidente di felicità in campo, tanto meno dopo un gol, come se quella soddisfazione Vlahovic non volesse darla a nessuno, per certi versi neppure a se stesso, almeno non prima di aver completato un percorso di resistenza interiore che sembra avere una scadenza precisa: 30 giugno 2026. Neppure sotto forma di riflesso incondizionato il ragazzone serbo riesce a lasciarsi andare. Ha ritrovato il gol, l’attaccante della Juventus, ma non la manifestazione di gioia che una rete dovrebbe scatenare naturalmente, incontenibilmente. O forse la gioia c’è, anzi sicuramente è lì, ma impastata con rabbia e orgoglio tanto da risultare un retrogusto, più che un sapore deciso. E dire che di motivi per sorridere in questo periodo ne avrebbe parecchi, a cominciare da quello stipendio che è diventato uno scioglilingua: 33.333, 3333 periodico, ovvero la sua remunerazione quotidiana che a fine mese diventa 1 milione di euro e che in tanti, quasi tutti, gli rinfacciano. Per non parlare di quel fantasma francese di nome Randal che da gennaio aleggiava sulla sua testa e che solo all’ultimo giorno il vento del mercato ha portato a Londra. Il dualismo Kolo Muani-Vlahovic è ufficialmente consegnato al passato, mentre il futuro di Dusan, si sa, è tutto da scrivere: letteralmente da scrivere, sotto forma di contratto. È vero che mai come ora la concorrenza in attacco non manca, ma David non è il giocatore arrivato dall’oggi al domani, a metà stagione, per metterlo in panca. Eppure, non sono i gol in sé, quanto la sensazione di essere di nuovo decisivo, dopo tanto tempo, che dovrebbe sciogliergli la maschera di ghiaccio con cui entra puntuale in campo. Scarpette, maglia e broncio: ecco il kit da partita di Vlahovic, che sia in casa o in trasferta. Era da febbraio che non la provava, da Cagliari-Juventus che un suo gol non determinava in modo diretto una vittoria della sua squadra. Un conto è segnare, un conto è incidere, fare davvero la differenza, quella che banalmente in modo algebrico riporta un tabellino. Nelle ultime dieci partite giocate nello scorso campionato aveva segnato due reti, adesso gli sono bastati 38 minuti per consumare il bis. È vero che anche l’anno scorso, alla seconda giornata, la classifica marcatori diceva due, ma la sensazione di un Vlahovic più leggero oggi rispetto a ieri è evidente. Ora però non può non avere un’altra piccola sfida personale, in ‘serbo’: segnare per tre partite consecutive in campionato, cosa che non gli è riuscita nell’ultimo. Ha avuto bisogno della Champions, a ottobre del 2024, per mettere in fila questa sequenza. La dieta di Vlahovic non prevede pasti regolari al momento, ma un digiuno intermittente che dura da quasi un anno. E mai come stavolta il gol numero tre lo riavvicinerebbe ai tifosi, quelli che lo fischiano ma che urlano il suo nome dopo ogni rete. Il prossimo avversario si chiama Inter ed è l’occasione migliore per scatenare, oltre ai soliti addominali, anche i muscoli del viso. Per una risata non servono tutti i 40 che attraverso la nostra faccia raccontano chi siamo, ne bastano dodici. Per quel sorriso che stiamo ancora aspettando invece, ora lo sappiamo, ne basta uno: uno dei pochi che varrebbe davvero la pena allenare per tutta la vita.

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Veronica Baldaccini