Garritano era il vero 'dodicesimo uomo' in campo

C’era una volta quello che si chiamava l’attaccante di riserva. E non era come oggi, sinonimo di un giocatore meno bravo o pronto degli altri, anzi spesso era l’uomo in più nei momenti che contavano o se vogliamo dirla meglio era il ‘dodicesimo uomo’. Nella rassegna, spesso di ovvietà, delle parole che si dicono nel calcio di oggi uno dei ritornelli che ascoltiamo più spesso è quello “dell’abbiamo 25 titolari” oppure “è più importante chi finisce la partita piuttosto di chi la inizia”. Frasi fatte e spesso non vere che servono a placare i bollenti spiriti del calciatore di turno o magari la reazione social di procuratori, fidanzate o familiari vari. La notizia della morte, a 70 anni, di Salvatore Garritano è una di quelle che riportano alla mente la figura di un giocatore che ormai non c’è più. Uno di quelli che partivano spesso dalla panchina, che non finivano in copertina, ma che sapevano aspettare e farsi trovare pronti. Gente silenziosa, concreta, seria e soprattutto rispettata dai compagni e amata dagli allenatori. Simbolo di una generazione di giocatori che hanno fatto del sacrificio e della pazienza un’arte. Garritano non era un bomber da prima pagina, basta guardare le sue statistiche, ma i suoi gol, quando arrivavano, pesavano come macigni. Quello che ogni tifoso granata ricorda ancora oggi è quello realizzato al Milan il 4 aprile 1976, quando il Torino di Gigi Radice inseguiva la Juventus nella corsa scudetto. Una rete con il sinistro al volo, dopo aver preso il posto di Paolo Pulici da pochi minuti, di potenza e istinto che valse il 2-0 per i granata e che di fatto spianò la strada a quel tricolore storico, l’ultimo della storia torinista con la sconfitta in contemporanea della Juventus contro l’Inter. Garritano aveva solo vent’anni, e in quel momento divenne per sempre uno dei volti simbolici di quella cavalcata: attaccante di scorta ma dal cuore grande, capace di restare nell’ombra finché non serviva la sua luce. Era un giocatore generoso, che accettava la panchina senza rancore, ma che quando veniva chiamato in causa rispondeva sempre presente. Dopo l’esperienza al Torino, la sua carriera lo portò a indossare tante maglie importanti del calcio italiano: Atalanta, Bologna, Sampdoria, Pistoiese, Ternana e altre ancora. Ovunque è andato, ha lasciato la stessa impronta: professionalità, umiltà e un sorriso discreto, da uomo di calcio vero. Uno che non alzava mai la voce, ma che in campo faceva parlare i fatti. In un calcio che non prevedeva turnover o rotazioni, lui era l’alternativa di lusso, l’arma in più quando le panchine non erano affollate e i cambi pochi. Garritano incarnava quella normalità eroica che apparteneva a tanti calciatori di quegli anni. Oggi il calcio è fatto di social, di numeri e di statistiche. Allora contavano solo i novanta minuti, e bastava una giocata, un gol, un guizzo per entrare nella storia. Il suo colpo al volo al Milan nel ’76 ne è l’emblema. Nel calcio di oggi, dove ogni panchina pesa, la sua figura diventa quasi romantica. Rappresenta la parte più umana e collettiva del gioco, quella fatta di attesa, pazienza, e di un amore vero per la squadra. Salvatore Garritano è stato questo: un attaccante di riserva con un’anima da titolare. Una giocata, un gol che lascia un segno che resta per sempre.

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Garritano era il vero 'dodicesimo uomo' in campo

Giovanni Rispoli