Cristiano De Rosa: "Vi racconto Merckx e il posto del cuore… italiano"

C’è un posto del cuore per Eddy Merckx in Italia. Quel posto è la fabbrica del cuore. C’è una foto che attira subito l’attenzione quando si entra in De Rosa, in via Bellini a Cusano Milanino. Si fa veramente fatica a non vederla. È posizionata sulla porta che dallo showroom conduce all’officina. Il punto di collegamento tra la parte espositiva e quella che sta dietro alla bellezza del mezzo. Una sorta di filo continuo tra l’aspetto prettamente agonistico ed estetico e quello meccanico in senso stretto. E’ una foto in corsa di Eddy Merckx del 1976 in maglia Molteni seguito dall’ammiraglia. Sul sedile posteriore c’è il signor Ugo De Rosa che ha lo sguardo fisso sul campionissimo belga. Il loro è un rapporto speciale, partito nel 1972, su suggerimento di Gianni Motta e che unirà per sempre la famiglia De Rosa a Merckx. Per ‘Eddy’, come lo chiamano tutti - da Cristiano a Nicholas, rispettivamente figlio e nipote di Ugo – De Rosa è a tutti gli effetti la sua famiglia italiana del cuore. Non per il simbolo che rappresenta le omonime bici. Quanto per l’essere a tutti gli effetti uno di famiglia. Che va ben oltre il campione Merckx e si spinge molto di più in Eddy. Per questo abbiamo deciso di farci raccontare proprio da Cristiano De Rosa, AD di De Rosa, il lato di Merckx meno conosciuto, in occasione degli 80 anni del ‘Cannibale’. Quello a tratti più intimo, che sa toccare nel profondo e commuovere come quando si parla della presenza di Eddy al funerale del signor Ugo, ma anche far sorridere per le battute in milanese… Partiamo proprio da quella foto del 1976 che si trova nel vostro showroom, che segna il legame forte tra la vostra famiglia e Merckx “E’ una foto significativa ed emblematica per la nostra famiglia. Raggruppa mio papà sicuramente al servizio di Eddy Merckx ed Eddy Merckx al servizio di mio papà , perché insieme loro, oltre ad aver creato un bel rapporto, hanno evoluto davvero molto il mondo della bicicletta. In questa foto l’ammiraglia della Molteni è una Volvo 244. Stiamo cercando di comprarne una io e Mario Molteni per tenercela come ricordo. In questa foto c’è un momento emblematico: Eddy Merckx sta pedalando, c’è l’ammiraglia della Molteni, c’è la bicicletta sopra e c’è Eddy in posa che gratifica tutto il lavoro fatto tra di loro. Il rapporto che c’era tra Eddy e mio papà era un rapporto di grande rispetto, oltre che molto professionale. Uno al servizio dell’altro. Perché secondo me Merckx ha evoluto tantissimo il mondo della bicicletta: con mio papà insieme ai signori della Campagnolo si è arrivati a un punto in cui l’evoluzione di alcuni componenti, mi riferisco soprattutto alle parti leggere, perché Eddy era attento ad avere la bici più leggera possibile, ha dato risultati incredibili. Insieme hanno fatto un ottimo lavoro e Campagnolo li ha seguiti. Ecco, il loro servizio reciproco ha portato all’evoluzione della bicicletta. Eddy è stato un grande innovatore dal punto di vista tecnico: i primi componenti in titanio, i primi componenti in ergal, dovevano essere oltre che leggeri, al tempo stesso forti e resistenti in termini di flessione e torsione. Mi ricordo che lui voleva un perno del movimento molto rigido per far sì che non avesse dispersione mentre manifestava tutta la sua potenza in bici. In quella foto vedi proprio un rapporto professionale, in quella squadra, ma al tempo stesso di grandissima stima reciproca”. Se ti chiedessimo chi è per te Eddy Merckx, cosa ci rispondi? “Divido questa risposta in due. Merckx è il più grande atleta che sia mai esistito a livello ciclistico. Perché una persona che vince 525 corse è un qualcosa che oggi, indipendentemente da questo ciclismo moderno entusiasmante, dà una contabilità ben chiara: 5 Tour e 5 Giri, il Mondiale, 7 Milano-Sanremo, Liegi-Bastogne-Liegi, Freccia-Vallone, Giro delle Fiandre, tutte queste corse vinte… Pensa che lui è molto fiero del 100% di partecipazione alla Vuelta: ne ha corsa una e ne ha vinta una, figurati… Dal punto di vista atletico ti dico che è il corridore più forte che sia mai esistito. Mi auguro che invece che con i corridori di questa nuova generazione, mi riferisco in particolare a Tadej Pogacar che a me piace tantissimo, si possa leggere la stessa contabilità di successi che Eddy Merckx ci ha presentato. Poi c’è la parte umana: un amico, una persona che ha legato tantissimo con mio papà Ugo, una persona che realmente ha portato a tutti noi una sorta di rapporto vero, sincero, di stima, e anche di benessere, nel senso che con Eddy Merckx la famiglia De Rosa ha guadagnato in qualità. Tutti noi siamo delle persone molto grate nei suoi confronti. Ci sono due Eddy Merckx. C’è l’Eddy amico e di famiglia: ha vissuto a lungo a casa nostra, perché dopo aver chiuso con l’attività professionistica, e si è messo in testa di mettere in piedi la sua azienda di bicicletta, mio padre gli disse: ‘Eddy non so se ti conviene, fai cose diverse’. Ma lui rispose: ‘Ho due figli, voglio dare un futuro anche a loro’. Quindi quando ha deciso di mettere in piedi l’azienda, ha vissuto mesi a casa nostra con mio padre che gli ha fatto capire cosa dovesse fare. C’è quindi un rapporto di amicizia con tutta la famiglia. Dire che è una persona straordinaria, si rischia di cadere nei luoghi comuni. Eddy lo devi vivere. La sera magari giocavamo a scala quaranta e si arrabbiava quando perdeva: quel suo agonismo nell’interpretare le cose è lo stesso che adoperava quando era in sella. E’ una grande persona: rispettosa, nei confronti di mio papà ha avuto un punto di riferimento come se mio papà fosse il fratello maggiore, se non addirittura proprio il padre. Abbiamo condiviso con lui tanti valori”. Voi siete un’azienda familiare. Eddy Merckx, per te, per tuo fratello, i tuoi figli e nipote, è uno di famiglia a tutti gli effetti? “Eccome! Eddy è un punto di riferimento per tutti. Più di una volta ha invitato in Belgio i miei figli. Ha avuto delle vicissitudini ultimamente. Non è stato bene, ha avuto qualche problema all’anca ed è stato operato. Quando lo chiamo gli dico: ‘Eddy ti è piaciuto il Giro’ e lui risponde ‘Sì mi è piaciuto però…’ ti dice sempre un però… ‘Eddy come stai oggi?’ – ‘Eh mi fa male qui, mi fa male questo’ e io gli rispondo: ‘Alla tua età è normale che ti faccia male qualcosa’. Entri dentro in un rapporto personale. L’ultima volta è stato buffo, dato che si lamenta sempre, perché mi ha detto: ‘Cristiano non mi fa male più niente perché mi hanno sbagliato l’operazione all’anca e adesso me l’hanno sistemata’. Per mesi si lamentava di questo dolore persistente e aveva ragione, aveva realmente questo problema non so se dipendente da una protesi difettosa o che cosa. Parliamo di queste cose e anche del ciclismo moderno: ha una grande stima di tanti corridori, un po’ meno per come stanno posizionati in sella. C’è sempre un momento di confronto e questo è molto bello, anche con i miei figli”. Merckx è stato uno dei campioni stranieri più italiani di sempre? “La sua storia è italiana, a volte fa finta anche di parlare il dialetto milanese e fa morir dal ridere. Perché è molto italiano? Perché a parte i primi anni, la sua storia ciclistica è stata italiana. Quando ha creato la sua reale popolarità lo ha fatto alla Molteni, legato a noi, per un paio di anni a Colnago, legato moltissimo a Italo Zilioli e ad Albani come direttore sportivo. Lui ha ragionato tantissimo da italiano ed è una delle sue prerogative. Eddy è stato molto amato in Italia, ciclisticamente parlando, indipendentemente dal fatto di aver battuto campioni italiani come Motta e Gimondi. Con Felice c’è stata una grande rivalità… Io lo sento molto italiano”. Quando si parla di Gimondi e Merckx si torna all’epoca delle biglie e della tua infanzia. “Quando giocavo alle biglie mi stava ‘sulle balle’ Dancelli perché il mio amico aveva la biglia di Dancelli e vinceva sempre quando giocavamo in spiaggia. Battute a parte, faccio tanti auguri a Dancelli che non è stato bene ultimamente e ce lo ricordiamo per una grande vittoria alla Milano-Sanremo. Nell’infanzia ho dei ricordi ben chiari: Eddy faceva star bene il personale della Molteni. Mi capitava di andare a incontrare mio padre alle corse con mia mamma e mio fratello Danilo e ho sempre percepito un occhio di riguardo da parte di Merckx nei confronti di mio padre e del personale del Team Molteni. Essere parte integrante di una squadra come la Molteni e noi tifosi. Vedere mio papà che lavorava tanto, ci ha trasmesso tanta passione. Perché quando vivi nel mondo delle corse il ciclismo ti rimane addosso, stampato. Mi ha trasferito tantissima passione”. Che capitano era Merckx? “Considerate che gli ultimi anni in cui ha corso, quando ha creato la Fiat France e poi la C&A, era ormai un corridore in declino però aveva con sé persone molto legate a lui, anche contrattualmente. E lui ha portato avanti la squadra, anche se andava piano, con una grande professionalità. Eddy era un grande capitano, un vero capitano, non perché vinceva le corse, ma perché era un leader in tutto e per tutto. Si è visto poi quando ha messo in piedi la sua azienda in Belgio, a Meise, come costruttore di biciclette: una parte del personale era composto da persone che avevano fatto parte delle sue squadre. Ha trascinato anche in questa esperienza persone legate a lui. Era ed è un vero leader”. Nel marzo 2023 è morto tuo padre Ugo e stava per uscire la 70, la bici per l’anniversario dei 70 anni del marchio De Rosa. Merckx, che ha paura dell’aereo, è venuto al funerale di tuo padre e ha voluto compare subito una 70. “Eddy è venuto al funerale di mio padre ed è stato il suo primo viaggio che ha fatto dopo tanti anni. Erano anni che non prendeva più un volo . Perché non stava bene, poi il Covid, in tanti hanno smesso di volare. Quando è venuto si è presentato a noi come fratello maggiore. Mi ha anche sgridato. In Italia c’è un modo di sepoltura che in Belgio non c’è. . Eddy mi ha “sgridato” perché mio padre non è stato sepolto nella terra. E mi ha detto che in Belgio non cementano perché l’anima deve essere libera di uscire. E’ stato un momento fortissimo. Poi è rimasto seduto mezz’ora su una panchina al cimitero ”. Lui ha voluto subito una 70 e ha voluto pagarla. “Un euro. Mi ha detto: ‘Io la pago perché ho già avuto le bici gratis da Ugo’ . Mi ha detto: ‘Voglio una 70’, nonostante sia legato ancora al suo marchio anche se lo ha ceduto alla Ridley. Ha voluto la bicicletta De Rosa e ha voluto pagarla, abbiamo dovuto discutere a lungo. Allora gli ho detto: ‘Mi mandi un euro’. Gli ho fatto la fattura di un euro e lui mi ha dato questo euro. L’ha montata, ha trovato la sua posizione, perché Eddy era ed è maniaco sulla posizione in sella. Oggi le bici hanno un’impostazione diversa dalla sua degli anni ’70. L’ha trovata abbastanza aggressiva e abbiamo ragionato sugli accorgimenti: metti più spessori allungati, porta indietro la sella, ti do un reggisella che si arretra…lui su queste cose ha basato la carriera da professionista. In un Giro d’Italia mio padre gli portò 23 biciclette per 21 tappe. Oggi ci si lamenta delle troppe bici, dei troppi camion officine, qualcuno dice che sia uno spreco… Eddy è stato il primo, negli anni ‘70. Un furgone 238 con tetto rialzato era dedicato solamente a lui per il trasporto delle biciclette, più mezzi che tappe. E ogni bicicletta era diversa dall’altra, perché lui nella sua maniacalità è sempre stato attento, ha sempre richiesto la geometria e la bici adatte a ogni tipo di tappa e di corsa. Era di un’attenzione che ha portato Eddy a essere il più forte anche da questo punto di vista. E’ stato il primo atleta che ha realmente evoluto la tecnica e la costruzione delle biciclette. Oggi quando ci sentiamo dice che i corridori proiettati troppo in avanti nella postura non sono messi bene in bicicletta. E parte il dibattito. Inizia a dire: ‘Sono seduti sul water’… E io gli rispondo: ‘Sì, ma vanno forte’. E lui: ‘Sì vanno forte però usano le pedivelle più corte’ mentre lui le usava più lunghe. Però questo suo aspetto critico ha sempre creato qualcosa che poi ha sviluppato i prodotti. Per la Milano-Sanremo voleva dei perni del movimento più larghi. Perché con il famoso ‘fattore Q’, che all’epoca non si sapeva e ora è famoso, con le pedivelle più larghe riusciva a scaricare il peso e andare più forte in curva. Eddy andava molto forte in discesa: quando negli anni ’70 gli spagnoli lo attaccavano in salita, lui spesso recuperava molto in discesa, era un corridore che sulla discesa ha basato tantissimo le sue performance. Ed era un corridore alto: è alto 1.83, è sempre stato un atleta anche pesante, non pesava 55kg, è un van der Poel di oggi, con la differenza che in salita si difendeva bene, andava forte a cronometro, era completo in tutto, il suo palmares lo racconta”. Tuo padre Ugo ti ha mai raccontato il loro primo incontro? “Oh sì. Il primo incontro è stato semplicissimo. Mio padre era molto riservato, non si mostrava mai, era sempre in disparte. Era l’opposto di Ernesto Colnago, lo dico con grandissimo rispetto per Ernesto che stimo tantissimo. Ernesto si è sempre mostrato con molta facilità, mio padre invece era molto timido. Quando mio padre però incontrava persone con cui dialogare si apriva tantissimo, parlava per ore, era molto socievole, raccontava e non si tirava indietro. Ma era abbastanza difficile togliere questa barriera. Mio padre Ugo all’epoca era il costruttore di Gianni Motta, un talento straordinario, secondo me uno dei talenti migliori di sempre del ciclismo italiano. Eddy guardava i telai e le bici di Motta. Un giorno, casualmente, prima della partenza di una gara, Merckx disse a mio padre: 'Ma ti sto antipatico?'. E mio padre Ugo rispose: 'No, anzi figurati'. Lo disse con molto timore, mio papà era un 'coppiano' e teneva tantissimo a Merckx. 'E perché non mi vuoi fare un telaio?' gli disse. Stiamo parlando di fine 1972, poi mio padre ha iniziato a collaborare con lui nel 1973. Allora Merckx gli diede le misure e gli chiese due telai. Mio padre era in estrema difficoltà con Gianni Motta e andò a parlarci: 'Gianni, mi è capitata questa opportunità, Eddy è venuto a chiedermi dei telai'. E Motta gli rispose: 'Guarda che te l’ho mandato io, falli perché per te è una grande vetrina ed esperienza'. Mio padre gli consegna i telai dopo una settimana, Eddy si trova subito bene e gli dice: 'Ugo per favore fammi tutti i telai, d’ora in poi sarai il costruttore mio e della Molteni'. Da lì poi inizia tutto il rapporto. Stiamo parlando del ’73. Eddy vince anche quell’anno, ma nel ’74 viene ufficializzato il rapporto tra Molteni e mio padre e nel ’74 Eddy vince Giro, Tour, Giro di Svizzera, Mondiale. Da lì in poi ha sempre lavorato con mio papà. Poi insieme hanno messo in piedi la fabbrica di Merckx in Belgio dopo il ritiro dalle corse. Mio padre partiva il giovedì, Eddy costringeva i dipendenti a stare in fabbrica anche la domenica. Il lunedì mio padre rientrava in azienda. Insieme hanno messo insieme lo staff tecnico e acquistato anche i macchinari, anche qui c’è tanta italianità, all’epoca le attrezzature migliori erano costruite in Italia. Le maschere, il piano di riscontro, le dime, tornio, fresatrici andavano a comprarle insieme. Merckx fece un grande investimento a Meise: comprò la casa e il capannone di fianco, ci ha messo tanti quattrini. Ugo era la persona di fiducia di Eddy”. Come vive Eddy il fatto che Tadej Pogacar venga spesso paragonato a lui? "Secondo me la vive bene, è anche contento. Non è per niente geloso, dice spesso che i record sono fatti per essere battuti. Anche sui guadagni, che oggi sono molto più alti. Lui risponde sempre: 'A me va bene così, io mangio un pollo al giorno…'. E’ tutto rapportato alle varie epoche: nella sua Eddy è stato il migliore in assoluto, oggi apprezza tantissimo che Pogacar sia paragonato a lui. So che in passato invece sul paragone con Evenepoel non era d’accordo, c’è proprio una diversità tra i due. Eddy ha una grande stima nei confronti di Pogacar. La grandezza di Tadej poi qualifica ancora di più quanto sia stato grande Merckx. Se facciamo un rapporto, oggi Pogacar corre molto di meno ma ha un rapporto corse e vittorie incredibile, Eddy correva una stagione più lunga. Oggi corrono di meno ma ovunque, negli Emirati per dire, in giro per il mondo. Eddy ha avuto più occasioni di vincere perché le gare erano tante. Poi a fine carriera si fa il conto di quanto si è vinto. Ecco non parlate di Thevenet a Eddy…nel 1975 perse il Tour per un pugno subito da un tifoso. Quello fu un fatto brutto, che nel ciclismo non dovrebbe mai succedere, si tifano tutti e tutto, non si tifa contro". Merckx anche tifoso granata? “E’ un grande tifoso dell’Anderlecht, ogni tanto mi stuzzica perché io sono tifoso dell’Inter. E’ un grande simpatizzante del Torino, per via di Zilioli. Lui era molto legato a Italo Zilioli, gli ha insegnato tantissimo a livello ciclistico. E poi era legatissimo anche a Vittorio Adorni e Giorgio Albani”. Però Merckx anche molto ‘milanese’, che prova a parlare il dialetto, lo dicevamo prima… “L’altro giorno ero al Vigorelli e mi sono ricordato di quella Milano ciclistica, quando il Vigorelli era stracolmo. C’era tanta bicicletta a Milano all’epoca, c’erano i costruttori. Nel dopoguerra la bici era il mezzo di trasporto di gran parte della popolazione, andavano tutti in bicicletta, il ciclismo era molto popolare, anche negli anni ’70. C’era la Bianchi, mio papà, appena fuori Colnago. Oggi la chiamiamo bike economy”. Cosa dirai quando gli farai gli auguri? “Ci sentiamo spesso, non deve essere una poesia, sarà come le normali telefonate che ci facciamo. Mi permetterò di fargli la prima telefonata martedì . Perché è giusto che sia così. Festeggiamo gli 80. Ho visto l’altro giorno che è stato ricevuto dal Re del Belgio, mi permetterò di dirgli, scherzosamente: ‘Ma scusa vai a prendere le onorificenze prima del tuo compleanno?’. Ho letto l’intervista al Corriere della Sera di Eddy, di Marco Bonarrigo e Aldo Cazullo, mi hanno detto che quando ha parlato di mio padre si è commosso. Oggi mi sono commosso io”.

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