E' giusto pagare un biglietto per vedere il ciclismo dal vivo?

Immaginiamo. E’ il 26 luglio 2026, gli ultimi 3 chilometri dell’Alpe d’Huez decideranno il vincitore del Tour de France. In fuga abbiamo Jonas Vingegaard, Tadej Pogacar e Remco Evenepoel. Sono in migliaia assiepati sui tornanti in uno dei luoghi tra i più mitici, non solo del ciclismo, ma dello sport in generale. Bandiere e cori, urla e corse a perdifiato, birra e i più strampalati travestimenti. In un mondo parallelo, sui tornanti dell’Alpe d’Huez troviamo comode sedie rivestite, tifosi seduti che tengono in una mano una pregiata birra artigianale e dall’altra una mini raclette finger food, cucinata al momento da uno chef all’interno del chiosco che offre cibo gourmet. Poco dietro, gazebi che riparano dal sole cocente, dotati anche di aria condizionata e di maxi schermi, per gustarsi in poltrona la prima parte della tappa, come, anzi, meglio che dal divano di casa. Sono due scenari totalmente diversi, quasi agli antipodi, che ricalcano la doppia visione di un dibattito che da qualche settimana sta scatenandosi sui social ma anche nei bar di paese dove il ciclismo è ancora lo sport del popolo. Dalle Fiandre al Veneto, passando per Roubaix e i Pirenei, tutti si chiedono: è giusto che il ciclismo diventi uno sport a pagamento? La rivoluzione di Pippo Pozzato Ogni rivoluzione ha il suo Robespierre. In questo senso la figura che più si avvicina è sicuramente quella di Filippo Pozzato, per tutti Pippo. Ex corridore dal talento cristallino, vincitore nel 2006 della Milano-Sanremo battendo in volata un certo Petacchi, nel palmares anche due tappe al Tour, una al Giro, una maglia tricolore. Uno dei personaggi più istrionici e acuti del gruppo, sempre un passo avanti sia in corsa che nella sua seconda vita da imprenditore sportivo. Già, perché Pippo ha in mano il Giro del Veneto, la Veneto Classic e tanti altri eventi , organizzate dalla sua PP Sport Event. Pozzato ha deciso di fare da apripista e lo ha fatto in modo intelligente e coraggioso, come quando ha istituito un biglietto per assistere alle fasi più importanti delle sue corse. Un esempio? All’ultima edizione della Veneto Classic, che si è disputata lo scorso 19 ottobre, si pagava un ticket di 10 euro per poter ammirare sul Muro della Tisa i corridori, su cui sono transitati sei volte. Attenzione, perché l’experience è simile a quella degli sky box in stadi e palazzetti, con dj set, food and drinks e maxi schermo per non perdersi nemmeno un istante della corsa, senza dover impazzire a seguirla con le dirette testuali o in streaming sullo smartphone. Risultato? Dai 120 paganti del primo anno, si è passati agli oltre 700 dell’ultima edizione. Numeri in costante crescita, che dimostrano come l’idea sia tutt’altro che folle dal punto di vista economico e sportivo. Il ciclismo a caccia di fondi e sostenibilità Perché far pagare un biglietto nel ciclismo? La risposta l’ha sintetizzata lo stesso Pozzato in un’intervista a cyclingpro: “Penso sia l’unica soluzione che abbiamo per sopravvivere in futuro. Siamo l’unico sport che non ha un modello con il ticketing. Non puoi contare sempre sull’ente pubblico: ormai i Comuni e le Regioni sono sempre più in difficoltà nel finanziare eventi. Il ciclismo non può più aspettare di sopravvivere così. Più si diventa sostenibili indipendentemente nel nostro mondo, più si va avanti. Quando ho applicato questo modello per la prima volta ho preso insulti dalla gente. Mi dicevano che volevo fare il classista. Per andare a vedere una partita di calcio di Promozione paghi anche 15 euro, perché non puoi pagare qualcosa per vedere i migliori ciclisti del mondo?”. Il suo sogno? Uno stadio a cielo aperto con tanto di tribune e una Veneto Classic da disputare a settembre, magari portandosi dietro i fenomeni del ciclismo contemporaneo come Pogacar, Van der Poel e Van Aert. All’estero che succede? Al Fiandre si paga già, e il Tour… In Belgio, dove il ciclismo è una religione e non un semplice sport, da qualche anno gli organizzatori fanno pagare l’accesso a un’area vip al Giro delle Fiandre. Abbiamo dato un’occhiata online e per il 2026 ci sono pacchetti hospitality che prevedono l’accesso sul Vecchio Kwaremont a oltre 550 euro a persona, per il doppio Pateberg si scende a 500, mentre per assistere alla corsa integralmente da una macchina al seguito della gara si arriva a oltre 4mila euro, compresi però un abbondante lunch e champagne . Insomma, prezzi decisamente poco popolari. Anche in Francia è stata ventilata l’ipotesi di mettere a pagamento qualche tratto delle salite più iconiche del Tour. Jérôme Pineau, ex corridore ed già general manager di B&B Hotels-KTM, l’ha toccata piano: “Privatizziamo gli ultimi cinque chilometri dell’Alpe d’Huez e facciamo pagare un biglietto. Oggi siamo in un sistema di ultra-ricchezza, ma le squadre muoiono. Il ciclismo così sparirà. E’ vero che siamo uno sport gratuito e popolare, ma che senso ha se fra qualche anno non ci saranno più squadre e corridori?”, ha spiegato al podcast Grand Plateau. Una proposta già bocciata da A.S.O., che organizza il Tour e la Vuelta, come confermato da Pierre-Yves Thoualt, Direttore aggiunto del settore ciclismo e braccio destro del boss Christian Prudhomme: “Per sua stessa natura, andare in bicicletta è gratuito e l'implementazione di un sistema di biglietteria non è assolutamente all'ordine del giorno”, ha detto al quotidiano Dernière Heure. Porte chiuse anche dall’Uci, per bocca del presidente David Lappartient: “Se cerchi di far pagare la gente per vedere il Tour, dovrai affrontare un’enorme resistenza. Storicamente, farebbe partire un dibattito nazionale”, ha detto interpellato dal quotidiano Ouest-France. Perché è giusto far pagare un biglietto nel ciclismo L’idea di Pozzato, ripresa anche da Pineau in Francia e già in corso nella Ronde, è in linea con il business sportivo che stiamo vivendo negli ultimi anni. Così come è stata strutturata, non toglie praticamente nulla alla gratuità di un evento che dura mediamente 4-5 ore e che è distribuito in uno spazio che varia dai 150 ai 250 chilometri. Insomma, il popolo del ciclismo potrebbe riversarsi come sempre in ogni spazio e in ogni luogo senza pagare un centesimo, salvo in quel breve tratto ‘privatizzato’ e monetizzato. Il ciclismo, in questo modo, farebbe un salto nel futuro, un po’ quanto fatto dalla Formula 1 con la gestione Liberty Media-Domenicali, dagli sport Usa ma anche dal tennis: non a caso Pozzato, in un’intervista a Fanpage, cita le Atp Finals come modello di riferimento. Experiences uniche, giovani maggiormente attratti da eventi cool su misura anche per famiglie e appassionati, comodità e servizi. Il tutto per garantire maggiori introiti alle cosiddette corse minori e, in un futuro più lontano, allargandosi ai grandi giri e contribuendo anche alla spartizioni di utili alle squadre, al momento le più penalizzate dell’attuale sistema ciclismo professionistico. Perché non è giusto far pagare un biglietto nel ciclismo Se c’è una cosa sacra nel ciclismo è che è l’unico sport professionistico per cui non serve pagare nulla. I nostri nonni erano a bordo strada, tra le macerie, per tifare Coppi e Bartali. I nostri padri hanno visto transitare, dal marciapiede davanti a casa, Merckx, Moser e Saronni. Noi ci siamo innamorati, inforcando la bicicletta per recarci ai piedi di una salita ad ammirare il Pirata e Nibali, poi accompagnato i nostri figli che impazziscono per il ciuffo di Pogacar. Proprio Tadej, interpellato sull’argomento da Bicisport, ha chiosato: “Ci sarebbero cose più importanti a cui pensare prima di far pagare i tifosi, come la necessità di dare alle squadre una parte degli incassi dei diritti televisivi”. Gli stadi a cielo aperto dell’Alpe d’Huez, del Ventoux, del Mortirolo, dell’Angliru non si toccano. Provate a pensare di chiudere l’accesso al pubblico ad Arenberg, sulla Cipressa, al Ghisallo? Il rischio è, infatti, che si cominci a far pagare pochi e selezionati tratti per poi arrivare a transennare in serie i luoghi più leggendari del ciclismo, con biglietti impraticabili per il popolo. E chi glielo dirà ai nostri nipoti che siamo stati noi a togliergli questo sogno?

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Claudio Barbieri