Ma quanto è divertente la vita dei piloti?

Diciamoci la verità: i piloti si divertono come dei matti, altrimenti non farebbero questo mestiere, troppo rischioso, a volte anche poco remunerativo e soprattutto con lo stress della sfida continua, costante che mette un’ansia addosso che solo un 'pilota' puo’ sopportare. Gli aneddoti in merito a questi comportamenti molto strani e particolari si sprecano, ma due a mio parere sono quelli che focalizzano meglio di qualsiasi altro il tipico approccio alle gare o alla pista di questi personaggi. Il primo è relativo al compianto Andrea De Cesaris, il 'mandingo' del paddock… così soprannominato per la sua mascella squadrata e per la costante abbronzatura, visto che passava parte dell’anno in mare ad allenarsi con windsurf. Gabriele Tredozi, ingegnere della Minardi, uno dei pochi ancora in grado di costruire una monoposto dal primo bullone all’ultimo rivetto, era il riferimento ai box della squadra faentina in F1. Il romano in pista aveva dato dimostrazione di essere un duro, proprio come il suo soprannome certificava. Verso la fine degli anni ’80, le scuderie iniziarono a progettare e realizzare, con il consenso della FIA, le comunicazioni tra muretto dei box e pilota. Certo nulla di simile a quelle attuali, infatti erano spesso poco chiare, sempre interrotte, mai in collegamento continuo e soprattutto da interpretare. Durante una delle primissime comunicazioni messe in essere dalla Minardi, nel corso di una sessione di prove libere, in pista c’era Andrea De Cesaris e al muretto Gabriele Tredozi. Il pilota prese il largo e iniziò a girare. Subito dal muretto si accorsero che c’era qualcosa che non funzionava. Alcuni strani rumori persistevano e martellavano il box. Era come se ci fosse un ritardo nel motore, durante l’erogazione. Tredozi, insospettito, cercò di parlare col pilota, ma le risposte non pervennero, se non sbiascicate. Eppure, la monoposto continuava a inanellare giri più che buoni, come se nulla fosse. Ad un certo punto tra l’incredulità generale, tutto fu chiaro; molto chiaro. Scoppiò una fragorosa risata al muretto dei box e tra l’ilarità più completa si capì che Andrea De Cesaris, con la bocca, simulava le cambiate di marcia e le accelerazioni. Il vroooooom più completo riecheggiava costantemente, ad ogni fine curva, staccata, ripartenza e cambiata. Un pazzo!!! Ma si gasava così. Solo così spingeva forte come sapeva fare. Un qualcosa di incredibile che solo Andrea poteva permettersi di fare, con il consenso o quasi del muretto dei box. La seconda 'bravata' ce la racconta Max Papis, il tipico belloccio italo americano ormai naturalizzato a stelle e strisce. Si è impiantato in una famiglia di piloti, i Fittipaldi, sposando Tati la figlia di Emerson e avendo due figli e altrettanti nipoti che hanno seguito le gesta del nonno e degli zii. Beh, Max era per la sua prima volta ad Indianapolis con le monoposto della Cart . La gara più importante di sempre per gli americani e oggi anche per gli italiani. Il catino bollente dell’Indiana è stato progettato e realizzato con ben quattro curve una diversa dall’altra, nonostante sia un ovale. La prima in assoluto è la più difficoltosa da interpretare. Max non riusciva a farla, il suo piede cercava di rimanere incollato al pedale, ma inevitabilmente la sua testa lo esortava a tirare indietro. Eppure tutti i piloti o quasi, a loro dire, la facevano in pieno. Lo sentii più volte al telefono ed era devastato, non si dava pace! I tempi sul giro erano alti, la media troppo bassa e la qualifica era a rischio per la gara. Poi ci fu il giorno di stop e si vede che il cervello di Max si resettò e finalmente arrivò anche la media sui giri giusta, accettabile. In piena notte squillò il telefono : “Sono Max, ce l’ho fatta" – dall’altra parte del filo - “ho abbassato il tempo di oltre un secondo…”. Logico chiedere, dopo avergli detto bravo, come è successo? E terrificante fu la risposta…: “Sono arrivato in fondo al rettilineo, ho chiuso gli occhi, ho messo il piede sinistro su quello destro, tenendo giù forte e ho fatto la curva riaprendo gli occhi solo alla fine”… insomma down to the pedal…. Ma che follia! Una famiglia fatta così. Anche quando si fece male, molto male il nipote Pietro, durante un incidente nel Wec. La telefonata a suo zio Max fu necessaria visto gli anni di fratellanza trascorsi in gioventù, e la risposta fu altrettanto scontata: “Se è ancora vivo si aggiusta…”. Lo conosco da 50 anni… e tutte le volte mi stupisce, anzi rimango basito. Poi mi viene in mente che è un pilota e come dice sua mamma Mary: “Io ho tre figli, ma uno purtroppo non è normale, fa il pilota…”.

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Biagio Maglienti