I primi 75 anni di Formula 1: tutte le emozioni che abbiamo negli occhi

La Formula 1 compie 75 anni, ma nonostante la rispettabile età si mantiene molto giovane e continua ad accrescere il proprio seguito globale, stimabile ad oggi in poco meno di 800 milioni di appassionati nel mondo, dei quali quasi 75 milioni in più conquistati solo nelle ultime tre stagioni. Il risultato invidiabile del check-up di uno sport che attraversa il tempo e le mode, che supera le difficoltà e vince le battaglie anche più drammatiche uscendone ogni volta più forte. Mostrando una longevità sulla quale probabilmente non avrebbe mai scommesso nessuno dei suoi pionieri, gli eredi delle corse automobilistiche di fine Ottocento, i cui resoconti giornalistici oggi ci appaiono così irreali: “…e il Conte de Dion sfrecciò pericolosamente sul traguardo a una velocità media superiore ai 16 chilometri orari…”. Per la cronaca, il Conte francese Albert De Dion, socio di maggioranza dell’azienda ‘De Dion, Bouton et Trepardoux in Paris’, fu il primo a volersi cimentare in una vera e propria competizione a motore, presentandosi sulla linea di partenza al volante di una vettura prototipo a vapore, su tre ruote, capace di sviluppare ben 2 cavalli e raggiungere quasi i 20 km/h. E quella sfida di fine aprile del 1887, che oggi viene ricordata come la prima vera ‘corsa’ della storia, affrontata su un tracciato che conduceva dal Pont de Neuilly al Bois de Boulogne, la vinse. Trascurabile particolare il fatto che fosse anche l’unico iscritto… Perché le prime corse assumano uno status di veri e propri Gran Premi si dovrà attendere quasi la fine della prima decade nel Novecento: negli anni Venti - con la nascita della 'Formula Grand Prix'- si adotta una prima vera forma di regolamentazione. La decisione di organizzare un campionato piloti matura poi intorno alla fine del secondo conflitto mondiale e viene formalizzata nel 1947, riprendendo una bozza del ‘Campionato Europeo’ promosso dalla ‘AIACR’ - la Federazione dei Club, da cui nascerà poi la Federazione Internazionale - e interrotto allo scoppio della guerra, del quale fu ultimo campione il prussiano Otto Wilhelm Rudolf Caracciola, pilota dell’Impero Germanico. Se all’inizio degli anni Trenta il regolamento per le vetture da ‘Grand Prix’ si fondava su un limite di peso massimo ma cilindrata e motore erano liberi, nel 1938 la cilindrata venne limitata a 3.0 litri e fu istituita la categoria 'vetturette' con motore 1,5 sovralimentato, della quale l’Alfa Romeo 158 fu dominatrice assoluta fino al 1951. I nuovi regolamenti debuttano in Italia, a Torino, al Parco del Valentino, nel 1946 e fino al 1949 le sfide coinvolgoro piloti esperti come Varzi, Wimille e Tazio Nuvolari e giovani debuttanti come Ascari e Fangio. Ma nell’aria si sente la necessità di creare qualcosa di nuovo e qualcosa di più, che vada al di là di una semplice regolamentazione tesa solo a riequilibrare i confronti fra motori supercompressi e quelli aspirati. E’ per questo che proprio nel 1946 la Commissione Internazionale Sportiva della FIA , ha ideato una classe superiore destinata a monoposto scoperte, denominandola Formula 1. Laddove con ‘Formula’ si vuole intendere l’esistenza di ‘linee guida obbligatorie uguali per tutti’ e ‘1’ sta ad indicare il massimo livello di competizione motoristica internazionale. L’anno successivo la nuova denominazione viene sperimentata con le vetture ‘Grand Prix’, ma la voglia di creare qualcosa di nuovo che abbia ambizioni più ampie e possa conquistare il mondo è tanta. E siccome le due ruote hanno già annunciato che nel 1949 daranno vita al primo campionato mondiale di motociclismo, si decide di varare per il 1950 l’ambiziosa prima edizione di un vero campionato del mondo piloti di automobilismo. Anzi, del primo campionato del mondo di Formula 1. A differenza di quelle che poi avverranno in pista, questa avviene con i piedi di piombo: la struttura della prima stagione prevede sette prove da correre fra metà maggio e i primi di settembre. Sei in Europa e una negli Stati Uniti: la 500 miglia di Indianapolis, sotto il regolamento della AAA e della USAC. Prima e dopo la ‘stagione ufficiale’, altre sedici gare europee non valide per il titolo e undici sudamericane di Formula Libre, fra Argentina, Brasile e Cile. Il primo ‘mondiale’ in Europa tocca circuiti che poi ne diventeranno sedi storiche: Silverstone, MonteCarlo, Spa e Monza. Previste anche le tappe di Reims e Berna. E’ una rivoluzione sportiva che prova anche a rimettere ordine in un mondo complesso e variegato. Va così in pensione definitivamente la Formula Grand Prix, già accantonata nel 1946. Si tenta da subito di costruire un primo ideale ponte con le Americhe, ma funzionerà poco, perché piloti americani non verranno a correre al di qua dell’oceano, ma pure quelli europei diserteranno Indianapolis : troppo diversi i regolamenti tecnici. In ogni caso ci si lascia alle spalle la guerra, i vecchi aeroporti militari si trasformano in piste, la vita torna a correre veloce come i nuovi bolidi con le ruote scoperte. Per la verità la Formula 1 per almeno un decennio rimarrà un cantiere aperto. Nel 1952 e nel 1953 - tranne la gara negli States - si correrà con vetture di Formula 2 e i regolamenti tecnici verranno più volte modificati. La fisionomia definitiva della categoria faticherà ad assestarsi. Ma il progetto funziona sin da subito. Nei primi anni partecipano molti privati, le case costruttrici straniere faticano a imporsi e a dominare la scena sono Alfa Romeo, Maserati e Ferrari. Il primo campione è un torinese. Si chiama Giuseppe Emilio Farina, ma tutti lo chiamano ‘Nino’. A Silverstone Nino Farina ottiene la prima pole position della storia. Conquista anche il giro veloce e il primo successo assoluto del mondiale. Vincerà anche in Svizzera e a Monza, conquistando il titolo a spese dell’argentino Juan Manuel Fangio che, a parità di vittorie, si ritroverà staccato di tre punti per via di un ritiro di troppo. Nino ha le corse nelle vene. Il padre è stato il fondatore degli ‘Stabilimenti Farina’, una delle più antiche e importanti carrozzerie dell’epoca, lo zio Battista il ‘papà’ della storica azienda ‘Pininfarina’. Ma Fangio si rifà subito, nel 1951, e poi - dopo due brillanti stagioni nelle quali domina l’accoppiata Alberto Ascari/Ferrari - l’argentino infila quattro titoli iridati consecutivi e diventa così nel 1957 il primo mito vivente dell’automobilismo moderno. Dell’Alfetta 158 costruita da Enzo Ferrari, dominatrice con al volante Farina nel 1950, è ormai rimasto solo il ricordo. Il colore rosso sangue di bue si è già trasferito sulle Ferrari dal 1951. In Gran Bretagna José Froilàn Gonzàlez si è lasciato alle spalle lo squadrone delle Alfa Romeo 159 portandosi a spasso anche il cuore del ‘Drake’, che ha deciso di investire tutto sulla scuderia ufficiale e lasciare a casa dall’anno successivo lo storico marchio lombardo. Quel giorno Enzo Ferrari dirà "Io ho ucciso mia madre", ma inizierà a scrivere la leggenda della categoria. Nel 1958 nasce il campionato costruttori. E se lo aggiudica il marchio britannico Vanwall, fondato dal milionario Tony Vandervell. Anche il campione del mondo piloti è britannico: si chiama Mike Hawthorn, ma corre su una Ferrari 246 F1. Mike Hawthorn è uno tra i piloti più eleganti e talentuosi mai apparsi su un tracciato automobilistico. In Formula 1 corre per sei stagioni e vince tre GP, diventando anche il primo inglese a conquistare il titolo mondiale, dopo una accesa competizione con il connazionale Stirling Moss. Ma la sua grande gioia è preceduta e seguita da due tragedie. Nel GP di Francia, a Reims, il compagno di squadra Luigi Musso perde la vita nel corso della gara. Pochi mesi dopo la conquista del titolo iridato e avere annunciato il ritiro, in un incidente stradale lo stesso Hawthorn muore a bordo della sua Jaguar. I britannici si confermano re dei costruttori nel biennio successivo grazie alla Cooper e al talento del loro asso al volante, l’australiano Jack Brabham. Il sodalizio è vincente, poi a Brabham salta in mente di andar via per creare una scuderia tutta sua e per la company inizia il declino. Un declino pari a quello che pare avere investito i piloti europei, visto che nel 1961 l’alloro iridato va per la prima volta a uno statunitense arrivato da Miami, Phil Hill, che al volante di una Ferrari 156 F1 centra la doppietta piloti/costruttori. Nelle quattro stagioni seguenti arrivano ancora dalla Manica a dar lezioni di guida e di tecnica: nell’ordine Graham Hill , Jim Clark , John Surtees e ancora Jim Clark diventano campioni del mondo. La vittoria di John Surtees nel 1964 come alfiere della scuderia Ferrari, non solo spezza però il monocolore britannico e ne accende la rivalità con Maranello, ma per la prima volta issa sul gradino iridato un ex campione del mondo di motociclismo, passato alle quattro ruote dopo ben 7 titoli mondiali conquistati in otto stagioni corse in classe 500. E quando poi anche Surtees fonderà una sua scuderia, ingaggerà a sua volta un altro ex motociclista, Mike Hailwood, nove volte iridato su due ruote in 500. Gli anni Sessanta sono gli anni dello schema a motore anteriore assai caro a Enzo Ferrari, in base al vecchio saggio "i cavalli stanno davanti al carro, non dietro", eppure i motori centrali delle case britanniche danno ancora grandi risultati, grazie anche a piloti di tecnica sopraffina come Hill e spaventoso talento come Clark. Quest’ultimo di sicuro aiutato moltissimo dalla rivoluzionaria introduzione della monoscocca in alluminio da parte della Lotus. Il secondo titolo di Clark, inoltre, fa meravigliosamente doppietta con la vittoria nella 500 Miglia di Indianapolis nello stesso anno. Un risultato più unico che raro. Nel 1966 le regole cambiano ancora e tornano i motori di 3.0 litri aspirati, o 1.5 litri sovralimentati. John Surtees a metà stagione va via per divergenze di vedute con Eugenio Dragoni, team manager della scuderia. Un problema in più per la Ferrari che già fatica a trovare prestazioni con le gomme. Ne approfitta Jack Brabham, che vince il suo terzo titolo mondiale, stavolta guidando una macchina che porta il suo nome e con il motore Repco che fa faville. Tanto da bissare l’anno successivo il risultato, ma con un altro pilota oceanico, stavolta neozelandese, Denny Hulme. Per la prima volta l’australiano che aveva trionfato da pilota e proprietario di team, ora poteva festeggiare il successo di un suo pilota. Negli anni seguenti torna sugli scudi la Lotus, che vince tre campionati costruttori su sei. A spezzare il dominio del team di Colin Chapman provano nel 1969 i francesi della Matra e nel 1971 e nel 1973 i britannici di Ken Tyrrell. Fra i piloti, per la Lotus rivince Graham Hill, trionfa lo sfortunato austriaco Jochen Rindt e festeggia il brasiliano Emerson Fittipaldi. Una volta su Matra e due su Tyrrell, invece, si aggiudica il massimo alloro lo scozzese Jackie Stewart, che nel 1974 cederà il titolo ancora a Emerson Fittipaldi, passato intanto alla McLaren, fresca campione costruttori. Nel 1968 la Formula 1 ha conosciuto le sponsorizzazioni e introdotto gli alettoni, nel 1970 le gomme slick. E nel 1973 a Watkins Glen è morto il francese Franòois Cevert. Le gare sono aumentate e tutto va maledettamente di fretta. Nel 1975 la Ferrari torna a vincere un titolo piloti con l’austriaco Niki Lauda, che l’anno successivo rischia la vita in un terribile incidente al Nürburgring, nel quale rimane gravemente ustionato. Il titolo va al suo grande rivale, l’inglese James Hunt. Lauda si rifarà nel 1977, clamorosamente tornato alle corse. Poi l’anno dopo l’italoamericano Mario ‘Piedone’ Andretti riporterà il titolo piloti in Lotus, prima di cederlo al sudafricano Jody Scheckter che lo restituirà a Maranello. Per quattro stagioni su cinque le rosse sono state la ‘macchina’ da battere nel campionato costruttori. Il futuro sembra roseo. Nessuno ancora sa che da questo 1979 passeranno ben ventuno anni prima che le rosse tornino a vincere qualcosa. Gli anni ’70 vanno in archivio portandosi dietro ancora incidenti e lutti, ma anche la felicità di Lella Lombardi capace di conquistare mezzo punto chiudendo sesta un tragico GP di Spagna del 1975 . E va in archivio anche il bizzarro esperimento della Tyrrell P34 a sei ruote che nel 1976 cercò di aprire nuove frontiere. L’inquieta Formula 1 continua a sperimentare e incontra l’effetto suolo e poi i motori turbo. E la Brabham va in pista con un ventilatore posteriore a scimmiottare le ‘sucker car’ apparse nella CanAm. Anche Ronnie Peterson muore. Arriviamo agli anni ’80 e ’90: al dualismo Williams-McLaren. In venti stagioni 9 titoli andranno alla McLaren, 7 ne conquisterà la Williams, due a testa li strapperanno Brabham e Benetton. Sono anni nei quali accade di tutto e la Formula 1 conosce i futuri idoli di fine millennio. Cambiando strada più volte, facendo i conti con se stessa, con i regolamenti, con la sicurezza, con pagine ancora più tristi - se possibile - di quelle ormai alle spalle. Pian piano spariscono i team privati, sempre più allontanati da costi troppo alti, ingaggi impossibili, ricambi inaffidabili e sponsor insolventi. Sullo sfondo infuria la battaglia tra i gommisti, per prendersi il futuro. Goodyear, Firestone, Michelin, Pirelli… La Renault spinge per nuove tecnologie, appoggiata dalla Lotus. Ne viene fuori una guerra interna fra federazione e costruttori. Il turbo è complesso, limita l'effetto suolo, impegnativo, costoso e poco affidabile. Piace però anche a Ferrari, Alfa Romeo e BMW. Sull’altro piatto della bilancia c’è un propulsore dal costo modico, più affidabile e dalle dimensioni più ridotte, quello della Ford-Cosworth DFV in due modelli 28 e 29, altamente efficiente per la resa aerodinamica sull'effetto suolo. La FISA, governo dello sport, ha a capo il francese Jean-Marie Balestre. La FOCA è guidata da Bernie Ecclestone. I primi spingono per avere vantaggi dal turbo, i secondi chiedono un effetto suolo senza restrizioni per riequilibrare il deficit di potenza. E poi c’è la faccenda dei costi. I grandi costruttori hanno budget illimitati, i piccoli chiedono una redistribuzione dei proventi della Formula 1 per rimanere competitivi. La scissione sembra inevitabile, poi si trova un punto di caduta e Bernie Ecclestone incominciò la sua scalata al potere. I primi anni ’80 saranno anni terribili per la Formula Uno, che dovrà accusare, uno dietro l’altro, i duri colpi della morte di Patrick Depailler , di Gilles Villeneuve , di Elio De Angelis . Oltre alle gravi ferite alle gambe che fermarono la carriera di Didier Pironi nelle prove del Gran Premio di Germania ad Hockenheim, ancora nel 1982. Pian piano spariranno le vetture ad effetto suolo, verranno introdotti fibra di carbonio e kevlar al posto del classico alluminio per realizzare vetture più leggere, più rigide torsionalmente e più sicure, nel corso degli anni ’80 poi subentreranno grosse limitazioni ai motori turbo prima del loro definitivo abbandono e ricompariranno motori atmosferici. Compariranno le soste ai box, i cambi gomme e ancora la Formula 1 cambierà più volte pelle, in un periodo storico che rimane comunque fra i più luminosi dei suoi 75 anni di storia. Si diceva del ventennio di dominio Williams-McLaren. Non ebbe tempo di dimostrare tutto il proprio valore Gilles Villeneuve, mentre l‘australiano Alan Jones e il finlandese Keke Rosberg portavano al successo Frank Williams , intervallandosi con il brasiiano Nelson Piquet, alfiere Brabham nei successi del 1981 e 1983. Fra il 1984 e il 1986 decolla il progetto McLaren voluto fortemente da Ron Dennis e prima torna a brillare la stella di Niki Lauda al volante della freccia d’argento, poi per due stagioni di fila il bis e il tris li firma il francese Alain Prost. Intanto Piquet è passato alla Williams e conquista il suo terzo mondiale, cui segue un poker incredibile ancora della McLaren firmato di nuovo da Prost e da un altro pilota brasiliano che al volante della McLaren disegna una magica traiettoria che apre un’era irripetibile della categoria: Ayrton Senna . Sono gli anni d’oro delle sportellate fra Prost e Senna, della rivalità più accesa e sanguigna della storia. Sono gli anni del motore Honda che - come Arlecchino servitore di due padroni - spinge al traguardo sia la Williams che la McLaren fino all’avvento del motore Renault, pronto a dettare legge dal 1992 al 1997, accompagnando al titolo costruttori per cinque volte il team di Grove e per due la Benetton, prima di cedere nel 1998 lo scettro all’ottimo assortimento McLaren/Mercedes e poi al ritorno in grande stile della Ferrari. Fra il 1992 e il 1997 tra i piloti vincono il titolo mondiale il britannico Nigel Mansell, ancora Alain Prost, un giovane tedesco di nome Michael Schumacher che Flavio Briatore ha portato in Benetton dopo l’esordio in Jordan, e Damon Hill, figlio di quel Graham Hill che di mondiali ne aveva conquistati due. Ma l’ambiente è ancora funestato dal dolore: a Imola, GP di San Marino, in una terribile sequenza, nel 1994 muoiono in qualifica l’austriaco Roland Ratzenberger e in gara, il giorno dopo, Ayrton Senna. La morte di quest’ultimo, in particolare, è un lutto collettivo. Non solo nel paddock, in Italia, in Brasile, ma nel mondo. Perché - senza mancare di rispetto a nessuno, principalmente a Ratzenberger - Senna rappresentava e incarnava la Formula 1 più di qualsiasi altro pilota. E’ uno choc planetario. Dal quale l’agonismo si riprende solo scoprendo Michael Schumacher, in grado di aprire una nuova era. Ma il momento è particolare e si discute ancora animatamente che Formula 1 si voglia: gli aiuti elettronici al pilota apparsi ai primi degli anni ’90 sono oramai pane quotidiano, le sospensioni attive sono lì, i cambi semi-automatici e il controllo di trazione fanno parte del pacchetto disponibile. Al punto che la FIA dapprima toglie l’elettronica , poi reintroduce il rifornimento di carburante ai pit stop che aveva vietato, quindi trasforma le gare in una serie di sprint favorendo le strategie rispetto all'abilità del pilota. Ma ora diventa fondamentale riaffrontare, dopo quanto accaduto a Imola, il tema sicurezza in pista. Impossibile ritoccare le auto progettate, si pensa di ridurre l’effetto 'ram-air' e quindi la potenza delle auto, vietare i combustibili speciali, intensificare i controlli sulla plancia al fondo vettura e per gli anni a venire ritornare a lavorare su abitacolo, velocità, resistenza delle monoposto agli urti, vie di fuga, protocolli, e magari introducendo pneumatici con quattro scanalature, rastremando la carrozzeria e restringendo le ali, fino ad aumentare i controlli di conformità. Tante cose nuove e tanto caos in più nei box, mentre il giovane Schumacher vince e rivince e i figli d’arte Hill e Jacques Villeneuve conquistano i loro titoli mondiali. Nel caso del canadese, centrando un risultato che al papà era stato negato per ragion di squadra proiettandolo sulla stagione che poi non disputò a causa del tragico incidente in cui trovò la morte. Negli ultimi due anni prima che scocchi il 2000, il finlandese Mika Hakkinen su McLaren centra una doppietta entusiasmante. Poi Williams e McLaren devono cedere il passo. Col nuovo millennio ritorna la Ferrari. E lo fa di prepotenza. Vincendo per cinque volte consecutive il titolo piloti e costruttori con Michael Schumacher, passato in forza alla scuderia del ‘Cavallino’. Cinque titoli in sequenza che ripagano di tanta attesa i tifosi della rossa e proiettano Michael Schumacher nell’Olimpo dei campioni di tutti i tempi dell’automobilismo. Accanto al tedesco arrivarono tecnici come Ross Brawn e Rory Byrne, con Jean Todt a capo della Gestione Sportiva. Nella stagione 2000 torna il titolo piloti per la prima volta dopo 21 anni dai tempi di Jody Scheckter nel 1979. Nel 2001 la Ferrari domina nettamente sul resto della concorrenza, Schumacher vince il campionato già ad agosto. Nel 2002 le due Ferrari vincono 15 delle 17 gare in calendario e Michael fa più punti del secondo e terzo classificato messi insieme conquistando il titolo già nella seconda metà di luglio. Nel 2003, nonostante un nuovo regolamento, Schumacher prevale di un solo punto nel Gran Premio del Giappone a Suzuka. Nel 2004 Schumacher e la Ferrari dominano e vincono entrambi i titoli con facilità, con 15 successi su 18 corse. Per un paio di stagioni la fame della rossa è arginata da una Renault sorprendente, che porta a casa un doppio titolo costruttori che mancava alla Francia 36 anni dopo la Matra, trascinata dallo spagnolo Fernando Alonso, che centra anche i titoli piloti 2005 e 2006. Poi la Ferrari si riprende lo scettro tra i costruttori nel 2007 con il titolo del finnico Kimi Raikkonen e lo mantiene nella stagione beffa del 2008, quando sulla pista di casa il brasiliano Felipe Massa viene bruciato nella corsa all’iride da un ultimo giro concitato nel quale l’inglese Lewis Hamilton gli soffia il successo più atteso. La crisi economica si fa sentire, i piccoli costruttori spariscono, la Honda lascia, e anche BMW e Toyota abbandonano. Nel 2009, sopite in parte le polemiche su una presunta spy story che aveva coinvolto tecnici e meccanici, forse anche manager di team rivali ai danni della Ferrari, si presenta ai nastri di partenza del mondiale un team nuovo, dalla livrea bianca candida, fondata dalle ceneri dell’Honda Racing Team. Acquisita da Ross Brawn per un nulla e formata da personale in arrivo un po' da ovunque. I piloti della scuderia sono Jenson Button e Ruben Barrichello . La squadra vince tutte e due le classifiche , poi sparisce. Nel 2010 Schumacher rientra ma in Mercedes GP, che ha rilevato il titolo della Brawn. Per quattro stagioni a dettare legge sarà la Red Bull progettata da Adrian Newey, già plurivittorioso con Williams e McLaren, affidata alla guida del talentuoso tedesco Sebastian Vettel. Nel 2014 si apre il ciclo-ciclone della Mercedes: otto titoli costruttori consecutivi. Tra i piloti un titolo lo vince Nico Rosberg, tedesco di padre finlandese e figlio d’arte, nel 2016. Sei li vince Lewis Hamilton, che sale così a sette titoli mondiali complessivi in carriera. L’ultimo titolo costruttori Mercedes coincide con il primo titolo piloti di Max Verstappen, olandese, figlio di Jos, che tra quell’anno e il 2024 fa suoi quattro titoli mondiali piloti di seguito e regala alla Red Bull i campionati costruttori 2022 e 2023, mentre lo scorso anno il titolo per le scuderie se lo è aggiudicato la McLaren. La Formula Uno compie 75 anni, ma nonostante la rispettabile età si mantiene molto giovane, dicevamo in apertura di questo lungo racconto su come è nata e come siamo arrivati fin qui. Intanto continuano i cambi di regolamenti che stravolgono la categoria sotto il profilo tecnico. Nel 2015 abbiamo familiarizzato con l’Halo. Se nel 2009 era stato introdotto il Kers e nel 2014 c’era stato il passaggio dai motori V8 da 2,4 l ai V6 turbo da 1,6 l e l'introduzione di sistemi come brake-by-wire ed ERS, e una doppia alimentazione combinata termico/elettrica per i motori, diventati power unit, già sappiamo che nel 2026 con i nuovi regolamenti, sarà reintrodotto un sistema simile al KERS chiamato 'override mode', che permetterà un incremento temporaneo di potenza, aumentando la velocità massima delle monoposto fino a 355 km/h. Abbiamo digerito il passaggio delle marce da 7 a 8 e l’innovazione delle gare sprint, ora sparirà il punto addizionale del giro veloce. In compenso sarà ammessi un ‘kit da raffreddamento’ in caso di caldo estremo. Al mini DRS in gara, farà eco l’uso dell’intelligenza artificiale riservata ai commissari per meglio rilevare violazioni e track limits. Nuove sfide per i protagonisti annunciati e non, chiamati a confrontarsi su ventiquattro gare, una distanza più che tripla rispetto al primo campionato del mondo di 75 anni fa. Inutile negare che la curiosità maggiore ruota attorno ad alcuni nomi più che ad altri. E ci si pone domande sulla stagione da debuttante dell’italiano Kimi Antonelli, che riporta il nostro Paese titolare in griglia su un’ambiziosa Mercedes. O sulla tenuta alla distanza del quattro volte campione iridato Max Verstappen che con la sua Red Bull vorrebbe soffrire un po’ meno di quanto non abbia fatto nel finale della scorsa stagione, ma riconfermarsi uomo da battere. Sulla crescita - attesa - di piloti forti e veloci come Oscar Piastri e Lando Norris, alfieri della McLaren. Sulla voglia di incidere ancora di un Fernando Alonso più battagliero che mai al volante della sua Aston Martin. E poi sulla convivenza a Maranello fra Charles Leclerc e il nuovo arrivato 'Sir' Lewis Hamilton, sette volte campione del mondo. Un campione che a quarant’anni ha deciso di prendersi in mano il destino di una 'Rossa'. Che arriva a Maranello quando ha tutto da guadagnare se centrerà un’impresa e poco da perdere se farà un onesto campionato. Un uomo che non ha paura dei confronti. Titolato come Michael Schumacher, sfacciato come Gilles Villeneuve, Talentuoso come Ayrton Senna e in cerca di un colpo di prestigio. Suggestione, seduzione, attrazione, passione. 75 anni ma non li dimostra proprio, questa Formula 1.

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I primi 75 anni di Formula 1: tutte le emozioni che abbiamo negli occhi

Lucio Rizzica