Ferrari, l'urlo di Vettel che fece (quasi) la storia

Se chiedete a un tedesco per che cosa è famosa la piccola città di Heppenheim, meno di trentamila anime nel land dell’Assia, scordatevi che vi risponda citandovi le bellezze del Monastero di Lorsch, del castello di Starkenburg, il luogo natale del Partito Liberale Tedesco. Nulla di tutto questo. Heppenheim è nota perché nel 1987 qui è nato Sebastian Vettel, il cittadino più importante del circondario di Bergstraße, legato a filo doppio all’Italia tanto quanto la gemellata piccola località di Caldaro sulla Strada del Vino, che è comunità bilingue e dunque coniuga bene l’anima teutonica allo spirito latino. Un'eredità e un legame speciale Quando venne annunciato il suo arrivo alla Ferrari, era il 20 novembre del 2014, Sebastian era già diventato campione del mondo della Formula 1. Anzi, per l’esattezza lo era già diventato per ben 4 volte consecutive e tutte condotte al volante di una incontenibile ‘Red Bull’. Tedesco, vincente, veloce. Il profilo perfetto per dare un seguito alla leggendaria carriera di Michael Schumacher sulle ‘rosse’. Tanto più che Sebastian non aveva mai nascosto di essere cresciuto nel mito di ‘Schumi’. Del resto, in Italia, molti a Schumacher lo avevano accostato già da quel giorno in cui, sorprendentemente, si era presentato primo sul traguardo di Monza al volante di una ‘Toro Rosso’, dopo una gara perfetta ‘flag to flag’, iniziata con la pole position del sabato e terminata diventando il più giovane vincitore di un GP di Formula 1 all’età di ventuno anni e settantatré giorni. Lui, predestinato a un grande futuro, che due anni prima -nel 2006- da Michael aveva ricevuto sinceri complimenti in Turchia al volante di una ‘Sauber’. L’arrivo in Ferrari sembrò per questo la perfetta chiusura di un cerchio. Un quattro volte campione del mondo, annunciato protagonista da Schumacher e pronto a raccogliere il suo testimone, per di più anche tedesco e legato all’Italia. E fissato per i piccoli riti, al punto da battezzare ‘Eva’ la sua giovane SF15-T che aveva appena testato a Jerez de la Frontera. Ci si aspettava che a questo punto lui, novello Adamo, fosse pronto a portarla in Paradiso. Ma non accadde nulla di tutto questo. Né sarebbe accaduto in futuro. Anche se le premesse erano sembrate interessanti e avevano fatto ben sperare. Terzo in Australia, Vettel sarebbe infatti riuscito a cogliere già alla sua seconda gara la sua prima vittoria al volante di una ‘rossa’. Successe esattamente dieci anni fa in Malesia, il 29 marzo del 2015, quando la macchina di Maranello si mostrò incredibilmente competitiva e il pilota tedesco -dopo un anno di appannamento- tirò fuori tutte le sue qualità mai perdute, grazie anche all’ottimo lavoro di un box e di un muretto impeccabili. Quella gara è un tuffo fra ricordi eccezionali, un pezzo di storia recente del motorsport, l’immagine di un giovane pilota tedesco che salta sul podio come il suo ‘mito’ e piange, festeggia, impazzisce di gioia per essere entrato in quel momento a far parte della storia della scuderia del Cavallino. Cavaliere Rosso dopo aver già vinto quattro titoli iridati. Commosso, spontaneo, emozionato dopo aver ottenuto il premio alla sua scelta, voler essere come il suo idolo, diventarne l’erede. Operazione riuscita solo in parte. La corsa In Malesia, la terra meravigliosamente descritta nei suoi romanzi di avventura dal veronese Emilio Salgari -senza mai essersi mosso dal proprio studiolo- è il secondo anno dell’era delle monoposto ibride. Il dominio delle ‘Red Bull’ è passato in archivio e sta sorgendo il regno delle ‘Mercedes’. Il progetto delle ‘rosse’ sembra aver prodotto dei buoni risultati anche all’atto pratico. E Sebastian Vettel ne dà conferma proprio durante i test e al debutto all’Albert Park, a Melbourne. Ci si attende per questo una conferma già a Sepang. Il tracciato del distretto di Selangor, a una sessantina di chilometri dal centro di Kuala Lumpur e molto vicino all’aeroporto della capitale malese, è concepito per lo spettacolo e per la velocità. Ha quattro curve lente, vari rettilinei e una decine di curve rapide che favoriscono i sorpassi. Il caldo intenso e gli alti indici di umidità sono temibili, serve una grande forma fisica e un’ottima predisposizione al sacrificio. Sebastian sa che la sfida è importante e che i tifosi della Ferrari hanno fame di vittorie, da troppo aspettano. Sono due anni che le ‘rosse’ digiunano, dal Gran Premio di Spagna del 2013, lo stesso anno in cui anche Seb è salito per l’ultima volta sul gradino più alto del podio, ma in Brasile. L’appetito è comune. Alla partenza gli toccherà scattare alle spalle della ‘Mercedes’ di Lewis Hamilton, pressato dall’altra freccia d’argento di Nico Rosberg e dalla ‘Red Bull’ di Ricciardo. Il compagno di scuderia Kimi Raikkonen è solo in sesta fila e non sarà d’aiuto. Al via Seb sa che dovrà cavarsela da solo e guardare avanti. Quindi, punta il retrotreno di Hamilton e non lo molla, riesce a tenere dietro Rosberg e gira la prima curva secondo, evitando anche imprevisti e guai che sono sempre in agguato. Raikkonen -per esempio- fora già al primo passaggio e deve rientrare a sostituire le gomme. Al quarto giro si insabbia la Sauber dello svedese Ericsson e la Safety Car ricompatta il gruppo. Le ‘Mercedes’ si precipitano in pit lane a lasciare le gomme soft per montare il treno delle dure. Vettel si ritrova leader della corsa. Al decimo giro, dopo la nuova partenza, Sebastian guarda negli specchietti e scopre che Lewis Hamilton è già arrivato alle sue spalle. E dopo quattro tornate, in terza posizione si è affacciato anche Rosberg. E l’ora di ragionare sulle strategie, il tedesco opta per il pit stop al diciassettesimo giro ma decide di mantenere le gomme medie. Il ritmo è buono e non vale la pena rischiare. E infatti anche la scelta è giusta. Arriva il giro veloce e la coppia ‘Mercedes’ di testa non è più così lontana. Al ventunesimo giro Vettel va a prendere Nico Rosberg e lo sorpassa e dopo altri tre giri supera anche Hamilton, approfittando del secondo cambio gomme del britannico, che decide di montare anch’egli le coperture medie. La gara prosegue con Vettel davanti alle due ‘Mercedes’, anche quando Rosberg esce dal secondo pit stop. Al trentasettesimo giro Vettel decide di giocarsi le proprie chance montando le gomme dure e rientra in pista mantenendo, in un testa a testa con Rosberg, la seconda piazza. Al trentottesimo giro rientra Hamilton e monta gomme dure anche lui, dopo due giri va in pit lane pure Rosberg, che rientra in pista dietro il compagno di squadra. Quarto si affaccia Kimi Raikkonen dopo una rimonta furiosa e intelligente. Al giro 56 piomba sul traguardo davanti a tutti la ‘rossa’ di Sebastian Vettel. Sotto la bandiera a scacchi sfreccia la SF15-T. Una vittoria attesa dal ‘Cavallino’ da 686 giorni, che dal GP del Belgio 2009 non festeggiava il trionfo di un pilota ‘diverso’ da Fernando Alonso. La strategia aggressiva di due soste e non tre ha premiato il neoferrarista, che ha mangiato l’asfalto tenendo un passo gara impressionante, andando a conquistare la sua prima vittoria dopo due sole gare al volante della Ferrari. La radio trasmette a tutti la sua incontenibile gioia “Grazie, grazie, grazie, forza Ferrari”, in italiano naturalmente. E poi quel saltello sul podio, proprio come faceva Michael Schumacher, alzando l’indice e mostrando il numero uno, prima di lanciare per aria il trofeo. "Mi senti, mi senti! Grazie mille ragazzi, grazie, forza Ferrari!”, fu una gara perfetta, del pilota e della squadra. Condita dall’inno tedesco e da quello italiano che riecheggiarono nell’aria come un tempo, una suggestione fortissima per tutti. Che spinse l’ex amministratore delegato di ‘Ferrari’ Sergio Marchionne a commentare “Sono felice per tutti i tifosi che aspettavano da troppo tempo una giornata così. Forza Ferrari”. E quell’urlo: “Yes, yes. Great drive, well done! Numero uno is back, top class. Ferrari is back!”. Quel 29 marzo 2015 fu un gran giorno per gli appassionati e i tifosi della Ferrari, lo fu per Sebastian Vettel, l’uomo di Heppenheim, che commentò: “Grande gara e bellissima macchina! Oggi è davvero un giorno speciale. Non trovo nemmeno le parole, per un sogno d’infanzia che diventa realtà, anzi per tanti sogni messi assieme. Questo è un giorno speciale perché sia io che il team non vincevamo da un po’. Vorrei finire sempre in questa posizione ma dobbiamo essere realistici”. Realismo Eh già, bisogna essere realistici. Dopo quella vittoria Vettel avrebbe vinto altre nove gare appena nei suoi sei anni complessivamente passati in Ferrari, prima di trasferirsi nel 2021 all’Aston Martin per un biennio e chiudere lì la sua straordinaria carriera. Senza mai più neppure avvicinarsi a competere per un titolo mondiale. Appendendo il casco al chiodo dopo 300 Gran Premi, 299 partenze, 53 vittorie , 122 podi e 57 pole position. Comunque dei grandi numeri. Il 29 dicembre del 2013, un paio di anni prima di quella vittoria in Malesia, Michael Schumacher era rimasto gravemente ferito in un incidente occorsogli su una pista da sci a Méribel, nella Savoia francese. Da quella caduta ‘Schumi’ non si è mai più ripreso. Vettel in più di un’occasione ebbe a dire: “Lui ha rappresentato tanto per me, le gare non erano la cosa più importante che avevamo in comune. Mi manca il mio amico Michael”. Chissà cosa avrebbe detto quel giorno di lui se avesse potuto vederlo. E chissà cosa si direbbero oggi, oggi che avrebbero tanto tempo per chiacchierare e trascorrere delle giornate assieme. Anche Sebastian ha scelto di vivere in Svizzera, ma nel Canton Turgovia a quattro ore di macchina da quella Gland dove Michael aveva fatto costruire la sua villa, ora in vendita . Ha tre figli, una moglie e tanti ricordi. Studia a Pfaffikon da agricoltore, affascinato dalla natura, dai diritti civili e dalle sfide ambientali. Sta bene, è felice, del resto economicamente non ha problemi. Non ha però pressioni, ha più tempo per la natura e per la famiglia. E non è più costretto a correre veloce. Nella sua fattoria ogni tanto qualcuno giura che gli torni la nostalgia per i motori, per uno sviluppo sostenibile anche nelle corse. Ma la tranquillità pare piacergli più della vita frenetica vissuta per tanti anni a colpi di adrenalina. Ma quando ci ripensa, al di là dei fallimenti in ‘Ferrari’, quel giorno di dieci anni fa gli fa un effetto particolare. Numero uno was back.

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Lucio Rizzica