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NBA, vulcanico e geniale: 17 anni di Mark Cuban

NBA

Dario Vismara

Mark Cuban e il Larry O'Brien Trophy, conquistato il 12 giugno 2011 (Foto Getty)
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Il 14 gennaio del 2000 Mark Cuban diventava ufficialmente il proprietario dei Dallas Mavericks. Scopriamo più a fondo un personaggio unico e irripetibile del basket NBA, con tutte le sue luci e ombre

Diciassette anni fa oggi, il 14 gennaio del 2000, la NBA ha vissuto una piccola rivoluzione. Non ci riferiamo a un cambiamento nel regolamento o al debutto di un grande giocatore, e neanche a un qualche Millennium Bug. Parliamo dello sbarco nella pallacanestro statunitense di Mark Cuban, che in quella data rese ufficiale l’acquisto dei Dallas Mavericks da H. Ross Perot Jr. per 285 milioni di dollari — trasformando quella che era una franchigia ampiamente perdente (solo il 40% di vittorie) in una non solo vincente, ma vincente in maniera estremamente costante. Da quando Cuban ha avuto un’intera stagione a disposizione (il 2000-01) ha mancato i playoff solamente una volta in sedici stagioni (il 2012-13, pur avendo il 50% di vittorie), che probabilmente diventeranno due alla fine di quella attualmente in corso (i Mavs hanno un record di 12-27, lo stesso dei Phoenix Suns ultimi nella Western Conference) ma che non cambiano la sostanza delle cose: Mark Cuban ha messo Dallas “sulla mappa” del basket che conta facendola uscire dall’anonimato. Ma soprattutto lo ha fatto a suo modo.

Personaggio unico — Quello che ha reso veramente unica la proprietà di Cuban è la portata anti-convenzionale e rivoluzionaria del suo personaggio. In una lega che era abituata a un tipo di proprietario “standard” — dimesso, lontano dalle luci dei riflettori e del campo, il più delle volte anziano e che trattava la franchigia come un affare di famiglia —, Cuban si è immediatamente proposto in maniera totalmente opposta, presentandosi regolarmente a bordo campo per tutte le partite della squadra, tanto in casa quanto in trasferta, il più delle volte indossando la maglia di uno dei suoi giocatori. Soprattutto, facendosi sentire da arbitri e avversari, una tendenza alla polemica e alla critica feroce che gli ha procurato innumerevoli scontri e altrettante multe da parte della NBA e soprattutto dell'acerrimo nemico-amico David Stern. Ma cambiando, poco a poco, l’immagine un po’ impolverata del proprietario nello sport USA.

Businessman geniale — Cuban — che ha costruito le sue fortune nel campo dei software e dei siti web come broadcast.com, che ha venduto a Yahoo! nel 1999 per 5.7 miliardi di dollari — è stato tra i primi a introdurre degli accorgimenti che ora si danno quasi per scontati, come quella di investire in arene di altissimo livello: 18 mesi dopo aver acquistato i Mavs li ha trasferiti nell’attuale American Airlines Center, dotandolo di un mega-schermo di enormi dimensioni per migliorare l’esperienza al palazzo dei tifosi. Si deve a lui l’idea di mettere dei microfoni vicino al ferro per dare ai tifosi a casa la sensazione di essere vicini al campo, o di trattare la partita non come un semplice evento sportivo, ma come un’esperienza divertente per la persona normale quanto una serata al cinema o al ristorante — cercando però di renderla anche meno costosa per ampliare il più possibile il pubblico. Cuban ha anche fatto in modo di farsi amare dai suoi giocatori, facendo in modo che viaggiassero con migliori jet privati e alloggiassero nei migliori hotel d’America, migliorando la cultura di squadra e allo stesso tempo dando enorme importanza alle statistiche avanzate, assumendo il fondatore del primo sito di analytics (il leggendario 82games.com) e promuovendo sempre una mentalità rivolta al futuro, cercando di anticipare gli sviluppi futuri e l’andamento della lega.

Il lato oscuro di Cuban — Questo non significa che la sua parte oscura sia da sottovalutare o, peggio ancora, da ignorare. Giusto negli ultimi giorni Cuban è finito per l’ennesima volta nel mirino degli arbitri, che lo hanno accusato di cercare di intimorire gli ufficiali di gara e procurare un vantaggio competitivo alla sua squadra “attraverso minacce e intimidazioni”. Da tempo immemore il proprietario dei Mavs è un feroce critico della preparazione degli arbitri e della loro posizione “privilegiata” — visto che, una volta “dentro”, a suo modo di vedere il posto è sostanzialmente garantito a vita, impedendo che arbitri migliori o con più potenziali possano entrare. “Pensare che io possa avere influenza sugli arbitri significa che gli arbitri possono essere influenzati”, è stata la risposta di Cuban alle accuse dell’associazione arbitri. “E se un arbitro può essere influenzato dalla pressione di chiunque, non dovrebbero essere nella NBA”. Le multe ricevute da Cuban in questi 17 lunghi anni hanno raggiunto ormai facilmente le sette cifre e sfiorano i due milioni di dollari, che il protagonista di Shark Tank — la sua serie tv sul mondo delle start-up — non ha mai mancato di onorare prima nei confronti della NBA, e poi donando la stessa cifra ad un’associazione benefica di sua scelta.

Eredità — Paradossalmente (o forse no?), l’unico periodo in cui non ha proferito parola è coinciso con il punto più alto della sua parabola ai Mavs, il titolo del 2011 contro i primi Miami Heat di LeBron James, Dwyane Wade e Chris Bosh (e festeggiato con una leggendaria serata al Liv in cui pagò un conto da oltre 100.000 dollari, tra cui una bottiglia da 15 litri di Armand de Brignac da 90mila). Gli stessi Miami Heat contro cui aveva perso malamente le Finali del 2006 dopo essere stato sopra 2-0 nella serie e avanti di 13 nell’ultimo quarto di gara-3 a South Beach, prima di perdere nervi, serie e 250.000 dollari dopo la (controversa) sconfitta in gara-5, in particolare per l’arbitraggio riservato a Wade. Un personaggio complesso, vulcanico, ma anche innegabilmente rivoluzionario e pionieristico, visto che ha aperto la strada a sempre più proprietari provenienti dal mondo delle start-up e della finanza digitale. In definitiva, uno di quei personaggi che rendono la NBA la lega più bella e varia del mondo.