NBA, c’è interesse reciproco tra Kyle Lowry e i Philadelphia 76ers?
NBAIl playmaker dei Toronto Raptors ha annunciato che diventerà free agent il 1 luglio, e tra le sue pretendenti sembra esserci la squadra della sua città. Ecco perché potrebbe funzionare e perché no
Dopo la deludente conclusione della stagione dei Toronto Raptors, in casa Kyle Lowry è tempo di pensieri e ragionamenti. Il playmaker ha infatti reso noto che intende uscire dal contratto e diventare free agent dal prossimo 1 luglio, testando il mercato alla ricerca di un ultimo “contrattone” all’età di 31 anni. Una mossa attesa da tempo – visto che, con i 12 milioni previsti per il 2017-18, era palesemente sottopagato per i nuovi standard della NBA – ma che comunque apre scenari su cui vale la pena riflettere, anche considerando il modo in cui si è conclusa la stagione della sua squadra. Le parole del GM Masai Ujiri sulla situazione del suo miglior giocatore sono state contrastanti: da una parte ha definito il rinnovo del suo contratto “la priorità numero 1”, dall’altra ha anche detto che la squadra “dopo questa sconfitta, ha bisogno di un cambio di cultura. Abbiamo provato tante volte a fare le cose in un certo modo e non ha funzionato; ora dobbiamo andare in un’altra direzione e fare qualcosa di diverso. Anche se non so cosa sia”. Una frecciata per la guida tecnica della squadra oppure alla due stelle Lowry e DeRozan, che tengono il pallone in mano per la stragrande maggioranza del tempo? Ujiri non ha ancora agito in una maniera o nell’altra, ma Lowry non ha fatto mistero di volersi guardare intorno, pur sottolineando che la sua preferenza va nella direzione di rimanere con i Raptors. Tra le squadre che sicuramente faranno un’offerta al playmaker di Toronto si propone però un’ipotesi affascinante: quella dei Philadelphia 76ers. E stando a quanto scritto dal reporter di Philly.com Keith Pompey, pare che l’interesse tra le due parti sia reciproco: Lowry sarebbe intrigato da un ritorno a casa – dopo essere nato, cresciuto e aver frequentato tanto il liceo (Cardinal Dougherty High) quanto il college (Villanova) nella zona di Philadelphia – e Bryan Colangelo, capo della dirigenza dei Sixers, è l’uomo che lo ha portato a Toronto nel 2012 quando la sua carriera era ben lontana dal livello attuale. Ma, dando per scontato l’interesse di una squadra come Philly per un All-Star come Lowry in un ruolo in cui sono scoperti, quanto avrebbe senso per Lowry scegliere i Sixers?
Perché sì
L’attrattiva del “coming home”, specialmente negli ultimi anni, è tornata fortemente di moda tra i giocatori NBA: da LeBron James in giù, diverse stelle hanno scelto di giocare per la squadra della zona dove sono nati, cresciuti o hanno giocato al college. Per Lowry, però, le motivazioni devono essere anche sportive e non solo personali: i Sixers da ormai quattro anni viaggiano (per scelta e per necessità) nei bassifondi della Eastern Conference, mentre i Raptors vincono attorno alle 50 partite da quanto Lowry è sbarcato in Canada. Eppure il supporting cast dei giovani Sixers – capitanato da Joel Embiid, Ben Simmons e Dario Saric, oltre alla scelta in Lottery del Draft 2017 (che potrebbero diventare due nel caso in cui le palline girino in loro favore settimana prossima) e un gruppo di solidi giocatori di ruolo (Robert Covington, T.J. McConnell, Gerald Henderson, Sergio Rodriguez) – potrebbe essere più futuribile rispetto al gruppo messo assieme dai Raptors, che pare aver raggiunto il suo “ceiling”. Sarebbe una scelta non troppo dissimile a quella fatta da James nel 2014, quando al roster di grande esperienza ma ormai usurato dei Miami Heat preferì una sfida come quella di guidare Kyrie Irving, Tristan Thompson e (ai tempi) Dion Waiters in una franchigia piena di scelte al Draft per potersi muovere sul mercato e migliorare il roster (come poi fatto arrivando a Kevin Love, J.R. Smith, Iman Shumpert e Kyle Korver). Una scelta con un occhio al futuro rispetto all’immediato presente, insomma. Inoltre, ai Sixers Lowry sarebbe l’unica guardia ad avere il pallone tra le mani – mentre a Toronto deve condividerlo con DeRozan, peraltro suo grande amico –, aiutando Ben Simmons al suo adattamento nella NBA senza doverlo costringere ad avere sempre e costantemente il pallone tra le mani, come inizialmente annunciato da coach Brett Brown che lo vuole impiegare a tempo pieno come point guard. Lowry potrebbe allungarsi la carriera giocando un po’ più lontano dal pallone (senza compromettere le spaziature come succederebbe con Simmons senza palla), reinventarsi come veterano/vecchio saggio di un gruppo giovane e guidare la squadra della sua città a un ritorno ai playoff dopo anni di tanking programmatico diventando il “salvatore della patria” – non un brutto scenario per la sua legacy.
Perché no
Parlando con la stampa un giorno dopo l’eliminazione con Cleveland, Lowry è stato ovviamente enigmatico sul suo futuro – tranne su un concetto: “Voglio vincere l’anello. È l’unica cosa che mi motiva. Voglio migliorare, voglio divertirmi, voglio vincere un anello. E fare in modo che la mia famiglia sia felice. Non penso a nient’altro in questo momento”. Quando però gli è stato chiesto se crede di poter vincere l’anello coi Raptors, Lowry è stato sibillino nel dire che pensa di “poterlo vincere ovunque io giochi, già solo per la fiducia che ho nei miei mezzi”, e che non ha paura di un calo delle prestazioni perché “con la tecnologia, le diete, gli allenamenti è cambiato tutto. Guardate LeBron: ha 32 anni e gioca come se ne avesse 25”. C’è da dire che Lowry non è esattamente costruito fisicamente come il Re, ma il ragionamento ha un suo senso – anche se può essere letta in entrambe le maniere: è convinto di poter rimanere a lungo un giocatore di alto livello volendo provarci adesso con Toronto oppure decidendo di aspettare lo sviluppo di un gruppo giovane come quello di Philly? In ogni caso, c’è una realtà tutt’altro che secondaria che non va dimenticata: quella del contratto. Per le regole della NBA, i Raptors possono offrire molti più soldi (circa 200 milioni di dollari contro circa 150) e soprattutto lo possono fare più a lungo (cinque anni contro quattro) rispetto a quanto possono fare le altre 29 squadre. Inoltre in questi cinque anni Lowry è diventato una figura amatissima a Toronto, e con le sue prestazioni in campo si è meritato di vedere, un giorno, la sua maglia numero 7 appesa al soffitto dell’Air Canada Centre – mentre si sa fin troppo bene quanto Vince Carter sia ancora odiato da una parte (per la verità sempre più in diminuzione) della tifoseria dei Raptors per il suo addio nel 2005. E comunque, se il suo obiettivo è quello di vincere, non c’è dubbio che Toronto sia in una fase più avanzata rispetto a Philadelphia – che potrebbe benissimo non arrivare mai al livello attuale dei canadesi, considerate anche le storie cliniche di Embiid e Simmons. E poi tutti e quattro i Vangeli dicono che “Nemo propheta in patria”: siamo sicuri che tornare nella zona delle famosissime Philly Cheesesteaks sia un bene per la carriera di Kyle Lowry?