Quattro sconfitte su quattro in preseason, ma è soprattutto ciò che accade in spogliatoio a tenere banco a Cleveland: ecco quante cose possono accadere in un giorno come un altro nella squadra di LeBron James
Uno dei motivi che hanno spinto Kyrie Irving a lasciare i Cleveland Cavaliers, almeno secondo quanto emerso durante l’estate, è tutto il “drama” che circonda ogni squadra in cui gioca LeBron James. Visto quanto sta succedendo prima ancora dell’inizio della stagione, non gliene si può fare una colpa: mettendo per un attimo da parte le quattro sconfitte su quattro in preseason (che appunto, essendo preseason lasciano il tempo che trovano e non creano un vero “caso”), sono soprattutto le parole dei tanti ego presenti in spogliatoio ad aver lasciato interdetti. Andando con ordine, perché altrimenti si rischia di perdersi: solo negli ultimi giorni abbiamo scoperto che Kevin Love ha saputo del passaggio da 4 a 5 nel quintetto da una conversazione casuale con LeBron James e non da coach Tyronn Lue; J.R. Smith non ha nascosto la sua “frustrazione” (peraltro condivisa da Tristan Thompson) per la retrocessione dal quintetto alla panchina per far spazio a Dwyane Wade; Derrick Rose ha rivelato che nel 2010 aveva tentato di reclutare lo stesso Wade e James per andare ai Chicago Bulls, mentre negli ultimi anni era ormai dato per scontato che non ci avesse mai neanche provato; e nella sua prima partita dalle Finals LeBron ha sbagliato talmente tanti passaggi (7 palle perse e -18 di plus-minus) che anche rientrando in spogliatoio ha finito per tirare accidentalmente un asciugamano addosso al capo delle comunicazioni. Ce ne sarebbe abbastanza per una buona quindicina di giorni per una qualsiasi altra squadra, mentre è semplicemente un giorno come un altro nel magico mondo dei Cleveland Cavaliers.
Lo strano spostamento di Love da centro
Uno dei temi di questa preseason è stato lo spostamento di Kevin Love da ala forte a centro nel quintetto base, facendo partire Tristan Thompson dalla panchina come non succedeva da un paio d’anni. Ancor più interessante però è come l’ex Minnesota ha scoperto della rivoluzione: “Sapevo che c’era la possibilità di giocare più da centro, ma l’ho scoperto solo al terzo giorno di allenamento quando ho chiesto se su un certo schema difensivo avrei dovuto difenderlo maniera diversa da 4 o da 5. A quel punto ‘Bron si è fermato e mi ha detto: ‘Lo sai che sarai tu il 5 titolare, vero?’” ha rivelato Love. “Io l’ho guardato e non avevo completamente realizzato che sarebbe stato così. Probabilmente non mi sarei allenato in maniera diversa durante l’off-season, ma avrei cominciato a prepararmi mentalmente un po’ di più. A quel punto ho iniziato ad abituarmi e poi coach Lue lo ha reso noto a me e alla squadra”. Non che si tratti di un dramma totale, ma di sicuro esistono modi migliori per gestire un cambiamento così importante all’interno del quintetto base.
La frustrazione di J.R. Smith e Thompson
Nel frattempo, tra i giocatori che non hanno preso benissimo il cambio di quintetto dovuto agli arrivi di Rose, Wade e Jae Crowder (in attesa del rientro di Isaiah Thomas) si possono iscrivere anche due membri importantissimi dei Cavs in questi anni, vale a dire J.R. Smith e Tristan Thompson. Quando al primo è stato chiesto se era frustrato per la retrocessione in panchina la risposta è stata un insindacabile “assolutamente”, ma ha anche aggiunto che non è né arrabbiato né scontento, sentimento condiviso anche dal centro canadese. “Ne abbiamo parlato: non è stata la conversazione più positiva del mondo, ma ne usciremo insieme” ha detto la guardia a cleveland.com. “Sapevo che sarebbe potuto succedere e mi sono sostanzialmente preparato affinché succedesse, ma mi sono allenato duro tutta l’estate e arrivare qui senza neanche avere la possibilità di guadagnarmi il posto in quintetto… è andata come è andata. In verità mi piace giocare con la second unit, posso essere più un playmaker invece di correre in un angolo ad aspettare lo scarico”. A proposito della situazione di J.R., anche LeBron James – che aveva preannunciato la possibilità alla guardia con mesi di anticipo – ha detto di capire le opinioni del compagno (“È un agonista e ovviamente vuole partire titolare”), ma ha ricordato che “non importa chi parte in quintetto e chi esce dalla panchina: importa chi vuole sacrificarsi per vincere un titolo, che è poi il nostro obiettivo”. Parole che anche il soldato Thompson ha fatto sue, dicendo che “io e J.R. sappiamo cosa abbiamo dato a questa squadra negli ultimi tre anni con tre partecipazioni alle Finals, ma per vincere un titolo bisogna sacrificarsi. Entrambi lo sappiamo e uscendo dalla panchina possiamo essere la scintilla che accende la gara”.
Derrick Rose, leader della second unit e reclutatore mancato
Una delle note più positive viste finora nella preseason dei Cavs è il rendimento della panchina, che in queste partite è stata guidata proprio da Derrick Rose – un ruolo che ricoprirà anche partendo da titolare, in attesa che torni Isaiah Thomas (il rientro è previsto per fine dicembre-inizio gennaio). L’affiatamento tra l’ex Knick, i due “reietti” del quintetto Smith e Thompson insieme a Kyle Korver e Jeff Green (già autore di diverse schiacciate portentose nelle prime gare) si è già guadagnato il soprannome di “Bench Mob” – non particolarmente fantasioso, ma efficace. Lo stesso non si può dire però del quintetto, che con James alle prese con una caviglia malconcia da un paio di settimane e Dwyane Wade che deve ancora acclimatarsi, non ha avuto lo stesso successo. Proprio attorno ai due grandi amici si è creato un certo scompiglio quando Rose, a sorpresa, ha rivelato che nel 2010 aveva cercato di reclutare i due free agent (più Chris Bosh) per convincerli ad aggiungersi a lui ai Chicago Bulls. “La gente dice sempre che non faccio recruiting, ma quell’anno ci ho provato: ho registrato un video da mostrare loro, ma non toccava a me rivelare questo dettaglio. Pensavo che dovesse farlo l’organizzazione, non l’ho detto prima perché volevo vedere chi mi avrebbe coperto le spalle”. Cosa che evidentemente non è successa, visto che negli anni migliori della carriera dell’MVP una delle maggiori critiche che aveva subito era proprio il fatto di non aver cercato di reclutare altre stelle per raggiungerlo a Chicago. “I Bulls non hanno detto nulla e lo hanno spedito: non so se [Wade, James e Chris Bosh] lo hanno visto, ma io l’ho registrato”. Storie passate che forse cambieranno un minimo il racconto della carriera di Rose, che ormai non può più pensare di rinverdire i fasti di quando era MVP della lega, ma può comunque togliersi delle soddisfazioni per una squadra che punta al titolo. Sempre che il “drama” non li sotterri prima, ma ormai sembrano esserci abituati.