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Vietato piangersi addosso: Boston è la miglior squadra NBA

NBA

Dario Ronzulli (in collaborazione con “l’Ultimo Uomo”)

L’infortunio di Gordon Hayward non ha fermato la nuova squadra di Brad Stevens, capace di vincere nove partite consecutive e già in cima alla Eastern Conference. Il tutto grazie alla miglior difesa della NBA e alla connessione tra Kyrie Irving e Al Horford

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Dopo tanti tentennamenti, prima di muovere le pedine accumulate negli anni e dopo aver puntato il mirino con molta oculatezza su chi potesse far fare il salto di qualità alla sua squadra, Danny Ainge aveva già deciso che questa sarebbe stata l’estate per rompere gli indugi. Il sacrificio di tre uomini chiave dell’ultima ottima stagione dei Boston Celtics - Isaiah Thomas, Avery Bradley e Jae Crowder - più la partenza di altri otto giocatori ha portato ad avere una squadra totalmente modificata per qualità e caratteristiche. L’idea era di dare a coach Brad Stevens un gruppo maggiormente versatile in attacco e in difesa, con più talento offensivo, in grado di compiere quello step necessario per arrivare a giocarsi il titolo superando l’ostacolo LeBron James. Tutto bello e parecchio interessante: peccato che sia durato cinque minuti e quindici secondi, ovvero il tempo trascorso dal primo tip off stagionale contro i Cavs all’infortunio di Hayward.

Il ko della tibia del prodotto di Butler è stato talmente scioccante che molte tv hanno deciso di non trasmettere le immagini dell'arto piegato in modo innaturale oltre i 90 gradi. In quell’esatto momento tutto il playbook preparato dallo staff tecnico nell’ultimo mese e mezzo sarebbe potuto diventare carta straccia. Ma “un vincente trova sempre una strada, un perdente trova sempre una scusa”, per citare un aforisma che sul web viene associato alle personalità più disparate, da JFK a Lao Tzu, ma che potrebbe benissimo essere stato pronunciato per primo da Stevens.

Sin da quando divenne vice di Todd Lickliter a Butler, ormai 16 anni fa, il nativo di Zionsville si è sempre distinto per cercare la condizione ideale per far esprimere al meglio il materiale umano a disposizione. Una massimizzazione delle risorse, insomma: d’altronde la laurea in economia sarà pur servita a qualcosa. Cosa più importante, tuttavia, è l’espressione tranquilla e rilassata che Stevens trasmette praticamente sempre. In un’intervista del 2010, Stevens confessò che durante la sua prima partita da head coach si sentiva molto nervoso e si rese conto di aver trasmesso quel nervosismo ai giocatori: da quel momento impose a se stesso di non perdere più una partita a causa del suo approccio negativo.

Ecco, se hai un coach così diventa più facile affrontare e superare lo shock dell’infortunio del tuo giocatore probabilmente più determinante nelle due metà campo. Ed è quello che sta accadendo ai Celtics, capaci di nove vittorie consecutive dopo i primi due stop guidati in panca dell'imperturbabile Stevens e in campo da un giocatore con delle caratteristiche che Boston in questi anni non ha avuto: Kyrie Irving.

Quel pertugio dove passare l’ha visto solo lui

I pregi del sistema di Brad Stevens e l’integrazione di Irving

Come successo nella passata stagione, il cardine del sistema di Stevens è un’idea di Motion Offense il cui principio cardine è il Read & React: l’obiettivo dei suoi giochi infatti è attaccare la difesa, leggerla e reagire in modo opportuno valutando le opzioni che si creano con il movimento di palla e di uomini. È un sistema che lascia molta libertà di scelta, ma che di base non guarda di buon occhio azioni in solitudine 1 vs 5 senza aver mosso la difesa. Nel momento stesso in cui Hayward ha salutato la compagnia, era evidente che questa sarebbe stata la squadra di Irving e in seconda battuta di Al Horford. Ma se il figlio di Tito era già parte integrante delle idee del coach, l’ex Cavs doveva rinunciare a parte del suo essere un ball-stopper per il bene della squadra. Impossibile sostenere il peso di un isolamento perpetuo: la palla deve essere sempre in movimento. Inoltre l’assenza di Hayward gli ha messo addosso ancora più pressione, ma in fondo era quello che desiderava dopo tre anni all’ombra di James. I numeri e le sensazioni visive parlano chiaro: passata rapidamente la fase di adattamento, Kyrie Irving si è assunto il ruolo di leader non solo in quello che gli è sempre riuscito meglio, ovvero fare canestro, ma anche dando un ottimo esempio in difesa.

Premessa doverosa prima di proseguire: qualunque tipo di analisi statistica su qualunque squadra/giocatore oggi risulta assolutamente parziale e non può essere altrimenti, visto che non siamo neanche al primo mese di regular season. Detto ciò, “Uncle Drew” non ha modificato poi molto le proprie cifre “grezze”, pur in un contesto di squadra diverso e con compiti diversi. Si prende poco meno di un terzo dei tiri di squadra, segna poco meno di un terzo dei punti complessivi, il suo Usage si attesta intorno al 29% che è la percentuale media della sua carriera e l’isolamento rappresenta comunque il 20.6% del suo attacco, pur avendo raddoppiato i possessi giocati via passaggio consegnato. Ciò che è cambiato in maniera evidente rispetto agli anni in Ohio è quello che fa quando la palla ce l’hanno gli avversari: non ha mai avuto un defensive rating così buono in carriera (95.5, con il picco a 77.5 contro i Kings), non ha mai recuperato così tanti palloni (2.2 che diventano 3.6 se li tariamo su 100 possessi). È una difesa in primis di letture ma anche di sacrificio, perché al pari degli altri accetta i cambi difensivi senza calare l’attenzione, pur continuando a “morire” sui blocchi, difetto atavico del suo rendimento difensivo. Insomma, nonostante tutto c’è anche il suo zampino nella miglior difesa dell’NBA.

Mills palleggia e attende l’arrivo di Gasol per il blocco. Le mani di Irving sono però più rapide e anticipano il pick and roll degli Spurs portando via il pallone all’australiano e volando in contropiede

Qui Irving lascia perdere il suo uomo, Khris Middleton, e legge il movimento di Antetokounmpo preparandosi per il raddoppio. Il greco perde quella frazione di secondo necessaria per servire Middleton liberatosi in angolo e le mani di Irving gli portano via il pallone

Miglior difesa della lega, ma allo stesso tempo 12° attacco. Escludendo l’ipotesi che i Celtics si siano trasformati all’improvviso nei Grizzlies 2012-13, possiamo lavorare su altre risposte. La difesa di Boston si sta concentrando più sulla protezione interna che perimetrale, avvantaggiata dal fatto di non aver affrontato fin qui squadre che hanno nel tiro dall’arco uno dei cardini del proprio attacco. La conseguenza più evidente è che i biancoverdi sono molto più presenti a rimbalzo che in passato, catturando l’81.4% dei palloni sotto il proprio ferro (quarti nella lega). Inoltre subiscono pochissimo da contropiede (8 punti a gara, quarto miglior dato) e da palla persa (14.2, terzo miglior dato). In sintesi: i Celtics difendono di squadra con frequenti cambi difensivi - presumibilmente con Hayward questo elemento sarebbe stato ancora più marcato - e in attacco gestiscono con oculatezza i possessi facendosi trovare raramente fuori equilibrio (26esimi per numero di possessi giocati).

Alla ricerca di un'identità offensiva

Di contro la parte offensiva non ha ancora trovato una piena identità, cosa peraltro piuttosto fisiologica, pur in presenza di una crescita costante. Senza Hayward, Irving si è dovuto prendere molte più responsabilità ma, da giocatore ormai navigato qual è, sa benissimo che da solo non può fare molta strada, quindi ha bisogno di far sentire partecipi i compagni. In più c’è la figura di Al Horford, che per quanto si possa mettere al servizio del compagno più talentuoso, c’era prima di lui e questo in uno spogliatoio conta. Tradotto: coinvolgere tutti, Horford in primis, per evitare che la prevedibilità la faccia da padrone. Non è un processo che possa dare risultati istantanei anche perché l’assenza di un giocatore condizionante come Hayward ha creato un effetto valanga su tutti gli altri: Jayson Tatum è un rookie di eccellenti prospettive che spesso pecca nelle scelte e che si è ritrovato con più spazio del previsto; Jaylen Brown sta giocando il doppio dei minuti dell’anno scorso, tirando il triplo; Aron Baynes è stato catapultato in quintetto; Horford da Playmaking 5 nell’idea iniziale di quintetto base si è dovuto trasformare rapidamente in un 4, pur sempre playmaker di fatto (cosa che peraltro lo sta esaltando e non poco). L’unico a non aver cambiato il proprio status è Marcus Smart, che sesto uomo era e sesto uomo è rimasto: è il boss della second unit insieme a Terry Rozier, una coppia che permette di non abbassare mai il rendimento difensivo della squadra (anzi, probabilmente lo alzano pure, una cosa rara per le panchine NBA).

La vera forza dei Celtics resta comunque il binomio Irving-Horford. I due hanno già stabilito un’intesa molto efficace: nei minuti in cui sono in campo hanno un defensive rating di 91.8, contribuiscono a poco più della metà dei rimbalzi della squadra e tirano con il 57% di percentuale reale. Pur essendo ancora una chimica in fase di costruzione, tuttavia è innegabile che le fortune stagionali passeranno da qui. Horford, peraltro, sta avendo un’influenza sul gioco di Irving che va ben oltre le statistiche: in difesa lo comanda come se avesse un joystick dandogli i giusti ritmi e comunicando come mai era successo nella carriera dell’ex Cavs; in attacco poi gli toglie spesso compiti di regia esaltandone le caratteristiche di realizzatore puro. Tutto questo senza perdere di efficacia: l’ex Atlanta ha avuto un plus/minus positivo in ogni partita che ha giocato ed è probabilmente il principale candidato al premio di Difensore dell’Anno in queste prime 10 partite.

Con Horford che tira con il 47.4% dall’arco le difese sono costrette a scegliere se collassare su Irving in penetrazione o se allargare la difesa sul perimetro. In questo caso i Bucks, molto pigri, restano praticamente a metà del guado e si dimenticano del #42 che offre ad Irving una comodissima linea di passaggio.

Anche senza Gordon Hayward, i Boston Celtics stanno dimostrando di avere tutto per recitare un ruolo da protagonista. La difesa va a gonfie vele, mentre l’attacco è più indietro nella costruzione e necessita di aggiustamenti e intesa, ma è evidentemente sulla buona strada. Se il feeling cestistico tra Irving e Horford dovesse continuare ad essere così produttivo; se la second unit diventasse ancora più affidabile sulle spalle di Rozier e Smart; se Brown e Tatum mettessero più soluzioni nel proprio bagaglio tecnico, ecco che la stagione - pur dovendo fare a meno di un giocatore importante come Hayward - potrebbe comunque protrarsi fino a maggio inoltrato.

E la garanzia che quei “se” si tramutino in cose concrete è il viso concentrato e impassibile di Brad Stevens.