Please select your default edition
Your default site has been set

NBA, "Three The North": ecco i nuovi Toronto Raptors

NBA

Ennio Terrasi Borghesan

I Toronto Raptors hanno "cambiato tutto per non cambiare niente", e ciò nonostante sono rimasti nell'elite della Eastern Conference

Molto spesso, quando si fa una considerazione sul potenziale di una squadra NBA, si ragiona sul fatto che l’obiettivo finale per tutte le 30 franchigie sia la vittoria del Larry O’Brien Trophy. Nel parlare di tanking o contender tendiamo a considerare relativamente poco quelle squadre che stanno nel mezzo, a volte per necessità ma altre volte anche per scelta, accontentandosi di un livello medio-alto non propriamente considerabile come ambizioso, ma sicuramente coerente.

Nella serie The Newsroom, mirabile prodotto del genio di Aaron Sorkin, il team che gestisce del notiziario della ACN News Night, consapevole di un blasone inferiore rispetto ai concorrenti, “accetta” di creare un telegiornale di qualità e obiettività senza eccessive aspirazioni di grandeur. Per dire: in un episodio il loro motto è “Settle for Silver”, accontentiamoci della medaglia d’argento.

Masai Ujiri è probabilmente più ambizioso dell’anchorman Will McAvoy, ma nella sua carriera da General Manager ha dimostrato di sapersi accontentare di far parte della “medio-alta borghesia” della Lega: alla sua guida i Toronto Raptors hanno inanellato le quattro stagioni migliori della storia della franchigia, con tre titoli divisionali e, dopo due anni di post-season deludenti, tre serie di playoff vinte nelle ultime due stagioni. Per capire la portata di questi risultati basti pensare che nei 20 anni precedenti i Raptors avevano vinto una sola serie, per giunta al meglio delle cinque partite. In generale, però, l’idea è che si trattasse di una squadra che puntava a “Settle for Silver”, unica costante degli ultimi quattro anni passati alle spalle delle squadre di LeBron James. Una sensazione confermata dal fatto che i Raptors sono la seconda squadra a Est, per numero di vittorie nelle ultime cinque stagioni, dietro Cleveland.

Generalmente le squadre di Ujiri cambiano poco la propria identità tecnica e tattica tra una stagione e l’altra. I primi quattro anni dell’ex dirigente dei Nuggets in Canada sono stati pressoché sempre contraddistinti da una totale coerenza in termini di progetto tecnico: stesso coaching staff, stessi giocatori di riferimento, e nell’unico anno dove si è vista una modifica sostanziale al roster (con l’arrivo durante la scorsa stagione di Serge Ibaka al posto di Terrence Ross), il trend sempre crescente di vittorie si è interrotto.

Da quest’estate, però, qualcosa sembra essere cambiato. E per comprendere meglio i rinnovati Toronto Raptors, che hanno cambiato tutto (in termini di stile di gioco) per non cambiare niente (in termini di risultati, visto che navigano stabili tra le prime quattro posizioni a Est), bisogna anche tuffarsi all’interno di quella che è stata la scorsa stagione.

Il curioso caso di un attacco poco fluido ma super efficiente

La stagione 2016-17 dei Toronto Raptors cambia faccia il 14 febbraio, quando uno scambio con gli Orlando Magic porta in Ontario Serge Ibaka in cambio di Terrence Ross e una prima scelta all’ultimo Draft NBA (spesa per il lungo lettone Pasecniks, i cui diritti sono poi finiti ai Philadelphia 76ers). Lo scambio con i Magic, insieme alla seguente pausa per l’All-Star Weekend, segna di fatto uno spartiacque della stagione di Toronto: prima della pausa i Raptors erano la quarta squadra nella lega per Offensive Rating e la sedicesima per Defensive Rating; nel resto della stagione i due valori si sono capovolti, con Toronto 13° per rating offensivo e 4° per quello difensivo.

La media di questi due periodi ha fatto sì che i Raptors, a fine stagione, fossero l’unica squadra ad Est (e una delle tre in tutta la lega insieme a Golden State e San Antonio) ad essere nella top-10 offensiva e difensiva. Il tutto con un ritmo storicamente lento (sempre, nell’era Ujiri, i Raptors sono stati tra le ultime 10 squadre della Lega per numero di possessi giocati, addirittura penultimi nell’anno delle 56 vittorie), che però ha portato Toronto a vincere ben 21 partite su 46 rimontando da uno svantaggio di 10 o più punti nel corso della gara.

Per lo più, i Raptors 2016-17 sono stati la peggiore squadra negli ultimi 27 anni per percentuale di canestri assistiti, frutto di un attacco dove la palla era per lo più fagocitata dalle tre principali fonti di gioco: DeMar DeRozan (di gran lunga primo nella lega per tiri dal palleggio da due punti), Kyle Lowry e Cory Joseph.

 

Un esempio di tiro dal palleggio di DeRozan in un attacco decisamente lento e prevedibile: persino una delle difese più mediocri della NBA come quella dei New York Knicks non ha problemi a seguire l’azione.

Ma nonostante meno della metà dei canestri segnati da Toronto siano stati assistiti - e i tre giocatori sopra citati abbiano accumulato un numero di palleggi pari quasi all’intero totale dei Golden State Warriors - in Regular Season Toronto è sempre stata capace di trovare il bandolo della matassa tattica, mettendo in piedi un attacco efficiente e raggiungendo comunque quota 50 vittorie per la seconda volta nella storia della franchigia.

Le due azioni sopra citate appartengono a una partita dei Raptors della seconda parte di stagione, vinta alla fine nonostante i soli 12 assist su 33 canestri segnati dal campo. Per quanto riguarda l’Assist Rate, ovverosia la percentuale di canestri assistiti rispetto al totale, la musica è leggermente cambiata ai playoff, col valore che è passato dal 47.2% al 55.7%. A calare è stata però, decisamente, l’efficienza offensiva, rallentata dai maggiori aggiustamenti avversari su un attacco estremamente prevedibile: nelle ultime tre stagioni i Raptors sono sempre stati tra le peggiori quattro squadre ai playoff per rating offensivo, con tutti i limiti che erano già emersi nella serie contro Milwaukee prima dello sweep al secondo turno contro Cleveland.

Tutto lento, tutto ‘telefonato’: Monroe non deve faticare molto per generare la palla persa.

Emersi per l’ennesima volta i limiti di questo roster come ammesso anche in una conferenza stampa dai toni molto accesi (“Qualcosa deve cambiare”), Masai Ujiri alla fine ha comunque deciso di rimanere attaccato al suo nucleo rinnovando per tre anni i contratti di Kyle Lowry e Serge Ibaka. Un’ammissione implicita di non poter sperare di fare più di così, complice anche l’impossibilità di riuscire a scambiare Jonas Valanciunas e lo scarso mercato per DeMar DeRozan, specialmente con il super contratto firmato solo un anno prima. Per questo ci si aspettava che il cambiamento sarebbe arrivato in panchina, salutando coach Dwane Casey dopo anni di successi in Regular Season e puntuali delusioni ai playoff, ma neanche lì si è deciso di cambiare. Di fatto, la soluzione trovata è stata quella di alleggerire il carico offensivo dalle spalle di Lowry e DeRozan e di provare a lavorare a qualcosa di completamente diverso, ma con tutti gli stessi interpreti.

Run, Share and Shoot

Stando a quanto visto in queste prime sei settimane di Regular Season, quel “qualcosa di completamente diverso” lo stiamo iniziando a vedere ora. La partenza durante la off-season di DeMarre Carroll e Cory Joseph è stata fondamentale per creare lo spazio salariale necessario alla firma del tiratore C.J. Miles, uno dei segreti non così tanto nascosti della nuova versione dei Raptors, e allo stesso tempo creare spazio per l’ascesa di diversi giovani dalla panchina.

La presenza di Miles porta DeRozan ad esplorare una possibilità non così tanto “esplorata” in passato: lo scarico dopo una penetrazione.

I risultati sono stati del tutto simili a quelli degli anni passati: dopo le prime 21 partite di Regular Season i Raptors sono 12° nella lega per Pace, con attacco e difesa che si mantengono sui livelli di assoluta élite visti nelle ultime quattro stagioni (4° per rating offensivo, 10° per rating difensivo). L’efficienza in attacco è ancora più sbalorditiva se si pensa al fatto che, oltre a passare di più il pallone (26% di assist in più rispetto allo scorso anno), Toronto tira meglio dal campo e ha moltiplicato del 25% i suoi tentativi da tre punti.

Tutto ciò è stato reso possibile grazie al “sacrificio” di Lowry e DeRozan, che in questo primo mese e mezzo di Regular Season hanno rinunciato a quella quantità di tiri che corrisponde quasi esattamente al numero di conclusioni da tre punti tirate in più rispetto allo scorso anno (circa 7 a partita). L’altruismo dei due All-Star ha fatto sì che entrambi abbiano trovato delle alternative per contribuire al gioco di Toronto: DeRozan è ai massimi in carriera per assist; Lowry addirittura in quelli a rimbalzo, visto che con 6.3 di media è il secondo rimbalzista di squadra dietro Valanciunas.

Accettare i cambi e difendere bene i mismatch

Nella pallacanestro però è difficile costruire una squadra vincente senza una buona difesa, e i Toronto Raptors 2017-18 non vengono meno al vecchio adagio. I miglioramenti nella metà campo difensiva sono meno appariscenti a una prima occhiata, ma osservando meglio alcuni dei loro possessi si nota, innanzitutto, la continua capacità di accettare i cambi difensivi “proposti” dall’attacco senza perdere il ritmo difensivo.

Accettare di cambiare continuamente in difesa è una ottima maniera per far vacillare i punti di riferimento dell’attacco, ma per una squadra non troppo grossa fisicamente come Toronto (oltre a Lowry e i quattro lunghi - Bebe Nogueira, Jakob Poeltl, Valanciunas e Ibaka - tutti i Raptors in rotazione sono compresi tra i 190 e i 203 centimetri) può voler dire fronteggiare continuamente situazioni di mismatch nel corso di una partita.

Esistono sicuramente mismatch più sbilanciati di quello di Delon Wright con Jaylen Brown, ma anche in questo caso si può osservare la perseveranza del difensore e, inoltre, l’apporto del collettivo - ad esempio sporcando il passaggio verso Semi Ojeleye, numero 37 Celtics

Queste situazioni sono spesso provate da Casey in allenamento, dove il lavoro si concentra più sul momento che precede il tiro: l’obiettivo è infatti forzare il più possibile la conclusione negli ultimi secondi di gioco, sbilanciando l’avversario e non fornendo un appoggio comodo al giocatore in post, che dovrà “cambiare” verso, come visto nell’esempio Wright contro Brown. I rimbalzi di Lowry sono uno degli altri effetti di questo sistema: la fiducia reciproca all’interno di una squadra che cambia continuamente in difesa qualora ve ne sia l’occasione porta a taglia-fuori più solidi, permettendo anche a un esterno di sfruttare gli spazi per catturare il rimbalzo e far partire l’azione con più decisione (sul modello di quanto spesso si vede negli Oklahoma City Thunder con Westbrook).

La miglior panchina della lega

Il successo della nuova Toronto deriva, innanzitutto, da una panchina difficile da pronosticare come produttiva se ci si ferma ai nomi, ma che lo stesso C.J. Miles ha definito “la migliore della lega”. E probabilmente non ha torto.

Nell’era Ujiri Toronto è spesso stata una delle squadre peggiori nei primi e terzi quarti, quelli giocati in prevalenza dai quintetti base, per poi riscattarsi decisamente nei quarti “pari”, soprattutto negli ultimi 12’ dove i Raptors sono spesso stati tra le migliori squadre NBA (+13 di Net Rating nella scorsa stagione).

Dietro al successo di una squadra tendenzialmente mediocre se si guarda al suo quintetto base -e in particolare al trio più longevo nel determinare le fortune di Toronto nell’era Ujiri, quello formato da Lowry-DeRozan-Valanciunas, che nelle ultime stagioni ha prodotto un Net Rating di -2.7 -  c’è la panchina, dove spesso l’ex GM dei Nuggets e coach Casey hanno saputo cavare più di un ragno dal buco grazie a una combinazione di fattori diversi.

Da non sottovalutare, innanzitutto, c’è l’ottimo lavoro che Toronto svolge con la sua franchigia affiliata di G-League, i Raptors 905, vincitori dell’ultimo titolo. Dalla lega di sviluppo sono passati la maggior parte dei giocatori che oggi, in maglia Raptors, contribuiscono a un pazzesco +24.3 di Net Rating nei secondi quarti di gioco, in cui tendenzialmente Toronto schiera almeno tre delle sue seconde linee in ogni momento.

Ad esempio tre esterni come Fred VanVleet, Norman Powell e Delon Wright hanno in comune l’essere stati pescati dal sommerso, essendo rispettivamente un undrafted, una scelta numero 46 e una numero 20 (sempre al Draft in cui Toronto prese Powell al secondo giro). I tre giocatori sono cresciuti tecnicamente moltissimo con il passare del tempo, grazie soprattutto all’esperienza accumulata nella lega di sviluppo.

La fluidità della circolazione di palla della second unit dei Raptors si vede più frequentemente rispetto al quintetto base.

È interessante anche il discorso che riguarda i tre lunghi principali della second unit di Toronto: se Nogueira è sin qui stato un progetto che ha richiesto un lavoro diverso e più lungo (è il più “veterano” dei panchinari di Toronto, in quanto ai Raptors dal 2014), Poeltl e Paskam Siakam sono due giocatori al secondo anno cui la G-League ha giovato moltissimo nel migliorarne il livello di gioco. L’austriaco è primo per Win Shares per 48 minuti nella sua classe del Draft e anche i numeri (7 punti di media col 70% dal campo in appena 16 minuti sul parquet) supportano i suoi miglioramenti; il camerunense invece, dopo essersi ritagliato un buon numero di apparizioni in quintetto nella scorsa stagione, quest’anno si sta rivelando come un difensore sottovalutato con ottimi margini di miglioramento anche in attacco (è attualmente primo nella lega per percentuale di tiro nella Restricted Area, ben l’81.4%).

La reattività di Poeltl qui porta a un extra-pass che genera un ottimo tiro di Powell, in una azione interamente orchestrata dalla panchina dei Raptors.

I due nomi più importanti della panchina di Toronto sono però quelli delle due principali novità dell’estate. Il rookie O.G. Anunoby, in particolare, sta dimostrando di valere molto di più della 23° scelta spesa per lui all’ultimo Draft NBA. Il nigeriano nativo di Londra e prodotto di Indiana University nel mese di novembre ha convinto coach Casey a dargli un posto in quintetto, e lui ha ripagato la fiducia tirando con il 47% da 3 punti su 2.4 tentativi di media a partita, oltre ad una difesa versatile e in grado di cambiare frequentemente su qualsiasi tipo di avversario grazie alla sua incredibile apertura di braccia.

C.J. Miles invece sta invece dimostrando la sua fama di ottimo tiratore anche con un minutaggio ridotto (i 19’ di media sono superiori solo alle prime tre annate con i Jazz): i 6.4 tentativi di media da 3 punti a partita sono un massimo in carriera pareggiato, e Miles è secondo nella lega per triple tentate su 36 minuti dietro a Marreeese Speights. Anche su di lui ci sono margini di miglioramento da esplorare, visto appunto il minutaggio ridotto, il basso numero di triple dall’angolo procurate (solo 18 finora) e l’aver condiviso pochi minuti sul parquet con Lowry e DeRozan (con cui però Toronto è -3.5 di Net Rating in 82’).

Miles è quel tipo di giocatore che, una volta accesosi, è difficile da spegnere: in questa partita contro Houston le sue tre triple consecutive contribuirono a costruire una netta vittoria contro un avversario ben più quotato.

Coming Up Next

Quanto seminato nelle prime sei settimane di Regular Season dai Raptors potrebbe essere raccolto nel mese di dicembre, in cui i Raptors saranno attesi da un calendario abbastanza abbordabile.

Nonostante otto delle prossime 13 partite siano in trasferta, fino a Capodanno Toronto giocherà soltanto due partite contro squadre dal record superiore al 50% di vittorie, entrambe tra l’altro contro gli entusiasmanti Philadelphia 76ers. Il resto, incluso un giro ad Ovest contro squadre di livello più basso come Phoenix o Sacramento o in crisi come Clippers e Grizzlies, potrebbe costituire quel tesoretto di vittorie in grado di “Settle for Silver” e consolidare uno dei primi quattro posti a Est.

Con il grosso della squadra già sotto contratto anche per il 2018-19 - stagione in cui entrerà nei libri contabili anche l’estensione quadriennale fatta firmare in estate a Norman Powell - sarà la post-season dei Raptors a darci maggiori indicazioni sull’adattabilità a livello di playoff di questa nuova versione della squadra di Casey che cambia su tutti i blocchi e tira molto da tre, due aspetti che diventano sempre più fondamentali con l’avanzare della cavalcata ai playoff. Salvo novità derivanti da una possibile cessione di Valanciunas - per il quale Ujiri tiene da tempo le orecchie drizzate sul mercato -, ad ogni modo questi Toronto Raptors si sono già confermati come una delle squadre più solide della Regular Season, accontentandosi, come News Night, del loro posto sul proscenio della NBA senza ambire più di tanto a qualcosa di più.