A Memphis non smettono di perdere, neanche giocando contro chi riusciva (almeno fino a oggi) a fare peggio dei Grizzlies. E il lungo catalano sottolinea il suo disappunto per le scelte fatte dalla società: "Un bottiglia di vino rosso aiuta in queste situazioni"
La sfida tra Memphis Grizzlies e Phoenix Suns è passata a suo modo allo storia. Non di certo per la bellezza del gioco e la forza delle squadre in campo, ma perché per la sesta volta nella storia NBA si sono affrontate due franchigie che arrivavano con in dote almeno dieci sconfitte a testa. L’ultima volta era successo il 20 gennaio 1998 ai Vancouver Grizzlies che vinsero 88-77 contro i Denver Nuggets che cavalcavano una striscia di 20 ko. Memphis alla fine ha perso anche questa, chiudendo un terribile mese di febbraio senza neanche una vittoria a referto: non accadeva ai Grizzlies dal marzo 1996 (0-17 il record), sempre nel periodo in cui la franchigia era ancora a Vancouver. “Avremmo dovuto vincere alcune delle gare più abbordabili in queste ultime settimane”, sottolinea Marc Gasol. La stessa idea di coach Bickerstaff: “Se ci guardiamo indietro è facile capire quante siano state le opportunità di vincere che ci sono sfuggite. Diverse volte ci siamo ritrovati punto a punto, ma senza la forza necessaria per garantire la giusta lucidità nel finale”. Anche a inizio partita però le cose non è che andassero per il meglio: Memphis ha perso sei palloni nei primi tre minuti di gara: “Quasi tutte dovute a scarsa attenzione”. Qualunque sia la ragione, il risultato non cambia e non è soddisfacente soprattutto per chi non è abituato a doversi dimenare sul fondo della classifica. Gasol dal suo approdo in Tennessee, dopo una prima stagione da 24 vittorie, ha sempre veleggiato oltre le 40 e con almeno il 50% di successi. “Un bottiglia di vino rosso aiuta in queste situazioni”, chiosa il lungo catalano, che già prima della sfida con i Suns aveva esternato tutto il suo disappunto. “Non è una questione di sottolineare chi sta giocando bene o chi sta provando a far crescere giocatori. Esiste una lega apposita per fare quel tipo di lavoro. Abbiamo un campionato e una squadra anche qui a Memphis per aiutare gli atleti a diventare professionisti. Questa però è la NBA, non la G-League”.
Il disastro Grizzlies fa affondare anche Marc Gasol
Una stagione iniziata male e finita peggio, passata attraverso l’infortunio di Mike Conley (che si è tenuto ben alla larga dalla possibilità di forzare i tempi e rientrare sul parquet già in questa regular season) e il licenziamento di coach Dave Fizdale; fin troppo equipaggiato per condurre una stagione di questo tipo. Memphis infatti non è mai stata la migliore squadra della Western Conference, ma spesso ha vestito con orgoglio i panni della più combattiva. Nessuno voleva incrociarli, nonostante il quintetto disfunzionale e un attacco non sempre scintillante. Tutti tiravano da tre punti e Memphis continuava ad appoggiarsi in post e vicino al ferro. I quintetti erano pieni zeppi di tiratori e i Grizzlies schieravano con orgoglio Tony Allen. Dopo le partenze di questa estate però, lo scenario è radicalmente cambiato, in un roster pieno di rookie e giocatori provenienti dalla G-League. Gasol è stato il primo a veder calare drasticamente il suo rendimento, viaggiando con la peggior percentuale al tiro dal campo in carriera e stabile al 206esimo posto in quanto a rating difensivo concesso nella classifica dei titolari NBA (in zona Ryan Anderson, per intenderci). Uno dei migliori centri degli ultimi anni ridotto al ruolo di figurante (lautamente retribuito, certo): “È davvero frustrante vederlo così – sottolinea coach Bickerstaff -, un ragazzo competitivo come lui, uno di quelli che da il giusto valore al lavoro di ogni singolo giorno. Qualunque sia il contesto, sia in allenamento che in partita, dimostra di essere un vincente. Per questo sta provando a fare di tutto per dare una scossa al gruppo, visto che non ha mai fatto troppa attenzione ai punti a referto. Per lui contano solo vittorie e sconfitte; per questo è una situazione frustrante. Hai inevitabilmente i suoi momenti difficili, ma poi è spesso coinvolto e impegnato nel consolare, istruire e dare morale ai compagni più giovani”. Sarà, ma a sentire le dichiarazioni non si direbbe.