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NBA, Dejounte Murray: la nuova speranza dei San Antonio Spurs

NBA

Daniele V. Morrone

In una stagione complicata dalla situazione legata a Kawhi Leonard, i texani hanno cominciato a scoprire il talento del giovane playmaker, chiamato a raccogliere l’eredità di Tony Parker dopo averne preso il posto in quintetto. Forse l’annata degli Spurs non è stata del tutto sprecata

La lampadina in testa sulle capacità di Dejounte Murray mi si è accesa in una situazione di gioco apparentemente ininfluente di una partita che di certo non passerà alla storia di questa stagione, da un certo punto di vista però storica (in negativo) per i San Antonio Spurs. Tutto inizia con il solito tiro di LaMarcus Aldridge nei pressi del pitturato: sotto canestro ci è finito quello che in teoria dovrebbe essere il primo portatore della squadra, ovverosia Murray, ed è lui che raccoglie il rimbalzo partendo alle spalle dell’avversario di turno, nel caso Bradley beal. Da lì utilizza un palleggio per guardarsi attorno e scarica fuori dove trova subito libero Patty Mills per la tripla. Sicuro della conclusione del compagno, Murray si avvia a tornare fuori dall’arco, ma stranamente la palla prende solo il primo ferro e torna in aria. Lì ,con un giro e scatto degno di un velociraptor, ci si fionda ancora Murray, prendendo completamente il tempo all’avversario e recuperando la palla dopo il primo palleggio. Senza neanche riprendere fiato utilizza un ulteriore palleggio con la mano sinistra per rimettersi fronte a canestro e lo attacca dal lato, cambiando mano per poter concludere al ferro quando mette piede nel pitturato. In aria con la palla già sopra la testa, però cambia idea e scarica fuori per un’altra tripla di un compagno libero, questa volta Danny Green. Avete capito dove voglio andare a parare e non vi sorprenderà quindi sapere che la tripla di Green finisce sul secondo ferro, ributtando il pallone in aria dove ovviamente a raccoglierlo c’è ancora Dejounte Murray. Che questa volte finisce dalla parte opposta dell’area per prenderlo e visto che è sotto pressione, scaricarlo su Patty Mills per far ripartire l’azione.

Non sono l’unico ad essere saltato dalla sedia per quest’azione di Murray da tre rimbalzi offensivi.

È lì che ho pensato “forse Spurs ce l’hanno fatta di nuovo”. Mentre tutti si preoccupano del loro futuro, mentre è in dubbio la permanenza della loro stella Kawhi Leonard, mentre non si sa neanche quanto durerà ancora Gregg Popovich in panchina. In mezzo ad una stagione chiaramente di passaggio, ecco che Dejounte Murray, il giocatore al secondo anno diventato titolare a stagione in corso, fa vedere dei lampi che lo portano a poter essere considerato la principale, per non dire unica, nota positiva di questa stagione. Quando da gennaio ha iniziato a partire in quintetto, visto il momento storico che sta vivendo Tony Parker, è stato evidente come per gli Spurs la stagione regolare volesse essere prima di tutto una scuola per Murray. I nero-argento hanno deciso di buttarlo nella mischia sin dalla prima palla due soprattutto come mossa dal punto di vista mentale, perché anche se può cambiare poco in termini di minutaggio effettivo a fine gara, per un giocatore così giovane in un’istituzione come gli Spurs partire da titolare non è la stessa cosa che farlo dalla panchina. Significa passare da giovane speranza a uomo cui si chiede di essere produttivo nei minuti in campo: è un’investitura di responsabilità all’interno della franchigia. E se la risposta di Murray è questa forza cinetica sprigionata per il campo con la capacità di muoversi sempre, prendendo rimbalzi, trovando i compagni liberi, facendo insomma sempre qualcosa che genera inerzia positiva per la sua squadra, allora gli Spurs ce l’anno fatta di nuovo.

La risposta del giocatore alla scelta di Popovich di dargli la titolarità è stata quella che gli Spurs speravano e che tutte le altre franchigie sapevano sarebbe stata. Murray non solo ha talento, ma è estremamente malleabile nella direzione in cui questo talento può andare. E se ancora non si può sapere se il suo potenziale sarà quello di una stella della lega o solo di un giocatore sopra media per il ruolo, rimane comunque un’altra speranza di futuro per una franchigia che, tolta la sua stella Kawhi Leonard, ha tutti i giocatori più importanti oltre il proprio picco della carriera.

Il talento di Murray

Nel Draft 2016 Dejounte Murray viene scelto a fine primo giro in uscita dall’Università di Washington. Il talento, per quanto ancora tutto da pulire, è sotto gli occhi di tutti, ma in tanti non hanno una chiara idea su quale sia la direzione da prendere nel suo sviluppo, e per questo viene passato. In un recente podcast con Zach Lowe il mai banale GM degli Houston Rockets Daryl Morey ha detto che, per quanti avanzamenti siano stati fatti dall’NBA in ogni aspetto del gioco, incredibilmente si fa ancora fatica ad avere davvero successo in sede di Draft - anzi, Morey pensa addirittura che la lega sia peggiorata sotto questo aspetto. A suo favore c’è da dire che effettivamente il miglior giocatore dall’ultimo Draft è stato scelto alla tredicesima posizione da una squadra che lo ha immediatamente scambiato. E senza nulla togliere ai primi tre, già dalla quarta scelta in poi le squadre probabilmente guardano a Donovan Mitchell con più risentimento che ammirazione.

In attesa che qualcuno trovi un metodo nuovo per valutare i giovani prospetti, ci vuole quindi ancora tanta fortuna e l’istinto conta ancora tanto in sede di Draft, ma non è un caso si gli Spurs si sono tuffati su Murray appena l’hanno visto ancora libero. Nel modo in cui trasmette un’energia costante, nella capacità di andare a grandissime velocità in campo pur rimanendo comunque in controllo del corpo, si può dire che in Murray gli Spurs hanno pescato quello che può essere l’erede proprio di Tony Parker calato nel contesto della pallacanestro NBA contemporanea. Nel caso di Murray parliamo di un giocatore che proprio per l’assenza di tiro al college (parliamo di 41.6% dal campo, 66.3% dai tiri liberi e 28.8% da tre con l’arco ravvicinato di un metro) era piano piano scivolato giù al momento del Draft, nonostante tutte le metriche fisico-atletiche lo indicassero come un giocatore almeno da metà primo giro. Quello che più di tutti interessava gli scout degli Spurs però era la sua combinazione di atletismo debordante e lunghezza delle braccia da apertura alare di un albatros (quasi 212 centimetri) che, per un giocatore abituato ad avere la palla in mano e governare un attacco da una parte e marcare l’avversario diretto dall’altra, lo rendevano l’ennesimo esempio del nuovo che avanza nella lega.

Le doti difensive speciali di Dejounte

L’apertura delle braccia, la cosiddetta wingspan, è in questo momento storico considerata l’arma in più dal punto di vista prima di tutto difensivo per un giocatore, molto più della massa muscolare e dell’atletismo puro. Perché in questo contesto in cui tante squadre di alto livello ti costringono a cambiare continuamente sui blocchi, la capacità di poter tenere il maggior numero di tipologie di avversario è la prerogativa base di un ottimo difensore, specie tra gli esterni. Non basta più saper tenere un avversario uomo-contro-uomo: bisogna anche avere la capacità di adattarsi subito a dover tenere chi capita davanti dopo la serie di blocchi, che sia uno capace di bruciarti sul primo passo, uno che tira non appena ha mezzo metro di spazio o uno che punta a portarti in post basso. Alla sua seconda stagione nella lega Murray ha già dimostrato di poter essere quel tipo di difensore lì. I suoi margini di crescita in questo senso dipendono solo ed esclusivamente dall’esperienza, dalla capacità insomma di capire quando saltare in verticale e quando rimanere con i piedi per terra o quando riconoscere il momento del raddoppio. Ma base per un difensore dominante sugli esterni c’è tutta.

Il lavoro che stanno facendo gli Spurs su di lui è simile in questo senso a quello fatto con Leonard, utilizzandolo quindi in questa stagione in punta per marcare inizialmente il giocatore più pericoloso tra gli esterni avversari. Quello che gli si chiede è di non risparmiarsi minimamente e utilizzare l’apertura enorme delle braccia per fornire un misto tra una copertura dell’uomo e una pseudo-protezione del ferro già sul perimetro, ovvero potersi permettere contemporaneamente di sporcare le traiettorie di passaggio e di oscurare la visuale di chi ha palla grazie all’apertura delle braccia, mettendo la mano davanti per tutta la traiettoria del pallone fino al rilascio e potendo sempre rimanere davanti grazie ai piedi veloci. La sua struttura fisica e il suo primo passo gli permettono di rimanere aggressivo ed essere comunque sempre un fattore da tenere conto anche in aiuto sulle linee di passaggio. Per gli Spurs in questa stagione di passaggio senza Leonard è stato importante poter raccogliere tante informazioni dal talento difensivo di Murray.

Jonathan Tjarks su The Ringer l’ha definito “una point guard con il profilo difensivo di un lungo”. Qui nel cambio finisce su Anderson e non ha problemi ad impedirgli di tirare.

I lavori in corso in attacco

I miglioramenti sono continui e stanno arrivando anche in fase offensiva, dove ad esempio stanno uscendo fuori delle letture nel pick and roll che lo scorso anno non aveva. Il gioco a due è anche la sua fonte primaria di azioni di gioco nonostante abbia un problema evidente nel playmaking, che per un primo portatore risulta ovviamente un limite non da poco. Ovviamente il primo difetto del suo gioco offensivo è che il tiro è ancora troppo indietro: la capacità degli Spurs di vincere la scommessa nel costruire in Murray un giocatore in grado di tirare almeno con sicurezza il pallone da dentro l’arco è la base per fare di Dejounte un giocatore che possa raccogliere pienamente l’eredità di Parker. Ma il fatto che dal palleggio tiri con il 33%, lo porta ad essere condizionato quando deve eseguire l’azione di gioco, perché lui già sa che se si riesce a mettere in ritmo sfruttando un vantaggio prima della conclusione va meglio (tira con un buon 50%) rispetto a quando deve partire da fermo (misero 29%). Gli avversari lo stuzzicano e passano dietro i blocchi quando ha lui il pallone, consapevoli di non dover temere la conclusione dal palleggio e potendo quindi invece arretrare per schermare lo spazio dove lui si infilerebbe per andare a canestro.

Gli Spurs, bisogna ricordare, sono la franchigia che è riuscita in pochissimo tempo a rendere Kawhi Leonard una sicurezza dalla lunga distanza pur partendo da una base vicina allo zero. L’allenabilità sovrumana di Leonard hanno certamente predisposto il miracolo, ma ci vuole anche uno staff all’altezza: nel caso degli Spurs è il famoso esperto della meccanica di tiro Chip Engelland, già responsabile dei miglioramenti di Parker e ora da due anni alle prese anche con Murray. Per la guardia la questione in realtà era quella di Leonard, ovvero una meccanica da dover ricostruire da zero: da questo punto di vista il fatto di non essere mai stato un tiratore di indole è un vantaggio, perché permette di lavorare senza brutte abitudini pregresse o blocchi mentali da parte del giocatore. Murray sa che non è in grado neanche di prendere il ferro con continuità da oltre l’arco con il suo tiro e quindi si affida totalmente allo staff predisposto al suo sviluppo tecnico.

Contrariamente a quanto si possa pensare, visto il suo livello di sviluppo ancora in corso che lo rende non competitivo al tiro da qualunque posizione fuori dal pitturato, Popovich lo lascia libero di tentare (quasi, stiamo sempre parlando di Pop) ogni conclusione lui voglia, dal palleggio come dalla ricezione. Ogni partita della stagione ha almeno un paio di conclusioni sbilenche di Murray in cui però si vede come la cosa importante sia che se le prenda, perché il numero di ripetizioni a cui deve arrivare per riuscire ad avere un movimento sicuro è talmente elevato che ben venga che lo faccia anche a velocità-partita, perché non saranno quelle due conclusioni fuori contesto a cambiare le sorti della gara ma potrebbero essere importanti per il suo sviluppo come giocatore a tutto tondo. Sia chiaro, parliamo comunque ancora di conclusioni dentro l’area, perché da tre tira forse solo se è sceso dal letto col piede sinistro (0.4 tentativi in stagione).

Lavori in corso. Prego circolare.

Il suo tiro è talmente in costruzione che non riesce ancora ad avere una meccanica uguale e razionale a seconda della zona di campo: può capitare che si alzi con le due braccia per poi usarne solo una per tirare, come che si alzi per accompagnare e tenga il sinistro sul pallone anche troppo. Forse per questo ancora preferisce accompagnare il pallone con una mano in quello che gli americani chiamano floater e di cui non a caso Tony Parker è un maestro assoluto. Con le sue braccia lunghissime e l’esplosività al momento del salto, può permettersi di tirare frontalmente dopo aver attaccato il lungo saltato in verticale. Certo, per eseguire questo fondamentale deve trovarsi nel pitturato, e questo fa sì che le conclusioni vincenti di Murray alla fine gravitino tutte lì.

Vuoi perché è effettivamente già ora un giocatore affidabile per il ruolo nelle conclusioni in transizione (che rappresentano non a caso il 20% delle sue azioni e nelle quali tira sopra il 50%) o vuoi perché si trova in fiducia quando nel pitturato, alla fine il 41% delle sue conclusioni arrivano entro un metro dal canestro e il 22% tra uno e tre metri dal canestro. Praticamente un terzo delle sue conclusioni quindi arrivano non oltre i tre metri dal ferro, un dato che va benissimo se si considera anche quanto è predisposto alle transizioni, ma che può diventare un indirizzamento troppo forte per il suo gioco quando invece si attacca a metà campo.

In questo senso una seconda questione di fondo ancora da affinare della sua esecuzione dei pick and roll è il fatto che ferma troppo il palleggio quando si trova un avversario fermo davanti che sa di non poter battere. Non volendo sempre tirare dal palleggio e puntando quindi come prima opzione l’uomo che è passato dietro al blocco, si ritrova quasi a sbattergli contro se non può superarlo andando verso canestro. Da lì purtroppo si ferma e quindi deve necessariamente passarla al compagno più vicino. Va detto che parliamo di un caso comunque non comune perché rimane un giocatore che, grazie alla capacità di utilizzare ad alta velocità entrambe le mani, risulta veramente difficile da contenere frontalmente. La sua capacità di controllo del corpo ad alte velocità, come detto, rimane la sua dote offensiva migliore, e se riesce ad arrivare nel pitturato allora con un passo è a canestro sia allungandosi a destra che a sinistra, sfruttando anche in attacco le braccia chilometriche. Visto però che ancora possiede un palleggio molto alto, più da campetto che da professionisti per intenderci, una volta che il difensore riesce a tenere il suo palleggio bloccandogli la via per il ferro, ecco che Murray ancora non ha la capacità di tenerlo vivo e per evitare la persa preferisce fermarlo e riciclare la palla.

Le grandi doti a rimbalzo d’attacco

Ovviamente la questione del tiro è un grande problema anche quando non ha la palla perché permette alle difese avversarie di non occuparsi di lui fin quando non entra in area o comunque in possesso della sfera. Gli avversari lo lasciano letteralmente libero di muoversi fuori dall’arco ignorandolo volutamente per accorciare con un uomo in più vicino alla lunetta. Questo vale anche quando Murray si trova negli angoli, una situazione comune nelle spaziature offensive degli Spurs, e che lo costringono rapidamente a scambiarsi di posto con il lungo andando a tagliare visto che paradossalmente il lungo spesso è più cercato di lui in quella zona. Murray finisce per andare sotto canestro, una situazione in cui comunque le braccia infinite e la sua agilità lo portano a giocare sorprendentemente bene in questo suo ruolo di rimbalzata offensivo che tanto ha esaltato i suoi osservatori. Murray punta il pitturato sia dal palleggio che senza, perché da lì si sente sicuro nella conclusione e soprattutto del fatto che, male che vada, ha un vantaggio di misure su buona parte degli avversari in caso di rimbalzo offensivo. Ad aggiungere ulteriore valore alle sue doti di rimbalzista d’attacco, anche quando passa la palla Murray non rimane fermo su un lato, ma si muove continuamente rimanendo in visione del canestro per poter poi buttarsi sul pallone.

Ormai sta diventando un’azione comune per gli Spurs che, quando Aldridge riceve entro i 5 metri dal canestro, ecco che le rotazioni dei compagni portano Murray a posizionarsi sotto canestro invece di rimanere fuori dall’area.

Dopo l’ennesima partita con più di 10 rimbalzi, davanti ai microfoni a Gregg Popovich è scappata la battuta,dicendo che forse Murray sta studiando i video di Russell Westbrook. Murray ha una percentuale di rimbalzo offensivo del 7%, la quarta migliore del roster dopo Jeoffrey Lauvergne con 13%, Aldridge con il 10.8% e Pau Gasol con il 7.8%. A differenza di loro tre però ovviamente lui non è un lungo e non dovrebbe quindi avere questa facilità nel trovare il pallone sotto il canestro avversario. Per contestualizzare la cosa, basta dire che Westbrook è il primo portatore con la più alta percentuale di rimbalzi totali con il 15.3%, con Murray che è secondo con 14.6%, ma se si considerano solo i rimbalzi offensivi Westbrook ha una percentuale del 5.6%. Quindi Dejounte Murray è una macchina da rimbalzi offensivi che non ha eguali (per dire, il secondo in classifica Ben Simmons - una guardia tutta sui generis - ha chiuso con il 5.9%). L’utilizzo della percentuale di rimbalzo è utile proprio per inquadrare le effettive capacità di Murray di andare a rimbalzo oltre il numero effettivo sul tabellino a fine gara, che in questa fase della carriera non è neanche così importante. Al momento Murray è un progetto di grande giocatore e questo significa che vanno capite le sue tendenze più che le sue cifre, e quindi è più interessante scoprire dove gli Spurs lo stanno indirizzando più che l’apporto numerico partita per partita. Per quello ci sarà tempo dopo almeno un’altra stagione da titolare con alto minutaggio.

I rimbalzi offensivi sono chiaramente il modo con cui Murray incanala la sua esuberanza in campo, la sua voglia di aiutare la squadra sempre e comunque e soprattutto giustifica la sua utilità offensiva nonostante i suoi problemi al tiro. È molto interessante come questa tendenza sia emersa proprio nella stagione in cui gli viene chiesto di gestire molti più possessi offensivi, come a significare che Murray sia un giocatore ancora da ripulire del tutto, ma ogni volta che si strofina bene si trova una sfaccettatura del suo gioco nella quale è migliorato. Questo non deve far dimenticare come Murray fosse già chiaramente un ottimo rimbalzista la scorsa stagione guardando quelli difensivi. In questa però è letteralmente esploso (passato dal 12.4% al 22.4% in pochi mesi), e in generale ha proprio raddoppiato la sua percentuali di rimbalzi totali (da 7.4% al 14.6% già nominato).

I rimbalzi difensivi e soprattutto la capacità di attaccare in transizione dopo di essi (che siano presi in prima persona o subito dopo l’apertura del lungo) è stata la chiave di volta per sfruttare la tendenza alla transizione di Murray, forse il punto più evidente di contatto con la prima versione di Tony Parker. Rispetto a Parker c’è da dire che Murray ha meno eleganza in campo, decisamente meno stile (come non potrebbe essere per chi porta un tatuaggio sulla spalla destra che assomiglia ad un tentativo di disegnare una Tartaruga Ninja arrabbiata, che secondo Murray rappresenta una faccia cattiva), ma non meno margini di miglioramento. Murray è soprannominato “Baby Boy” dai suoi anni nei campetti di Seattle, un soprannome che ora torna utile perché in fondo Murray è un po’ il volto nuovo degli Spurs, una franchigia che sta per attraversare un momento storico in cui si dovrà capire in quale direzione andrà il progetto nei prossimi anni. Qualsiasi direzione prenda il progetto, però, Murray sembra poter esserne una delle poche certezze.