Il rimbalzista di Cleveland dice la sua su LeBron James ("Non c'è un'altra superstar così altruista in tutta la NBA"), parla della sfida sotto canestro con Draymond Green ("Lui sa cosa so fare io, io so cosa sa fare lui") e non si risparmia una frecciatina agli "Hamptons 5"
OAKLAND, CALIFORNIA — Tristan Thompson conosce l’atmosfera di una finale NBA, ma proprio perché l’ha già vissuta sa anche che essere arrivati a giocarsi l’anello per il quarto anno di fila — dopo una stagione sulle montagne russe, sia di squadra che dal punto di vista personale — è quasi un mezzo miracolo. “Gli scambi, gli infortuni, tutte le cose che ci sono successe hanno reso quest’annata davvero unica, particolare. Fa parte del viaggio, del processo che bisogna superare per arrivare in fondo, ma sono felice di essere tornato in finale NBA”. Di fronte gli avversari di sempre, i Golden State Warriors, per Thompson una sfida dal tono familiare: “Molti dei loro giocatori c’erano già in passato, nelle tre finali in cui li abbiamo sfidati, da Draymond Green a Steph Curry, ma anche Klay Thompson — con l’aggiunta poi di Kevin Durant l’anno scorso, sicuramente importantissima. Sappiamo cosa dobbiamo aspettarci da loro, mentre noi abbiamo due-tre novità a roster: sarà divertente affrontarci ancora in campo, a partire da domani”. Meno divertente, per l’ala dei Cavs, l’inizio dei playoff: solo 23 minuti in campo nelle prime sei gare di primo turno contro Indiana, prima di rientrare nelle rotazioni di coach Lue e riprendersi il ruolo di sempre: “Bisogna saper aspettare l’opportunità giusta, i playoff sono lunghi, mi sono fatto trovare pronto quando coach Lue ha deciso di puntare su di me e a partire da gara-7 contro i Pacers son tornato a fare quello che so di poter fare in campo e quello che so di dover fare per aiutare la mia squadra: essere me stesso, giocare come so, fare tutto quello che mi ha portato fino a questo livello, ciò che i miei compagni e l’intera lega si aspettino che io faccia. Non ho dovuto far altro che fare il mio lavoro, è semplice”. Ora, con lo spettro dell’assenza di Kevin Love almeno in gara-1 (ancora alle prese con il protocollo imposto dalla lega in seguito ai colpi subiti in testa), a Thompson viene chiesto forse ancora di più: “Se Kev[in] dovesse non farcela noi dobbiamo farci trovare pronti. Questa squadra ha già dimostrato di poter superare infortuni e avversità: se Kevin non dovesse esserci sono sicuro che Jeff [Green] o chiunque coach Lue decidesse di mettere in campo sarà pronto a fare la sua parte, mentre se Kevin potrà essere della gara sarà bello riaccogliere il nostro All-Star, un elemento importante della nostra squadra”.
“Non so chi siano gli Hamptons 5”
Con Love (se in campo), Thompson potrebbe formare un frontcourt che poi avrebbe vantaggi e svantaggi contro eventuali quintetti piccoli degli Warriors, anche se l’assenza di Iguodala dovrebbe spingere coach Kerr a partire con un lungo in più — che sia Kevon Looney (2.05) o uno dei tanti centri del comitato di Golden State (Pachulia, McGee, Bell). “Alla fine non importa chi è in campo, sappiamo cosa sono in grado di fare — soprattutto con Kevin [Durant] in campo — sia se scelgono di andare col quintetto basso o schierando i loro lunghi. Non so neppure chi siano gli Hamptons 5 — mente, sapendo di mentire Thompson [il quintetto Curry, Thompson, Durant, Iguodala, Green, ndr] — noi saremo pronti ad affrontare qualsiasi quintetto metteranno in campo”. Anche con l’assetto piccolo, però, Golden State è saldamente al secondo posto per percentuale di rimbalzo nei playoff, ma il n°13 dei Cavs — che in materia è un’autorità — sa quello che bisogna fare: “Tagliafuori. Loro tirano molto da tre, per cui spesso i rimbalzi sono lunghi e possono riguardare anche le nostre guardie: andare a rimbalzo deve diventare l’obiettivo di tutti, non solo dei lunghi”. Thompson in particolare se la dovrà vedere contro Draymond Green, in uno dei matchup più gustosi della sfida tra Warriors e Cavs: “Ci siamo affrontati per quattro anni in fila, non c’è niente di nuovo, lui sa quello che so fare io e io so quello che sa fare lui. Non resta che scendere in campo e vedere chi vuole di più la vittoria”. Thompson e Green, così come tanti altri interpreti delle due squadre, sono due esempi perfetti di giocatori dinamici e versatili, adatti al gioco moderno fatto di continui cambi e grande duttilità. “è un fattore importantissimo — concorda l’ala di Cleveland — l’avere giocatori capaci di marcare ruoli diversi sarà fondamentale perché le due squadre faranno molti incroci di marcatura e chi saprà adattarsi meglio avrà grandi vantaggi”.
“LeBron la superstar più altruista di tutte”
Un vantaggio per i Cavs, almeno in gara-1, sarà l’assenza di Andre Iguodala: “Un giocatore importantissimo per loro, ma gli Warriors sono una squadra piena di talento, anche senza Andre”, afferma Thompson. “Non possiamo prenderli alla leggere, dobbiamo comunque essere pronti a giocare al massimo”. Affidandosi — come fatto fin qui in questi playoff per lui leggendari — al n°23, LeBron James, che il lungo dei Cavs conosce molto bene. “Quello che lo rende speciale è il fatto di dedicarsi completamente alla sua squadra. LeBron non ha neppure un briciolo di egoismo nel suo gioco, fa sempre tutto ciò che può per trascinare alla vittoria la sua squadra ed è difficile trovare una qualità del genere soprattutto tra le superstar di questa lega. Lui in campo dà tutto, sempre, e si dedica al 100% alla sua squadra”. Con LeBron o senza, però, Thompson e i Cavs si preparano a gara-1 da sfavoriti, almeno a sentire le previsioni della vigilia. Il lungo di Cleveland sembra interessarsene poco: “Non mi importa quello che dicono: sono di nuovo in finale NBA, è la mia quarta volta, ho concluso più annate della mia carriera giocando per il titolo che non facendolo [4 contro 3, ndr] per cui va bene così: conta solo essere pronti a scendere in campo e giocarsela”. Golden State è avvisata.