Dopo anni di sfide playoff fatte di provocazioni, scontri e screzi (con James uscito sempre vincitore, almeno sul parquet), LeBron e Lance vestiranno la stessa maglia e frequenteranno lo stesso spogliatoio: "se non puoi batterlo, unisciti a lui" avrà pensato Stephenson
LeBron James contro Lance Stephenson è stata spesso una delle rivalità più improbabili che la NBA dell’ultimo decennio ha raccontato, in cui il vincitore alla fine è stato sempre lo stesso. Il più ovvio da pronosticare. Da una parte infatti c’era il più longevo e luminoso talento degli ultimi 15 anni, uno dei più grandi giocatori della storia NBA che continua a macinare record, riconoscimenti e traguardi. Dall’altra uno dei più irritanti, folli e ingestibili giocatori della Lega, uno di quelli che piazzano una super stoppata in recupero difensivo e iniziano a esultare, senza preoccuparsi poi che l’avversario nel frattempo ha raccolto nuovamente il pallone e segnato un facile lay-up alle sue spalle. L’obiettivo di Stephenson è sempre stato un altro, che andava ben oltre il mero risultato: l’assist no-look vale già il prezzo del biglietto, molto più di un’eventuale conversione in canestro da parte del compagno. Lance è stato chiamato ad assolvere questo compito dal lontano 2010, quando da metà aprile in poi è stato spesso e volentieri chiamato a vestire i panni dell’antidivo, come se non fosse già nella sua indole un ruolo del genere. Stephenson ha incarnato la riscossa di tutti gli haters, di quelli che hanno mal digerito James in questi ultimi anni e che in ogni screzio dell’ex giocatore dei Pacers hanno visto il gesto di sfida che loro stessi avrebbero voluto muovere verso LeBron. Il sogno di tanti è sempre stato quello che Davide potesse mettere al tappeto Golia. Mai però Stephenson è riuscito nell’impresa di buttarlo fuori dai playoff, nonostante i ripetuti tentativi e le battaglie psicologiche e mediatiche vinte. No, alla fine la scelta migliore è stata quella di prendere parte anche lui della corte del Re. A Los Angeles, ai piedi della collina di Hollywood dove tutto è possibile, sono pronti a raccontare questo ennesimo risvolto della storia. Senza dimenticare però tutte le puntate precedenti.
La “ribalta” del 2012: la provocazione dalla panchina in gara-3
Una rivalità che sembra risalire alla notte dei tempi e che vide per la prima volta balzare agli onori delle cronache Stephenson nel lontano 17 maggio 2012; serie di semifinale di Conference tra gli allora Miami Heat di James e i Pacers in cui il newyorchese ricopriva un ruolo marginale. Lance infatti in quella striscia di sei gare che portò poi al successo in rimonta della squadra della Florida restò sul parquet soltanto sette minuti in totale. Sufficienti però per farsi notare da LeBron mentre il n°6 degli Heat era in lunetta. Stephenson, in piedi davanti la panchina Pacers, iniziò a provocare James durante l’esecuzione di un tiro libero fischiato a seguito di un tecnico, sul finire del terzo quarto di una partita poi stravinta in casa dai Pacers che sembravano in controllo della serie. Dopo quel ko James e Wade furono costretti a dare il meglio di loro, lanciando poi la volata verso il primo titolo in carriera conquistato da LeBron. In quel momento però la situazione per l’ex giocatore dei Cavaliers era nerissima e Stephenson decise di cogliere la palla al balzo: Lance mimò ripetutamente il gesto del soffocamento, in un movimento prontamente colto dalle telecamere. La gara finì 95-74 in favore di Indiana, con la squadra che rientrata in spogliatoio dovette fare scudo a Stephenson per evitare l’ira dei vari Juwan Howard, Udonis Haslem e Chris Andersen; pronti a saltargli addosso e risolvere i conti a modo loro (come raccontato poi da Danny Granger in seguito). Quello però fu solo l’antipasto di quanto accadde 24 mesi dopo, quando Stephenson era diventato un punto di riferimento di quei Pacers, chiamati all’ultima grande sfida contro i Miami Heat del Re. Alle Finals andò come sempre LeBron, ma Lance ce la mise davvero tutta per fargli saltare i piani e i nervi.
La storica serie (dal punto di vista di Lance) del 2014
25 maggio 2014, gara-4. I Pacers, consapevoli di giocarsi una delle ultime opportunità a loro disposizione (quel roster poi iniziò a perdere inesorabilmente pezzi pregiati negli anni a venire), sono sotto 2-1 nella serie e Stephenson decide allora di alzare la tensione a 24 ore dalla sfida più importante della sua carriera: “Tranquilli, la serie sta per cambiare dopo che LeBron ha fatto del trash talking con me: è un chiaro segno di debolezza, visto che lui di solito non si comporta così. Io di solito provo sempre a mettere alle corde l’avversario dicendogli che gli entrerò sotto la pelle, che lo farò uscire di testa. E adesso lui prova a battermi con le mie stesse armi: questo vuol dire che sono io che sto facendo le cose nel modo giusto, che lo sto facendo impazzire”. Queste le parole scelte prima di quella delicata sfida, chiusa poi da Stephenson con nove punti a referto contro i 32, con dieci rimbalzi e cinque assist di LeBron. No, non aveva funzionato. Per quello quattro giorni dopo Lance decise di alzare la posta, consegnando al mondo una delle GIF più usate nella storia del web. Con un minuto e 43 secondi ancora da giocare nel terzo quarto, Lance vicino a James in marcatura decide di soffiargli nell’orecchio, facendo sorridere di stupore il Re e sublimando in un gesto di pochi attimi la sua innata capacità di risultare irritante e fastidioso su un campo di basket. James alla fine di quella partita rispose a chi gli chiedeva se gli fosse mai accaduto in precedenza: “Soffiarmi nell’orecchio? Beh, forse mia moglie. Io lo faccio spesso con lei. Quella ogni tanto è una tattica che uso per difendermi”. Qualche anno dopo Stephenson raccontò di aver pensato che quello potesse essere l’ultima tecnica per provare a frustrare (invano) James, che si portò a casa il quarto successo nella serie e per l’ennesima volta lo scalpo dei Pacers.
Gli screzi tra LeBron e Lance degli ultimi anni, fino a ieri
Dopo la sua esplosione nel 2014, Stephenson rifiutò un contratto da 44 milioni in cinque anni dei Pacers per accettarne 27 in tre stagioni offerti dagli Hornets. Da quel momento è iniziata un lungo giro tra le squadre della NBA che lo ha portato prima ai Clippers, per poi rimbalzare ai Grizzlies e infine ai Pelicans, che lo lasciarono libero nel febbraio del 2017. Un giocatore utile a molte squadre in quel momento, tra le quali anche ai Cavaliers che pensarono a lui: “Voglio soltanto vincere – sottolineò James, schivando le illazioni di chi lo immaginava in squadra con Lance -, questa è l’unica cosa che conta. Non ho problemi personali con nessuno”. Beh, alla fine Stephenson tornò ancora una volta ai Pacers e non perse occasione di sfidare il suo eterno rivale: un colpo proibito il 1 novembre 2017, beccandosi un fallo flagrant per il suo comportamento chiaramente oltre il consentito, oltre agli screzi del gennaio di quest’anno, al termine del quale James ha sottolineato: “Lance è un giocatore sporco, per lui parla la storia e io sono il primo che dovrebbe ricordarselo”. L’ultimo promemoria poi è arrivato ai playoff, nella prima combattuta serie vinta dai Cavaliers soltanto dopo sette gare. Un LeBron usurato arrivò addirittura a rispondere con una spinta per allontanarlo, beccandosi un tecnico mentre le squadre si dirigevano verso la panchina per un timeout. Dal prossimo anno però quella strada la percorreranno insieme, entrambi seguendo la stessa direzione. Un paradosso fino a ieri, passato quasi inosservato nella giornata che ha riscritto le gerarchie e gli equilibri della lega. “Non ci sono conti in sospeso tra i due”, hanno tenuto a sottolineare voci fatte filtrare dallo stesso LeBron: da domani gli eterni rivali penseranno a come fare la pace.