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Negli Stati Uniti votare non è così semplice: la NBA e la battaglia di registrazione alle liste elettorali

NBA

Le elezioni di metà mandato negli Stati Uniti hanno riportato a galla uno dei problemi più importanti del sistema elettorale americano: quello di garantire a tutti l’accesso alle urne. Una battaglia che anche l’NBA ha deciso di combattere in prima linea

LEBRON JAMES E IL SUPPORTO PER BETO O'ROURKE

LeBron James, Steph Curry, Gregg Popovich e Steve Kerr. Sono loro i volti principali che negli ultimi mesi hanno fatto sentire la loro voce riguardo questioni politiche e sociali, apertamente ostili nei confronti del presidente Donald Trump. Quelli che hanno deciso di non continuare a palleggiare in silenzio. E la tornata elettorale di metà mandato ha riportato al centro del dibattito – negli USA si vota ogni due anni il martedì successivo al primo lunedì di novembre - non solo opinioni per lo più distanti da quelle che muovono la politica governativa americana, ma soprattutto una questione spinosa del cavilloso sistema elettorale americano: la difficoltà dell’accesso al voto generata dai complicati regolamenti di iscrizione in tre quarti del Paese. “Non penso che ci sia molto di sbagliato nel dire che c’è stato un generale risveglio dal torpore politico nella Lega dopo il risultato delle ultime elezioni”. Robin Lopez non ha dubbi ed è uno dei tanti che negli ultimi mesi hanno deciso di far sentire la propria voce, combattendo una battaglia culturale fondamentale: convincere le persone a informarsi ed esprimere la loro preferenza. “Non lo faccio per avere un riconoscimento personale, né per farmi bello davanti ai miei colleghi o per dire che io sono la ragione del loro attivismo – racconta LeBron James - Ho deciso di parlare perché sono fatto così e questo è ciò che penso di dover fare. Spero che diventi una tendenza sempre più diffusa”. La stessa NBA nel frattempo ha abbracciato con entusiasmo la partnership con “RISE to Vote”, allestendo dei tavoli di registrazione alle liste elettorali sia alla Summer League di Las Vegas che a tutti gli eventi collaterali legati alle prime partite estive delle franchigie. Un vero e proprio coro unanime per provare a spingere le persone a iscriversi alle liste elettorali (operazione non sempre agevole in alcuni stati federali), a cui si sono uniti tra gli altri anche Kevin Durant, DeMarcus Cousins e Steve Nash che avevano allestito dei banchetti per agevole l’iscrizione alle liste elettorali ai loro eventi benefici nelle settimane scorse. Victor Oladipo ha parlato a un comizio di Joe Donnelly, candidato al senato in Indiana, mettendoci la faccia e chiedendo a gran voce alla popolazione afroamericana di non farsi scoraggiare dal machiavellico meccanismo di accesso alle urne.

Brogdon, il diritto al voto e il caso emblematico della Georgia

Malcolm Brogdon invece fa storia a sé, diventato rookie dell’anno nel 2017 per sostanziale assenza di competitor all’altezza e a suo agio nella vita tanto sui libri quanto sul parquet. Il giocatore dei Bucks è laureato in Scienze Politiche all’Università del Virginia, figlio di professoressa e vice-presidentessa di un college e abituato in famiglia a parlare di elezioni: “La politica è la strada attraverso cui si può cambiare il mondo. La nostra visione del mondo è diventata molto polarizzata nelle ultime due tornate elettorali”, sottolinea dopo aver specificato di aver scelto di registrarsi alle liste elettorali della Georgia. Una decisione figlia della particolare battaglia politica in atto per il posto di governatore tra il segretario di Stato Brian Kemp (repubblicano) e Stacey Abrams (democratica), impegnata nell’ambizioso tentativo di diventare la prima afro-americana nella storia degli Stati Uniti a ricoprire una carica così importante. La Georgia è uno dei 34 stati federali che richiedono l’iscrizione ai registri elettorali attraverso procedure spesso complicate che impediscono l’accesso alle urne. Argomento noto a Kemp, principale funzionario chiamato a sovraintendere alle elezioni alle quali si è presentato come candidato (compito affidato al segretario di Stato): la prassi prevedere che le domande di registrazione possano essere sospese anche a causa di un singolo trattino o di una virgola non coincidente tra quello presente nella richiesta e i nomi scritti nel registro pubblico, oppure per una firma che non assomiglia molto a quella rilasciata in comune in precedenza. Cavilli che spesso non dipendono neanche dagli elettori, ai quali occorre porre rimedio in un tempo prestabilito (40 giorni dalla notifica dell’avviso), pena l’esclusione dalle liste e l’impossibilità di accedere alle urne. Una piaga che impedisce a migliaia di persone di esprimere la propria preferenza: in Georgia sono oltre 53mila le richieste pendenti che rischiano di essere respinte e in oltre il 70% dei casi appartengono a elettori afroamericani.

Middleton e le difficoltà di accesso al voto in Wisconsin

Per questo battersi per una corretta educazione civica che permetta di potersi esprimere diventa fondamentale, come ha potuto constatare anche Khris Middleton, che per la prima volta ha deciso di iscriversi alle liste del Wisconsin. Dopo l’esperienza in Michigan (a Detroit, dove aveva giocato da rookie) e in South Carolina (dove è nato), per fare il cambio di stato federale al giocatore dei Bucks è stato chiesto di mostrare le ricevute del pagamento di due bollettini, oltre la suo indirizzo per effettuare la registrazione. Importante però è che sul documento che si presenta al seggio sia riportato il nuovo domicilio, così Middleton ha mostrato il passaporto, dato che la sua patente faceva ancora riferimento all’indirizzo in South Carolina. Un lusso – quello di avere un passaporto – che non tutti possono permettersi: “Mia madre e mio padre parlavano tutto il tempo di quanto fosse importanti muoversi con anticipo per iscriversi al proprio collegio elettorale – racconta il giocatore di Milwaukee – mi hanno sempre incoraggiato a interessarmi e scegliere consapevolmente per chi votare. È un diritto che c’è stato sottratto per troppo tempo”. Ostacoli che scoraggiano e limitano la partecipazione (il Wisconsin nel 2016 ha avuto la minor affluenza degli ultimi 16 anni anche a causa di questo meccanismo perverso), contro cui una Lega multietnica come l’NBA è stata chiamata più volte a esprimersi. Quasi il 74% dei giocatori sono afroamericani e di quella porzione di popolazione soltanto 56% ha deciso di recarsi alle urne alle ultime elezioni. Per questo Doc Rivers ha indossato più volte la spilla “Io sono un elettore”, messa in bella mostra sulla sua giacca: “Abbiamo perso la cognizione di quanto sia stato duro conquistare un diritto del genere, è una cosa che mi rattrista. Votare è qualcosa che bisogna fare: informarsi su come registrarsi e poi recarsi in massa alle urne”.