La superstar degli Warriors cerca di "sabotare" il prossimo mercato estivo dei Lakers. "Non è così scontato che una superstar voglia giocare al suo fianco: se hai certe caratteristiche non ha troppo senso". Sotto accusa anche il circo mediatico attorno al 23 gialloviola: "Non è colpa sua, ma di alcuni giornalisti/groupie che pendono dalle sue labbra per ogni parola"
LEBRON JAMES-SHOW NEL QUARTO QUARTO: SPURS BATTUTI
LEBRON JAMES E LA STANDING OVATION DI CLEVELAND AL SUO RITORNO
La stagione 2017-18 non ha ancora mandato in archivio i primi due mesi e già le discussioni sul mercato estivo dei free agent e sul futuro delle squadre NBA catalizza l’attenzione di tutti. Soprattutto se la squadra si chiama Los Angeles Lakers e se la sua superstar è LeBron James. A scatenare il dibattito le parole rilasciate a Bleacher Report da Kevin Durant (uno che ha provato sulla propria pelle che implicazioni ha cambiare squadra nel ruolo di superstar): l’ala degli Warriors ha messo in dubbio che la caccia alla seconda superstar da affiancare a “King” James in estate sia così semplice come molti pensano: “Dipende da che tipo di giocatore sei. Se sei un giocatore alla Kyle Korver, allora ha senso, perché uno come lui, che non è la prima opzione di un attacco, può soltanto beneficiare dal giocare al fianco di un giocatore che penetra e passa come LeBron e può liberarlo sul perimetro. Ma se sei un giocatore più giovane come Kawhi [Leonard], allora giocare al fianco di LeBron non ha troppo senso. A Kawhi piace avere il pallone tra le mani, controllare l’attacco, dettare i tempi di gioco con gli isolamenti in post-up: lui gioca così, e tanti giocatori giovani oggi hanno uno stile simile: a questo tipo di giocatori non serve un’altra presenza dominante”. Gli esempi portati da KD non finiscono qui: “Kevin Love e Chris Bosh hanno dovuto totalmente cambiare il loro stile di gioco per adattarsi a LeBron, che ha bisogno di avere al suo fianco gente che sa già come giocare e che sappiano tirare. Per dei giocatori giovani che stanno ancora sviluppando il proprio gioco è più difficile, perché lui esige spesso il pallone, chiede di avere il controllo dell’attacco per poi creare per tutti gli altri”. Tra i lati negativi di far parte della stessa squadra di “King” James, Durant poi mette l’accento anche sul circo mediatico che inevitabilmente viene a formarsi attorno all’ex Cavs e Heat, per la smaniosa attenzione che sempre circonda ogni sua parola e mossa. “L’attenzione è altissima, attorno a lui si muovono tutta una serie di adulatori, anche tra i giornalisti, che rendono la situazione un qualcosa che non ha più nulla a che vedere con la pallacanestro. L’ambiente finisce per essere tossico, capisco benissimo perché non tutti vogliano farne parte. Soprattutto quando questo genere di attenzione è costruita sul nulla. Sia chiaro, non è colpa di LeBron: è solo il risultato del fatto che ci sono tantissimi giornalisti/groupie che pendono dalle sue labbra per ogni singola parola. Dovrebbero togliersi dalle scatole e lasciarci giocare a basket”.
La replica di LeBron James
Parole di un certo peso, che ovviamente sono subito arrivate alle orecchie del diretto interessato. Dopo l’ennesima prestazione da 42 punti con 20 nell’ultimo quarto, decisivi per la vittoria dei suoi Lakers contro San Antonio, in tanti gli hanno chiesto cosa pensasse delle dichiarazioni del suo illustre collega (e avversario): “Mi piacerebbe vedere la trascrizione completa di quello che ha detto – la replica molto saggia del n°23 gialloviola – il contesto in cui gli sono state chieste certe cose, la situazione generale. Non voglio commentare finché non avrò il quadro completo, sarebbe stupido da parte mia. Sono un veterano”. Un veterano che negli anni ha imparato a gestire – a volte anche controllare – le dinamiche di comunicazione in un mondo fortemente condizionato dall’influenza dei social e dalla disintermediazione che tali piattaforme consentono. E che quindi non ha voluto cadere nella trappola di una sterile polemica a distanza con la superstar dei Golden State Warriors.
Da Kawhi Leonard a Kyle Lowry: cosa pensano gli altri giocatori
I casi di Chris Bosh e Kevin Love, due giocatori già All-Star e con status di superstar ben prima di unirsi a James (il primo a Miami, il secondo a Cleveland), è esemplare: oggi vengono ricordati come giocatori sicuramente importanti ma anche di complemento in quegli Heat e Cavs campioni NBA. È il rischio di essere oscurati dall’astro di LeBron James: “La sua presenza toglie ossigeno a tutto il resto”, ha dichiarato il vice presidente di una squadra della Eastern Conference. “È l’effetto-LeBron – conferma Kyle Lowry – perché un giocatore come lui ti mette e contemporaneamente ti toglie tantissima pressione. Lo sai che è così: se hai personalità e spalle larghe, puoi gestirlo”. Tra i tanti che trovano un senso nelle parole di Kevin Durant, si iscrivono due veterani come Trovor Ariza e Tyson Chandler, che sta vivendo l’esperienza di dividere il palcoscenico con il 23 proprio in questa stagione: “Se c’è LeBron, tutto ruota attorno a lui. Devi saperci coesistere, devi trovare il tuo ruolo all’interno di questo tipo di realtà. È un sacrificio, ma un sacrificio che sei disposto a fare pur di vincere”. Non tutti potrebbero essere d’accordo: “Qualcuno può pensare di poter arrivare al suo livello… e quindi vede una presenza ingombrante come quella di LeBron come un ostacolo al proprio sviluppo”, fa notare Rudy Gay. A volte le perplessità possono anche essere tecniche, come evidenziato proprio da Durant negli esempi (opposti) di Korver e Leonard: “Giocatori con caratteristiche simili a LeBron potrebbero non voler giocare assieme a qualcuno che in campo fa le stesse cose. Mi sembra normale allora che vogliano giocare altrove”. Per brillare di luce propria (come nel caso ad esempio di Kyrie Irving, con la scelta di lasciare Cleveland per Boston) o per garantirsi uno status da numero uno incontrastato. C’è chi, come Kawhi Leonard, già si sente a questo livello (“Cos’altro avrei da provare? Mi ha battuto un anno in finale, l’anno dopo l’ho battuto io. Ogni volta che lo incontro voglio provare a vincere, è questo il mio modo di mettermi alla prova”) ma altri che invece hanno forse scelto di snobbare Los Angeles come destinazione anche per costruirsi una legacy propria. Si spiegano allora anche così alcune scelte estive: Paul George che neppure concede un colloquio ai Lakers (e resta a OKC); Jimmy Butler che indica Nets, Clippers e Knicks – e non i gialloviola – tra le destinazioni preferite in uscita da Minnesota (per poi finire a Philadelphia); Kawhi Leonard stesso, a quanto si dice, amerebbe sì approdare a Los Angeles ma più sponda Clippers che Lakers. Per uno come Joel Embiid – che via social aveva provato a corteggiare “King” James – sembra quindi esserci tutta una serie di superstar che dando indirettamente ragione a Durant sembra preferire una vita lontana da LeBron James. E per i Lakers – con un tesoretto di oltre 40 milioni di dollari tenuto espressamente da parte per il prossimo shopping estivo (con Durant, Leonard e Butler tra i free agent potenzialmente disponibili) – questa potrebbe non essere una bella notizia.