I due rookie "meno noti" di Dallas arrivati quest'anno in Texas si sono messi in mostra nella sfida persa contro i Sixers: forze fresche in uscita dalla panchina che per una volta si sono prese a sorpresa il palcoscenico e le attenzioni di compagni e avversari
I SIXERS BATTONO DALLAS SENZA BUTLER, SIMMONS IN TRIPLA DOPPIA
Nonostante l’ennesima sconfitta in trasferta per Dallas (i Mavericks hanno vinto soltanto tre gare lontano dal Texas, lo stesso numero di successi raccolti da i Cavaliers, per intenderci), qualche buona notizia è arrivata in uscita dalla panchina. Dwight Powell lo aveva anticipato già nel pre-partita, quando qualche sparuto reporter si era avvicinato a Bryan Broekhoff; il rookie australiano dei Mavericks: “È facile per Ryan trovare ritmo - aveva commentato interrompendo le domande dei giornalisti rivolte al compagno - è come aprire un rubinetto e vengono fuori i canestri”. E così è stato, almeno contro i Sixers: 22 minuti in campo, chiusi con 6/8 al tiro, tre triple e un convincente +12 di plus/minus. Nonostante i complimenti del compagno però, è difficile per Broekhoff nascondere le inevitabili complicazioni che un tiratore è costretto ad affrontare, visto l’intermittente utilizzo sul parquet: “Il ritmo è la caratteristica principale da preservare in questo sport e tenerlo vivo anche quando non giochi è complicato. Questo è il motivo per cui lavoro di più in palestra, faccio delle sessioni di tiro simulando la partita, andando a tutta e tenendo il più possibile calda la mia mano. Mi preparo e aspetto che durante le gare venga fuori un minimo di spazio”. Un atteggiamento sottolineato anche da coach Carlisle: “È un grande professionista, so che sarà sempre pronto ogni volta che chiamo il suo nome. Non potrei chiedere di meglio, né pretendere un’etica del lavoro più profonda. È sempre in condizioni perfette, un giocatore NBA a tutti gli effetti. È riuscito a essere un valore aggiunto anche restando in campo per pochissimo tempo”. In attacco a dargli forza ci hanno pensato i canestri, mentre a protezione del ferro, nel flusso continuo di cambi difensivi, si è trovato a marcare anche Joel Embiid dall’alto dei suoi 200 centimetri (ben venti in meno rispetto al lungo camerunense): “Mi sono semplicemente piantato a terra, ho pregato un po’ e provato a sopravvivere contro di lui”.
Il passato in Europa e il sogno di trovare continuità e canestri in NBA
Breakhoff è uno dei tanti carneadi di una Lega che osserva, recluta e poi spesso scarica via un bel po’ di giocatori di talento. Il rookie australiano infatti ha un passato di tutto rispetto: ha giocato gli ultimi cinque anni in giro tra Turchia e Russia (Besiktas e Lokomotiv Kuban), prima di sbarcare in NBA e confrontarsi come spesso accade con un ridotto utilizzo. Almeno per i primi tempi, in cui bisogna sgomitare per conquistare minuti in rotazione: “Ovviamente io sono arrivato in NBA con la volontà di giocare e competere. So bene quanto sia importante avere un’opportunità: sfruttare le assenze e gli infortuni è fondamentale nella condizione in cui mi trovo. Il coaching staff e i miei compagni continuano a dimostrarmi grande fiducia, a darmi le giuste motivazioni per continuare a tirare. Questa sera alcune conclusioni sono andate dentro, è stata una sensazione che non provavo da un po’ di tempo”. Broekhoff in questa regular season è sceso in campo soltanto in 17 partite su 39 gare disputate dai Mavericks e prima di questa notte il suo massimo in carriera erano i nove punti messi a segno contro New Orleans a inizio dicembre: “Sto imparando: devo cercare di far combaciare al meglio il mio gioco con quello dei miei compagni, oltre a stare dietro al calendario pieno di impegni e ai tanti viaggi. In definitiva però mi sento molto a mio agio e credo di risultare competitivo a questo livello. Le opportunità vanno e vengono in questa Lega, ma quando ho qualche minuto a disposizione sento di poter fronteggiare chiunque”. Non male per un giocatore che sembra un impiegato di banca mentre indossa gli occhiali da vista e risponde alle domande a fine gara.
Brunson, il beniamino di casa a Philadelphia
A contendergli i riflettori e le attenzioni in una gara in cui coach Carlisle ha dovuto fare i conti con le assenze di Dirk Nowitzki (tenuto a riposo dopo la delusione di Boston – avendo mancato i due punti che lo avrebbero reso il giocatore dell’Ovest ad aver segnato di più sul parquet dei Celtics nella storia NBA), Devin Harris (problemi alla schiena) e J.J. Barea (fastidio alla caviglia), è stato Jalen Brunson; presenza molto più consistente nella rotazione dei Mavericks in questa prima parte di stagione rispetto a Broekhoff. La point guard mancina classe ’96 ha respirato per una sera l’aria di casa al Wells Fargo Center, a pochi chilometri da quella Villanova dove era stato protagonista al college fino allo scorso aprire. Fino alla conquista del secondo titolo NCAA raccolto nell’ultimo triennio, quando ha deciso di rendersi eleggibile al Draft, finendo imbottigliato in un roster pieno zeppo di talento giovane nella sua posizione. Brunson è stato premiato prima della palla a due dalla Philadelphia Sport Writers Association e davanti allo sguardo attento di papà Rick – anche lui giocatore NBA per un decennio, a cavallo degli anni ’90 e del 2000 con tanti cambi di maglia – ha disputato la sua miglior partita dell’anno. In 26 minuti trascorsi sul parquet ha messo a referto 13 punti con 14 tiri, distribuito otto assist e raccolto 11 rimbalzi (entrambi massimo in carriera). Una tripla doppia sfiorata che ben racconta le sue potenzialità: “È stato pazzesco il suo impatto in ogni zona del campo, evidentemente gli ha fatto bene l’aria di casa – sottolinea Carlisle – sono molto felice per lui”. Iniziare a condurre la squadra al successo in trasferta sarà il prossimo passo: con quelle vittorie, Dallas potrebbe seriamente pensare di competere per un posto ai playoff nella combattuta Western Conference. Magari senza sperare di ottenere sempre simil-triple doppie e grandi prestazioni al tiro da protagonisti a sorpresa.