Milwaukee ha il miglior record NBA, rilanciata a livello tecnico e motivazionale in questa regular season; Denver sta riscrivendo la storia della franchigia grazie ai giovani di talento sapientemente coccolati; Pacers, Clippers e altre invece stanno andando ben oltre ogni più rosea aspettativa: chi vincerà il premio di miglior allenatore dell'anno?
Mancano meno di dieci giorni alla fine della regular season ed è già tempo di bilanci, valutazioni su quello che questi oltre cinque mesi senza sosta hanno significato per le 30 squadre NBA. Un modo per disegnare un’ipotetica lista di vincitori e sconfitti, di premiare chi ha sorpreso, convinto o confermato le aspettative. Come nel caso della votazione per il miglior allenatore dell’anno, ben consapevoli che il destino di molti poi si scriverà sempre e comunque ai playoff. Coach Dwane Casey ad esempio, ultimo vincitore 12 mesi fa - a detta di molti secondo a Brad Stevens dei Celtics e a Quin Snyder dei Jazz - lo sa bene. Il premio, assegnato all’allenatore dei Raptors dopo le votazioni di metà aprile, fu reso noto e consegnato al diretto interessato soltanto a fine giugno. Peccato che nel frattempo Toronto avesse già provveduto a licenziarlo, dopo la disastrosa serie persa 4-0 contro Cleveland ai playoff. La speranza per i successori dell’attuale coach dei Pistons è quella di non ripercorrere le sue stesse orme (e fare la sua stessa fine). Ma Budenholzer, Malone, Rivers e tutti gli altri non baderanno di certo alla scaramanzia.
Mike Budenholzer, Milwaukee Bucks
L’ex storico assistente allenatore degli Spurs - al fianco di Gregg Popovich in panchina ha vinto quattro titoli NBA tra il 1997 e il 2013 - ha già ricevuto il riconoscimento nel 2015, quando con gli Atlanta Hawks conquistò un sorprendente primato nella Eastern Conference; un’impresa che è riuscito a replicare in questa prima annata alla guida dei Bucks. Il suo arrivo a Milwaukee è coinciso con un radicale cambio tecnico nell’interpretazione delle gare, in un roster che per diverse stagione aveva rimandato la definitiva consacrazione. Abbandonata in parte l’ossessiva ricerca dell’atletismo e di giocatori dalla grande dimensione fisica - Jabari Parker, Thon Maker, Michael Carter-Williams e altri, braccia lunga e spesso sovradimensionati per permettere continui cambi difensivi - Budenholzer ha puntato forte sul tiro da tre punti; la chiave per allargare il campo in attacco e lasciare spazio in area a Giannis Antetokounmpo. Il n°34 greco è definitivamente sbocciato sotto la sua guida, diventando uno dei migliori giocatori della Lega e un serio candidato al titolo di MVP. I Bucks sono il terzo attacco per produzione su 100 possessi (113.5, dietro soltanto a Golden State e Houston) e al primo posto per punti concessi (104.5, davanti a Utah, Indiana e tutte le altre). Nessuno ha fatto meglio di Milwaukee in questa stagione dunque - non soltanto a livello di vittorie: una serie candidata ad arrivare fino in fondo ai playoff, grazie anche al sapiente lavoro di coach Budenholzer.
Nate McMillan, Indiana Pacers
Qual è la miglior squadre NBA di cui non si sente mai parlare? Se questo fosse un premio, i Pacers lo avrebbero già vinto da settimane. Indiana infatti si è affermata come una delle “cinque sorelle” della Eastern Conference, nell’anno in cui tutte danno la caccia al trono lasciato vacante da LeBron James. E i Pacers sono riusciti a confermarsi sui livelli della scorsa stagione, nonostante abbiano perso per strada Victor Oladipo - unico All-Star del roster, giocatore più migliorato 12 mesi fa e a disposizione soltanto in 36 gare in una regular season da dimenticare per lui a causa degli infortuni. Indiana ha fatto di necessità virtù, affidandosi a un sorprendente Bojan Bogdanovic spesso decisivo come realizzatore e più in generale a un gruppo che ha saputo raccogliere in maniera diffusa le responsabilità e l’eredità lasciata da Oladipo. L’identità difensiva di Indiana resta sempre la stessa, la difesa: i Pacers sono terzi per punti concessi su 100 possessi (105.7), nonostante l’evidente calo di queste ultime settimane, in cui i limiti del roster stanno in parte venendo fuori: sette sconfitte nelle ultime nove gare, che hanno portato Indiana a lottare con Boston per il quarto posto e il conseguente vantaggio del fattore campo nella sfida playoff del primo turno contro i Celtics. Un lavoro enorme, saggiamente guidato da coach McMillan che lo scorso anno arrivò sesto nella corsa al premio. Questa volta potrebbe andare decisamente meglio.
Kenny Atkinson, Brooklyn Nets
È notizia di poche ore fa: la dirigenza dei Nets ha deciso di prolungare il contratto a Kenny Atkinson e al suo staff, grazie all’ottimo lavoro svolto con un gruppo che dopo anni di purgatorio sembra finalmente pronto a tornare ai playoff. Per conquistare un posto in post-season toccherà continuare a lottare fino all’ultimo, ma i risultati ottenuti in questi primi sei mesi a Brooklyn vanno già oggi ben oltre le aspettative. I Nets hanno rilanciato una stagione partita con il solito piede sbagliato, cambiando decisamente faccia dopo la sfida del 7 dicembre contro i Toronto Raptors: due mesi di rodaggio lasciati alle spalle, per fare spazio a una squadra che ha trovato solidità difensiva (da quella gara i Nets sono diventati l’ottava miglior difesa NBA) e un riferimento offensivo in D’Angelo Russell; meritatamente convocato per All-Star Game. Oltre all’ex Lakers, sono tanti i giocatori che stanno vivendo una stagione da massimo in carriera: Spencer Dinwiddie in uscita dalla panchina grazie agli oltre 17 punti di media; Caris LeVert nonostante l’infortunio che lo ha tenuto fuori a lungo; Joe Harris che si è affermato come miglior tiratore per percentuale dall’arco nella Lega; Jarrett Allen in crescita esponenziale rispetto al suo anno da rookie. Un lavoro che non va quantificato (soltanto) con l’aumento delle vittorie totali dunque e che potrebbe convincere più di uno a indicare Atkinson come miglior allenatore dell’anno.
Mike Malone, Denver Nuggets
In Colorado non vedevano da tempo così tante vittorie in regular season tutte assieme. La partenza a razzo dei Nuggets è stata a lungo da record per la franchigia, prima di tirare il fiato e rallentare in questo finale, che nulla toglie a una squadra giovane e divertente. Coach Mike Malone, alla guida di Denver da quattro anni, è il principale artefice di questo sviluppo: è stato lui a scegliere e responsabilizzare i vari Nikola Jokic, Jamal Murray, Gary Harris e altri. Giocatori NBA di primissimo livello, maturati però soltanto grazie alla fiducia e i consigli di un allenatore che spesso finisce nel dimenticatoio. Per la prima volta in carriera si è seduto sulla panchina dell’All-Star Game - battendo Steve Kerr e gli Warriors nel rush finale all’inizio di febbraio - e adesso insegue Golden State sperando di riuscire a strappare il vantaggio del fattore campo - che nel caso di Denver, vista l’altimetria, conta molto più che altrove. Il premio di allenatore dell’anno sarebbe una diretta conseguenza di tutto questo, per una squadra che in molti aspettano di misurare durante i playoff. C’è chi non crede che Jokic e compagni possano reggere una volta che la posta in palio diventi ben più elevata: essere sottovalutato in fondo è un tratto che viene fuori di frequente nella carriera di coach Malone. Anche questa volta toccherà a lui smentire i detrattori con i fatti.
Doc Rivers, L.A. Clippers
A quasi 20 anni dal primo e unico riconoscimento ricevuto in carriera alla guida degli Orlando Magic nel 2000, Doc Rivers continua a ripetere e sottolineare la straordinarietà dell’impresa compiuta alla guida dei Clippers quest’anno. Conquistare un posto ai playoff non è di certo una novità nella sua lunga e vincente carriera, ma farlo con un gruppo chiaramente sottovalutato a inizio stagione e indebolito dal mercato di febbraio, ha un sapore ben diverso dai traguardi raggiunti in passato. Mai premiato negli anni d’oro alla guida dei Celtics, Rivers ha rilanciato la squadra di Los Angeles nonostante la partenza di Tobias Harris meno di due mesi fa, in piena corsa per il quinto posto a Ovest e con in tasca una qualificazione da mostrare a chi non credeva nella sua squadra: “Dicevano che ne avremmo vinte soltanto 33…”, urlava nello spogliatoio dopo aver conquistato l’aritmetica certezza di prendere parte alla post-season, merito di un roster profondo e di una sapiente gestione di forze e risorse. Basta guardare alla stagione di Danilo Gallinari, l’emblema di come stia funzionando il sistema messo in piedi da Rivers. Cinquanta vittorie stagionali (o giù di lì) forse potrebbero sembrare poche per ricevere il premio di miglior allenatore dell’anno, ma in fondo con i Magic ne bastarono soltanto 41. Il peso dei successi non è soltanto una mera questione di numeri.