Se Kawhi Leonard è in grado di giocare 40 minuti a partita ai playoff anche con una gamba a mezzo servizio è per merito del grande lavoro del capo-trainer Alex McKechnie, "l’uomo più importante della franchigia canadese". E la fiducia nei suoi confronti potrebbe fare la differenza nella scelta di questa estate
Quando il 18 luglio dello scorso anno i Toronto Raptors hanno concluso lo scambio per prendere Kawhi Leonard, sul cellulare di Alex McKechnie è arrivato un messaggio dal contenuto tanto semplice quanto significativo: “Ora sei la persona più importante di tutta la franchigia”. Una pressione non da poco per il capo preparatore atletico dei Raptors, ma che sottolineava quanto fosse importante da quel momento in poi gestire le condizioni fisiche della superstar appena arrivata dai San Antonio Spurs. D’altronde anche Leonard era stato a suo modo molto chiaro: “Il mio obiettivo numero uno è la salute: avere una lunga carriera sana ed essere dominante ovunque io giochi”. Per quel motivo i Raptors hanno implementato da subito un piano molto chiaro per gestire i delicati muscoli di Leonard durante la regular season (ad esempio non schierandolo mai per due partite in due giorni) e, soprattutto, dimostrargli di avere a cuore i suoi interessi prima ancora di quelli della squadra. Il tutto nella speranza – che ha trovato sempre più forza – di convincerlo a rimanere in Canada anche in futuro quando arriverà il momento in cui diventerà free agent. E se i Raptors avranno una chance sarà anche per merito di McKechnie.
Chi è Alex McKechnie, il capo-trainer dei Raptors
Il suo lavoro è stato raccontato in un lungo pezzo di SportsNet Canada nel quale viene raccontata la storia di questo scozzese coi capelli bianchi che nel tempo è riuscito a conquistare la fiducia delle più grandi stelle mondiali. McKechnie, infatti, negli anni ’70 era un allenatore particolarmente duro coi suoi giocatori, come rivelato da Jay Triano, storico coach del basket canadese che lo ha avuto come coach (“E lo odiavamo tutti”, ha detto con un mezzo sorriso). Il nativo di Glasgow infatti era solito far fare avanti e indietro ai suoi giocatori a pancia a terra “fino a quando non ti sanguinavano i gomiti”, oppure metterli gli uni contro gli altri in gare di piegamenti, suicidi e tutto il repertorio degli allenatori “di una volta”. Già negli anni ’90 però McKechnie era cambiato, guadagnandosi la reputazione di terapista specializzato nell’area dell’addome e dell’inguine, lavorando sia con giocatori di hockey NHL che con la nazionale di calcio canadese. La svolta cestistica della sua carriera è arrivata nel 1998 quando da lui si è presentato nientemeno che Shaquille O’Neal, alle prese con strappi addominali che minacciavano addirittura la sua carriera. Per due estati consecutive “The Big Diesel” si è allenato con lui a Vancouver, un periodo che secondo lui senza mezzi termini “mi ha salvato la carriera”. “Ho visitato tre specialist: I primi due mi hanno detto che mi sarei dovuto operare, saltando l’intera stagione successiva. Il terzo, Alex, mi ha detto ‘Dovresti operarti, ma posso migliorare le aree attorno a dove hai il problema e potrai giocare. Basta solo che fai quello che ti dico ogni giorno e migliorerai sempre di più. Aveva ragione lui”.
La carriera coi Lakers e l’arrivo in Canada
Il lavoro con Shaq – che dal 2000 al 2002 ha vinto tre titoli di MVP consecutivi diventando uno dei giocatori più dominanti di sempre – gli è valso un posto nei Los Angeles Lakers come coordinatore delle performance atletiche, rimanendo nello staff per dieci stagioni e cinque anelli di campione NBA. Nel 2011, all’epoca del lockout, i gialloviola per risparmiare decisero di non rinnovare i contratti di tantissimi collaboratori, tra cui anche McKecnhie. Non appena si è liberato, Triano lo ha consigliato all’allora General Manager dei Raptors Brian Colangelo, che rimase estremamente sorpreso davanti alla possibilità di prendere un professionista di quel calibro per la franchigia canadese. Dal 2011 in poi il resto è storia, anche se il vero momento della verità per lui e per i Raptors arriverà, oltre che al termine di questa serie finale, quando Leonard prenderà la sua decisione da free agent.
La fiducia che Kawhi Leonard ha ripagato nei playoff
In ogni caso, i risultati di questa stagione ripagano già il lavoro fatto con Kawhi, che dopo essere trattato con i guanti di velluto durante la regular season – 22 partite saltate, quasi tutte per “load management”, e minutaggi sempre tenuti sotto controllo – dal secondo turno in poi ha mantenuto una media superiore ai 40 minuti in campo, giocando anche sul dolore (cosa che si era rifiutato di fare a San Antonio) pur di dare il suo contributo. “La decisione di saltare alcune partite non è solo per mantenermi riposato, ma anche per evitare il rischio di infortunarmi di nuovo” aveva detto Leonard lo scorso marzo. “Lo staff medico ha fatto un ottimo lavoro nel leggere i dati sul mio corpo e fare in modo che io migliorassi continuamente invece di peggiorare. Mi sento molto meglio di quando ho cominciato la stagione”. Guadagnarsi la sua fiducia – e anche quella degli altri Raptors, da Danny Green a Fred VanVleet che nel pezzo ne parlano in termini entusiastici – era un passo fondamentale per dare ai Raptors una chance non solo di vincere il titolo, ma anche di convincerlo a rimanere in futuro, anche perché proprio la mancanza di fiducia era stato il motivo principale dell’addio ai San Antonio Spurs. “Bisogna poter giocare per persone di cui ti fidi e che sappiano come ti senti” aveva rivelato Leonard elogiando il suo rapporto con lo staff medico. Se basterà per convincerlo è tutto da vedere, ma McKechnie e i Toronto Raptors hanno fatto tutto quello che era in loro potere per riuscirci.