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NBA, Rodman: “Io, MJ e Pippen il primo Big Three (e con i social sarei stato miliardario)"

NBA

Il vulcanico rimbalzista 5 volte campione NBA dice la sua sulla NBA di oggi: "Riconosco la grandezza dei Curry o dei LeBron ma mi rivedo solo in Draymond Green", dice. E spiega perché

LA REVIEW IN ANTEPRIMA DI "RODMAN: FOR BETTER OR WORSE"

In occasione del primo passaggio su ESPN del suo documentario “Rodman: for better or worse”, l’ala dei Pistons dei Bad Boys e poi dei Chicago Bulls imbattibili degli anni ’90 ha concesso a Bleacher Report un’intervista esclusiva che – oltre a commentare il lavoro del regista Todd Kapostasy – ha offerto spunti interessanti sulla NBA di ieri (la sua) e di oggi. Perché, hanno detto in tanti, pensate a cosa sarebbe stato Dennis Rodman se il fenomeno social network fosse stato già presente ai suoi tempi. “Sarei miliardario”, taglia corto “The Worm”, il Verme, soprannome nato per via della sua passione per il flipper. “Avrei davvero voluto che i social media, Instagram, TMZ e tutte quelle ca***ate fossero già realtà ai miei tempi. Sono stato il primo ad avere le telecamere dentro casa: tutta quella che oggi chiamano reality tv, io sono stato il primo. È per quello che MTV ha avuto l’idea del Rodman World Tour show: era il programma più popolare di tutta MTV al tempo. Se ho accettato di fare certe cose davanti alle telecamere allora, probabilmente lo rifarei anche oggi, con i social. E non lo facevo per soldi, non ho mai fatto nulla per soldi: volevo solo divertirmi, vivere la mia vita ed essere amato dalla gente”. Neppure la sua carriera NBA è stata influenzata dai contratti, seppur milionari. “In una delle interviste prima del Draft ho detto che avrei giocato per un dollaro a partita: non ho mai pensato a far soldi”. Ma i soldi poi sono arrivati, così come la gloria e le vittorie. Dopo i due titoli con i Pistons all’inizio della sua carriera, ne arrivano tre in fila con i Bulls di Michael Jordan e Scottie Pippen: “Abbiamo rimesso la NBA sulla mappa negli anni ‘90”, dice Rodman. “Io, Mike e Scottie abbiamo rivoluzionato il gioco. Oggi giocano tutti come giocavamo noi al tempo. E ora tutti parlano di Big Three. Solo adesso? Davvero? Non scherziamo. Noi siamo stati i Big Three. Noi siamo stati i Main Three (il terzetto principale). Abbiamo vinto e abbiamo vinto titoli dopo titoli, con costanza. L’unica ragione per cui non abbiamo vinto 4 titoli di fila è perché Mike ha chiesto X milioni di dollari e i Bulls non hanno voluto darglieli. Se n’è andato lui, me ne sono andato io, poi Scottie e Phil. Aspettavamo tutti la decisione di Michael, e così la nostra era ha visto la sua fine”, racconta il n°91 di quella indimenticabile Chicago.

“Oggi? Mi rivedo solo in Draymond Green”

Stimolato sulla NBA di oggi, Rodman riconosce la grandezza delle superstar – “gli Steph Curry, i LeBron James, quel tipo di giocatori” – ma nel cercare qualcuno da ammirare assume una prospettiva diversa: “I giocatori che mi piacciono di più sono quelli che devono avere il cuore per scendere in campo e fare qualsiasi cosa necessaria per vincere. È questo quello che guardo. Il giocatore che dice: ‘Voglio meritarmi i soldi che guadagno svolgendo al massimo il ruolo che mi chiedono di svolgere’. Non ne vedo tanti così oggi. Draymond Green è uno che assomiglia a questo identikit, ma a parte lui non ne vedo altri con la stessa passione, lo stesso amore per il gioco, quella spinta per cui giocano per il bisogno di giocare, non per i soldi o per la fame”. Un altro parallelo interessante è anche con quei giocatori che oggi – da Kevin Love a DeMar DeRozan – hanno rotto il tabù della superstar NBA per forza felice e contenta, senza problemi. “Io sono stato uno dei primi e uno dei pochi a far capire che anche i giocatori NBA sono umani, che il basket è un gioco, ma non è la tua vita, che fuori dal campo c’è qualcosa di più importante. Ho aperto la porta perché tanti altri atleti potessero far sentire la loro voce: non stavo cercando attenzioni per me, stavo cercando aiuto. Una volta era diverso, di queste cose non si parlava: se qualcuno si ammazzava, era solo un numero, una statistica. Non c’erano i numeri verdi anti-suicidio, non avevi nessuno da chiamare, non c’era tutta questa apertura che c’è oggi”. Il merito del cambiamento è anche di un personaggio sempre al limite come Dennis Rodman, che ha le idee chiare su come vuol essere ricordato: “Uno che ha sempre avuto a cuore la sorte di tutti, perché per me non era importante chi fossero o cosa avessero fatto. Oggi desidero solo che la gente si voglia bene, che ci sia compassione nei rapporti umani”.