Ospite negli studi di Sky Sport per registrare uno speciale con Flavio Tranquillo (prossimamente in onda su Sky Sport NBA e on demand), Dikembe Mutombo ha parlato in esclusiva per skysport.it: "Il gioco è cambiato perché nulla è mai fermo nella pallacanestro. Embiid e Siakam titolari all’All-Star Game sono una speranza per l’Africa. E mio figlio Ryan diventerà più alto di me"
Dikembe Mutombo è una leggenda che cammina. Te ne accorgi immediatamente, non appena esce da un ascensore troppo piccolo per contenere tutti i 218 centimetri della sua torreggiante figura. Ma basta stringergli la mano e guardarlo sorridere mentre dice «Piacere, Mutombo» per capire che possiede un’affabilità innata, quella che gli ha permesso di avere grande successo nel ruolo di Global Ambassador che la NBA ha pensato per lui dopo il suo ritiro arrivato nel 2009. “Mi hanno fatto pagare talmente tanti soldi di multe per il mio ‘ditone’ che poi sono stati costretti a darmi un lavoro per ridarmene almeno un po’!” dice con il suo classico vocione profondissimo che si scioglie immediatamente in una risata coinvolgente, mettendo a suo agio tutti quelli che lo circondano. Il veterano con 18 stagioni di NBA alle spalle è stato ospite negli studi di Sky Sport per registrare una lunga intervista in compagnia di Flavio Tranquillo che diventerà uno speciale sulla sua vita e sulla sua carriera, ma dopo aver risposto a oltre 30 minuti di domande — e senza risparmiare neanche un aneddoto — si è fermato per qualche altra battuta per il sito di Sky Sport.
Come è cambiato il gioco di oggi rispetto a quando giocavi tu?
“È sicuramente diverso. Oggi il centro è diventato un’ala piccola. Se non sai tirare da tre o comunque in sospensione, è difficile trovare un posto in campo perché le difese ti lasciano spazio e ti tolgono il corridoio per andare a canestro. Ma il gioco è cambiato: ora i giocatori hanno molta più libertà per mostrare quello che sanno fare. A guardarli da fuori mi viene da dire: ‘Davvero ti permettono di prenderti quel tiro?!’. Ma mi piace il gioco di oggi, ti costringe a migliorare e ad adattarti, e ai tifosi piace. Chissà che poi magari in futuro non tornino giocatori come me, Hakeem Olajuwon e Patrick Ewing a spostare il gioco nei pressi del ferro. Nulla è mai fermo nella pallacanestro”.
Se dovessi giocare oggi, tireresti da tre?
“Imparerei a farlo, di sicuro. Quando giocavo io nessuno dei miei allenatori mi ha mai dato il permesso di tirare: o schiacciavo, o tiravo in gancio, o chiudevo in sottomano. Se uscivo da queste tre opzioni, l’unico posto era la panchina. Nei miei 18 anni di carriera ho avuto la fortuna di tentarne almeno una, sbagliandola: chissà se avessi tentata un’altra segnandola, i miei allenatori avrebbero cambiato idea [ride, ndr]”.
Nel prossimo All-Star Game ci saranno due titolari che vengono dall’Africa come Joel Embiid e Pascal Siakam: quanto è importante per la crescita del gioco?
“Penso sia grandioso. Manda un messaggio molto chiaro ai nostri giovani: se avete un sogno e lo perseguite lavorando duro, può diventare realtà. La pallacanestro è aperta a tutti, il limite è il cielo: qualsiasi cosa tu voglia raggiungere nella vita è lì per te, quello che devi fare è avere disciplina. I nostri giovani hanno la tendenza a pensare di avere grandi sogni, ma non hanno la disciplina per raggiungerla. Ora c’è speranza nella vita dei giovani africani che accenderanno la televisione e vedranno due giocatori del Camerun titolari all’All-Star Game di Chicago”.
Cosa si può fare ancora per far crescere il gioco in Africa?
“L’unica cosa che manca al nostro continente sono gli investimenti. Dobbiamo investire sui nostri giovani e nelle infrastrutture. Tutti noi che siamo venuti dall’Africa abbiamo cominciato a giocare a pallacanestro piuttosto tardi: io stesso ho cominciato tardi, anche perché il campo più vicino era a un’ora e mezza di viaggio con taxi e bus. Se ci fossero più campi in giro per il continente, nessuno può prevedere che tipo di esplosione ci possa essere. E vi dirò una cosa: stiamo arrivando. Tra sei settimane comincerà la Basketball Africa League e tutti dovranno temere quello che saremo in grado di fare, che prodotto riusciremo a mettere in campo. Il futuro è radioso”.
Vedi una favorita per il titolo di quest’anno?
“Ci sono tante squadre, è difficile sceglierne solo una adesso. Milwaukee di sicuro ha grosse possibilità, così come i Lakers e i Clippers. Houston potrebbe averle, così come Miami che ha un super record in casa e nessuno se lo aspettava. Utah sta giocando benissimo, e non dimentichiamoci di Toronto perché sani sono difficili da battere. Aggiungiamoci anche Boston: sono in tante a potersela giocare, è questo il bello di questa stagione”.
Tuo figlio Ryan sta cominciando a farsi notare al liceo, ricevendo offerte anche da Georgetown e Georgia Tech. Che tipo di giocatore è?
“Mio figlio ha un grande futuro, è un ottimo ragazzo e ha solo 16 anni, perciò crescerà ancora. Ora è solo 2.11: penso che diventerà più alto di me, di sicuro è quello che vuole perché me lo ripete continuamente. Bisogna ringraziare sua madre che gli dà da mangiare ogni giorno e lo fa crescere [ride, ndr]. Sono molto contento per lui: lo seguo come assistente della sua squadra liceale, lo alleno personalmente per diverse ore ogni settimana anche se dice che grido troppo. Diventerà un lungo moderno, ma la parte di rimbalzi e di stoppate è quella di suo padre. Offensivamente però sarà molto più forte di me: lui sa già tirare da fuori, perciò state attenti anche a lui”.