In Evidenza
Tutte le sezioni
Altro

Per continuare la fruizione del contenuto ruota il dispositivo in posizione verticale

NBA, caso Flody, le toccanti parole di coach Dwane Casey: "54 anni fa, 54 anni dopo"

NBA
©Getty

"Cinquantaquattro anni fa - scrive l'allenatore di Detroit in un comunicato diffuso sul sito della squadra - ero un ragazzino di 8 anni che entrava indifeso nel mondo delle scuole desegregate del Kentucky. Cinquantaquattro anni dopo, mio figlio ha 8 anni: cosa è cambiato?"

CORONAVIRUS, TUTTI GLI AGGIORNAMENTI

Condividi:

A Minneapolis Dwane Casey ha iniziato la sua carriera di capo allenatore, due stagioni alla guida dei Timberwolves dal 2005 al 2007. Anche per questo forse l’allenatore dei Detroit Pistons ha voluto esprimere tutta la sua indignazione per l’omicidio di George Floyd con un comunicato ufficiale riportato sul sito della squadra del Michigan e poi ripreso da molti in rete: “Cinquantaquattro anni fa — scrive Casey — ero un ragazzino di otto anni che viveva nel Kentucky, quando venne posto fine alla segregazione razziale nelle scuole. Entrai in una scuola di bianchi dove era evidente che non mi volessero, dove non ero il benvenuto. Al tempo non c’erano cellulari che potessero testimoniare il trattamento che subii, non c’erano le news in tv 24 ore al giorno per 7 giorni alla settimana,  non c’erano i social media a registrare quanto accadeva e offrire sia supporto che condanna. Però io mi ricordo esattamente come mi sentivo, a otto anni. Mi sentivo indifeso. Mi sentivo come se nessuno mi vedesse, mi sentisse o mi capisse. Così, mentre guardo gli eventi seguiti all’omicidio di George Floyd a Minneapolis, una città dove ho allenato e che ho chiamato casa, continuo a vedere nelle persone quelle stesse sensazioni — gente indifesa, frustrata, invisibile agli occhi di tutti, arrabbiata”, scrive l’allenatore dei Pistons. “Capisco questa rabbia, perché la lista continua ad allungarsi: Ahmaud Arbery, Breonna Taylor, George Floyd. L’ingiustizia continua ad aumentare, niente sembra cambiare.
Cinquantaquattro anni dopo mio figlio oggi ha otto anni e se io guardo al mondo in cui sta crescendo mi chiedo: ‘Quanto è veramente cambiato? Quante volte viene giudicato dal suo aspetto? Sta crescendo in un mondo in cui può essere visto, ascoltato e capito? Si sente anche lui indifeso? Verrà trattato anche lui come George Floyd or Ahmaud Abrey? Cos’abbiamo fatto davvero in questi 54 anni per rendere il mondo un posto migliore di quello in cui sono cresciuto io? Dobbiamo essere migliori, dobbiamo comportarci meglio. Dobbiamo cambiare il modo in cui guardiamo noi stessi e gli altri. Dobbiamo lavorare assieme per trovare soluzioni che rendano giusto il sistema giudiziario. Neri, bianchi, gente di colore: dobbiamo tutti lavorare assieme per trovare le risposte. L’unico modo in cui possiamo fermare questi problemi sistemici che la gente di colore ha dovuto affrontare per tutta la vita è attraverso l’onestà e la trasparenza. Dobbiamo capire perché oggi la gente è al limite della sopportazione. Ci vuole empatia, nella sua forma più autentica. Ci vuole uno scarto culturale, un cambiamento: ci vogliono fatti, azioni. Mettiamo fine all’ingiustizia, ora. Non permettiamo che un’altra generazione debba continuare a vivere in un mondo dov’è trattata in maniera inuguale. Il momento di cambiare davvero tutto questo è adesso”.