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NBA, Silver ammette: "Se il numero di contagi dovesse aumentare potremmo doverci fermare"

NBA
©Getty

È una sorta di ultima opzione, quella riconosciuta anche dal commissioner NBA, che però rimane molto positivo sulle chance della NBA di portare a termine la propria stagione. "Orlando rimane la miglior scelta possibile. Nessun altro posto avrebbe comunque azzerato i rischi: col virus dobbiamo conviverci". E nel caso di positività singole non ha dubbi: "Si va avanti"

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Alla fine anche il commissioner NBA Adam Silver deve ammetterlo: “Se all’interno della nostra comunità [la bolla di Orlando, ndr] ci dovesse essere una diffusione significativa del virus, allora potremmo doverci fermare”. Una preoccupazione legittima, visto il numero dei casi in aumento in tutti gli Stati Uniti — “Sono 29 su 50 gli stati che hanno visto un incremento nei numeri di positivi”, e proprio in Florida il totale giornaliero ha toccato le 9.000 unità — ma anche una preoccupazione che non sembra togliere il sonno a Silver, convintissimo che la NBA stia facendo la scelta più giusta. Almeno date le circostanze. “Nessuna opzione ci avrebbe mai messo al riparo da tutti i rischi: ormai è chiaro che il virus non se ne andrà in fretta per cui dovremo imparare a conviverci, perché non c’è altra scelta”. Detto questo, continua il commissioner NBA, “siamo convinti che Orlando sia ancora la miglior opzione possibile: qui ci sentiamo al sicuro”. Vero, da quando la NBA ha scelto Disney World come sede per concludere la sua stagione, i casi in Florida sono aumentati notevolmente, “ma non potevamo predire il futuro. È comunque per questo che abbiamo organizzato una bolla, un sistema chiuso che — se non completamente impermeabile all’esterno [i lavoratori del complesso potranno entrare e uscire regolarmente, ndr] almeno ci assicura di poter essere isolati dalla realtà del territorio che ci ospita. E comunque — conclude il n°1 NBA — dovessimo riprendere una decisione oggi, sceglieremo comunque Orlando”. 

Cosa succede in caso di una (o più) positività

Silver poi è tornato a ribadire che un singolo giocatore positivo — “non importa che sia l’ultimo della panchina o un All-Star” — non fermerà il cammino della stagione NBA. “Il giocatore entrerà in quarantena, la squadra dovrà farne a meno per un periodo, proprio come succede nel caso di un infortunio durante una normale stagione. Ma il campionato non si fermerà, non per un singolo caso, non per un numero limitato di giocatori positivi”. Certo, le cose potrebbero cambiare nel caso il numero dovesse farsi importante: “Affronteremo questa situazione se e quando dovesse presentarsi, continuando a testare i giocatori e fidandoci dei protocolli medici che abbiamo delineato. In base a questi dati prenderemo le decisioni che dovremo prendere”. Un rischio, forse, ma inevitabile, necessario e forse calcolato. Solo così la NBA può pensare di concludere la sua stagione e incoronare una squadra campione per il 2020.