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Draft NBA, Deni Avdija, talento non USA più ambito: tanta esperienza, ma poco tiro

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Stefano Salerno

Un’ala versatile, un giocatore di talento e tra i più “esperti” in questo Draft: un ottimo passatore, costruttore di gioco e con una carriera di buon livello in Israele e in Eurolega alle spalle. Manca il jumper dal palleggio però, quello che potrebbe permettergli di fare il definitivo salto di qualità ed evitare il rischio di diventare il Mario Hezonja o il Dragan Bender del 2020

“Blown away”: due parole che nelle ultime ore si sono cucite addosso a un prospetto come Deni Avdija, il miglior giocatore non statunitense del prossimo Draft a cui molte squadre in Lottery guardano con particolare interesse. I Golden State Warriors, ad esempio, che con la loro seconda chiamata che nessuno vuole, potrebbero puntare proprio sul talento israeliano di passaporto - ma dal cuore e dal sangue serbo - dopo che all’incontro con lui avvenuto ad Atlanta sono rimasti positivamente stupiti dal sua determinazione, dal carattere oltre che dalle doti tecniche. “Blown away”: colpiti, impressionati, stupefatti. Suo padre Zufer ha giocato per la nazionale della Yugoslavia di pallacanestro nel 1982, prima di trasferirsi in Israele dove Deni è nato e cresciuto giocando a calcio fino a 10 anni. A quel punto in pochi avrebbero ipotizzato che sarebbe diventato nel giro di un lustro il giocatore più giovane a esordire con la maglia del Maccabi nel novembre del 2017. Tre lunghi anni d’esperienza che in un Draft pieno di giocatori immaturi e inesperti possono pesare. La sua versatilità e talento gli permettono di ambire a un posto in squadra da subito, soprattutto in contesti in cui non c’è la pressione o l’urgenza di vincere. A lui infatti servirà tempo per migliorare in diversi aspetti del gioco - di cui parleremo - ma al tempo stesso ha dimostrato di essere in grado di stare in campo, nonostante la fisicità ridotta (e quella non te la inventi) e grazie a un carattere certamente più navigato rispetto a chi in carriera ha giocato un decimo delle sue partite.

Punti di forza: duttilità, agonismo e il curriculum migliore degli altri

È una guardia nel corpo di un’ala, volendo anche di un giocatore che all’occorrenza con un particolare quintetto può giocare nei pressi del ferro. Doti di passatore naturale, un playmaker di 210 centimetri, che gioca il pick&roll sia da bloccante che con il pallone in mano. Sì, il 2020 e l’evoluzione della specie ci hanno portato fino a questo. Sa giocare bene sul lato debole, ha ottimi fondamentali e si conosce: riesce cioè a capire quali siano i suoi limiti, non forza la giocata, né tantomeno va a caccia di improbabili punti e canestri. Non è ossessionato dal suo rendimento personale, ma è un agonista che nella lotta a rimbalzo sa dire la sua non solo grazie ai centimetri. Gioca forte sin dalla palla a due - serbo, nell’accezione positiva - e inserito in un contesto di squadra, sa essere un difensore valido. Al Maccabi ha dimostrato in questi anni di sapersi far trovare trovare sempre al posto giusto, nel momento giusto; ha buone rotazioni dal lato debole, usa le mani, contesta linee di passaggio e palloni, sa leggere in anticipo cosa faranno gli altri. Se a detta di molti è il miglior prospetto della storia della pallacanestro israeliana, uno (o più) motivi dovranno pur esserci.

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I possibili punti deboli: se fosse un nuovo Mario Hezonja o Dragan Bender?

Di europei senza le doti necessarie, o quantomeno senza la giusta convinzione e capacità in NBA ne sono passati non pochi (e tutti con le stesse caratteristiche di Deni Avdija): lunghi con poca fisicità, tecnica sopraffina e una capacità volatile di dare continuità alle prestazioni. Smentire l’idea e il preconcetto lasciato dalle precedenti esperienze fatte con i vari Mario Hezonja e Dragan Bender - giocatori che non era decisamente da Lottery - potrebbe farlo scendere o quantomeno portare alcune franchigie a desistere. I suoi limiti infatti sono chiari e ben visibili a molti: prima di tutto, manca continuità al tiro. Avdija è un solido realizzatore al ferro, sa colpire dagli angoli (oltre il 40%), ma manca a livello di jumper. Le triple frontali e le conclusioni dalla media infatti sono pessime, sia per meccanica che per resa. Un’annotazione importante: non è un realizzatore, non è un giocatore da cui aspettarsi 20 punti di media, non riesce a reggere così tante responsabilità offensive, né tantomeno può proporsi come go-to-guy in situazioni di punteggio in equilibrio. Un indicatore importante per cogliere le qualità di tiratore restano i tiri liberi: il suo 53% a cronometro fermo preoccupa non poco, in vista di possibili margini di miglioramento. Per sua stessa ammissione poi non si sente a suo agio con la mano sinistra: a livello di rimo, a livello di scelte. Un giocatore insomma contro cui gli avversari potrebbero facilmente organizzare un piano partita per renderlo innocuo in attacco. Difetti di cui tener conto, ma al Draft è sempre così: chi vuole correre il rischio con lui?

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