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NBA, la voce potente dei campioni, il contributo dello sport al cambiamento

NBA

L’assalto al Campidoglio di Washington DC da parte dei sostenitori del presidente uscente Donald Trump ha scosso tutto il mondo, compreso quello dello sport. Ancora una volta la NBA è in prima linea nel voler contribuire al cambiamento. Clamorosa la decisione dei Bucks di Antetokounmpo di inginocchiarsi a partita iniziata, con la certezza di essere visti da tutti. Rimarcare la vicinanza a tutto ciò che accade nel mondo è la sfida che lo sport ha scelto di continuare ad affrontare

Ancora una volta lo sport decide di non voltare la testa. Ancora una volta i campioni NBA sono i primi a metterci la faccia, gli stessi che nel 2020 hanno promosso e spinto il movimento Black Lives Matter con grande orgoglio di Tommie Smith e John Carlos che invece pagarono per anni, ostracizzati e minacciati di morte, l’essere saliti scalzi sul podio di Città del Messico 1968 con il pugno chiuso e con il guanto nero, il più eclatante gesto di protesta mai avvenuto durante i Giochi Olimpici. Lo scorso 26 agosto i Milwaukee Bucks decisero di non scendere in campo, di non giocare gara-5 dei playoff contro gli Orlando Magic dopo l’ennesima violenza della polizia americana contro un afroamericano (Jacob Blake colpito con 7 pallottole alla schiena sparate da distanza ravvicinata mentre si recava, inoffensivo, nella sua auto). Boicottaggio o protesta, chiamatelo come volete la sostanza non cambia, un messaggio tanto potente da essere immediatamente condiviso da tutti i colleghi NBA e dai campioni di altri sport, ad iniziare dalla tennista Naomi Osaka

I giocatori dei Celtics in ginocchio all'inno sul campo dei Miami Heat - ©Getty

Per poco non si è arrivati a tanto la scorsa notte a Miami quando i giocatori dei Boston Celtics lasciano il campo durante il riscaldamento seguiti dagli Heat padroni di casa, l’idea è quella di non voler giocare per marcare la distanza rispetto a quanto sta accadendo per le strade di Washington. Per 45 minuti ne discutono negli spogliatoi, una riunione tra soli giocatori, decidendo di tornare sul parquet dell’American Airlines Arena quando mancano solo 2 minuti dalla palla a due: “Questa sera abbiamo deciso di scendere in campo per continuare a portare gioia nelle vite degli appassionati, ma non dobbiamo mai dimenticare che viviamo in un mondo dove l'ingiustizia sociale la fa da padrone e continueremo a usare la nostra voce affinché le cose possano cambiare", il comunicato congiunto dei Boston Celtics e dei Miami Heat che con il cuore pesante si inginocchiano durante l’inno.

Tutti nuovamente in ginocchio, sull'esempio di Kaepernick

A Milwaukee i Bucks dell’MVP Giannis Antetokounmpo vanno oltre. Fanno prima iniziare la partita e poi decidono di inginocchiarsi al primo possesso. Una mossa studiata per ottenere una migliore efficacia mediatica. Durante gli ultimi playoff capitava che alcune televisioni non inquadrassero i giocatori in ginocchio durante l’inno. Bucks e Pistons hanno voluto la certezza che fosse ben visibile a tutto il mondo la loro protesta contro l’enorme differenza di trattamento tra i protestanti dei mesi scorsi e quelli invece al Campidoglio, lasciati agire illegalmente.

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©Getty

Ecco è questo un altro punto fondamentale. Durante la diretta dell’assalto a Capitol Hill, quando il mondo intero seguiva con il fiato sospeso le immagini mai viste prima nella storia degli Stati Uniti, Bill Russell – 86enne leggenda NBA- con un tweet sottolineava la mancanza di una risposta energica da parte delle forze dell'ordine ai manifestanti per lo più bianchi: “Quanto tempo ci avrebbero messo a chiamare la Guardia Nazionale se i protestanti fossero stati di colore e quanti sarebbero morti?”.

Le reazioni NBA: le parole di Kawhi Lonard, Doc Rivers, Stece Kerr

Oltre ad essere stato un oltraggio alla democrazia americana quanto accaduto a Capitol Hill è stato quindi un altro esempio di disuguaglianza razziale? Ne è convinto Kawhi Leonard: “Quello che abbiamo visto è il privilegio in America”, assicura il due volte MVP del 2014 e 2019. “È triste perché se chiunque di noi fosse stato lì, sarebbe stato colpito col gas, col taser, forse ferito da armi da fuoco. Lo sapete?”. Dai giocatori agli allenatori nessuno resta estraneo a partire da Doc Rivers da sempre un paladino della questione razziale: “Quest’estate, quando ci sono state le proteste, si vedevano la polizia, la guardia nazionale e l’esercito. Ora guardi le immagini e non c’è niente di tutto questo. Sostanzialmente certifica che c’è una vita privilegiata e una no“, si chiede l’attuale capo allenatore dei Philadelphia 76ers. Non resta in silenzio nemmeno Steve Kerr coach dei Warriors, non lo ha mai fatto del resto. Da bianco privilegiato ha sempre sostenuto la causa dei diritti civili, non ha mai mancato di accusare Trump di falsità e istigazione alla violenza. “La verità conta nel nostro paese e ovunque, in qualsiasi circostanza a causa delle ripercussioni se permettiamo che le bugie si diffondano. E se permettiamo alle persone al potere di mentire, all'improvviso avrai milioni di persone che dubitano di un'elezione che è stata certificata in ogni stato”.

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La citazione di Martin Luther King

I campioni dei Boston Celtics Jaylen Brown e Jayson Tatum citano Martin Luther King: “Ci sono due Americhe divise. In una vieni ucciso se dormi nella tua macchina o vendi sigarette. Nell’altra puoi fare irruzione nel Congresso e non venire fermato, senza gas o arresti, niente del genere”. Il 2021 è un anno nuovo ma resta immutato l’impegno dello sport nel voler contribuire al cambiamento. La voce dei campioni, dentro o fuori un parquet o qualsiasi altro campo da gioco, resta potente. Rimarcare la vicinanza a tutto ciò che accade nel mondo è la sfida che lo sport ha scelto di continuare ad affrontare.