Il vecchio saggio dello spogliatoio degli Warriors usa un particolarissimo paragone nel discutere la conoscenza del gioco dei talenti appena arrivati nella lega: "Pensano di conoscere il gioco ma non è così, e questo è un problema. E come per i tossicodipendenti, il primo passo verso la guarigione è riconoscere e ammettere il problema"
Istintivo. Autentico. Passionale. Mai banale. Draymond Green è fatto così, è un giocatore emotivo dentro e fuori dal campo, nel bene e (qualche volta) nel male. Quel che è certo è che ha un dono: un’intelligenza cestistica - il famoso “basketball IQ” — di altissimo livello, una comprensione del gioco da primo della classe, capace di conquistare allenatori (Steve Kerr), compagni (Steph Curry) e avversari (LeBron James). Un’intelligenza che l’ala degli Warriors non ritrova sempre — o sarebbe meglio dire, quasi mai — nei giovani talenti appena sbarcati nella lega. “Prima ancora di imparare devi riconoscere di non sapere. È come per i tossicodipendenti: il primo passo verso la guarigione è ammettere di avere un problema, una dipendenza. Ecco, con i giocatori più giovani — le cosiddette Internet sensation — è la stessa cosa: pensano di conoscere la pallacanestro e invece non è così, e per arrivare a capire questo sport come prima cosa dovrebbe ammettere di non saperne davvero nulla. Ma non lo faranno mai, ed è per questo motivo che tante finiscono male”. Un’interpretazione tutta sua — da vecchio veterano dei parquet NBA — che forse però più di una matricola farebbe bene ad ascoltare.