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NBA, Gallinari: "Voto agli Hawks? Finora 6, manca chimica". E dice: "Farei la gara da tre"

ESCLUSIVA

Mauro Bevacqua

In esclusiva per Sky l'azzurro fa il punto sulla sua nuova avventura con gli Atlanta Hawks, la quinta squadra della sua carriera NBA. Una stagione iniziata con non poche difficoltà, di squadra (13-17 il record) e personali (gli infortuni): "Ma abbiamo abbastanza per vincere", dice Gallinari. Che poi commenta la stagione di Jazz e Sixers e dice la sua sull'All-Star Game in scena proprio nella "sua" Atlanta

Un inizio difficile, per la squadra e anche per sé: alla sua quinta avventura diversa in una nuova squadra — dopo Knicks, Nuggets, Clippers e Thunder — Danilo Gallinari ha dovuto saltare 12 delle prime 14 partite dei suoi Atlanta Hawks, e gli infortuni all’azzurro e a tanti altri giocatori chiave del roster di coach Lloyd Pierce hanno condizionato pesantemente l'avvio di stagione della squadra della Georgia, oggi soltanto 11^ nella Eastern Conference con 13 vittorie e 17 sconfitte dopo le prime 30 gare stagionali.

 

Gallinari, che voto dà a questi Hawks finora?

“Arriviamo alla sufficienza ma c’è tanto da fare: il nostro inizio è stato davvero così-così. Gli infortuni hanno influito molto, perché non abbiamo mai potuto giocare assieme. Anche quando piano piano recupereremo tutti i giocatori che sono fuori ora, poi, non torneranno assieme e quindi gli equilibri saranno da costruire e ricostruire mille volte. Detto questo, abbiamo abbastanza per poter vincere partite che invece abbiamo perso”.

Due gare perse contro New York, due contro Charlotte, un ko contro Cleveland: come se lo spiega?

“Un po’ di fatica all’inizio — con un gruppo nuovo come il nostro — si fa sempre, era successo anche l’anno scorso a Oklahoma City con i Thunder ma poi eravamo stati in grado di risalire la classifica. C’è tempo per farlo anche qui, sia chiaro, però dobbiamo tornare in fretta a vincere: infortuni e chimica mancante sono i nostri problemi più grandi al momento”.

Spesi 158 milioni di dollari nella offseason ma dei vari Rondo, Bogdanovic, Dunn e Gallinari lei è l’unico in campo: gli altri, tutti in infermeria [a cui si aggiunge De’Andre Hunter, ndr].

“Le difficoltà probabilmente arrivano proprio dal non poter avere quel gruppo di giocatori sui quali la società ha puntato nell’ultima offseason. Diventa difficile anche dare una valutazione a questo gruppo però resto convinto — come dicevo prima — che abbiamo comunque abbastanza per vincere”.

Quali sono le difficoltà maggiori di questi Hawks?

“A questo gruppo manca chimica, non è ancora arrivata ma mi aspetto che arrivi, col tempo e con il lavoro in palestra anche se con questo calendario ci alleniamo davvero pochissimo per cui diventa ancora più difficile. Dobbiamo usare le partite per migliorarci, è necessario che in ogni gara — che sia una vittoria o una sconfitta — si inizia a vedere un passo in avanti. Oggi quello che manca è proprio questo, la chimica — soprattutto offensivamente ma anche difensivamente”

Solo 20 vittorie lo scorso anno, 29 quello prima, 24 tre stagioni fa: si rischia che i giovani di questo gruppo abbiano sviluppato una certa abitudine alla sconfitta, con il rischio di creare una cultura perdente?

“È proprio questo il motivo per cui noi veterani siamo importanti — arrivo a dire fondamentali — per questo gruppo. Un mio compagno di squadra a New York diceva che perdere può diventare una malattia: quando un gruppo perde così tanto per così tanti anni serve qualcuno o qualcosa che cambi la mentalità e la cultura di squadra. È quello che dall’inizio stiamo cercando di portare in questo spogliatoio, ma non è facile, ci vuole tempo. Ci stiamo lavorando, ma non si cambia dal giorno alla notte”. 

La stagione di Gallinari fin qui: l’infortunio alla caviglia l’ha condizionata.

“Di rientro dall’infortunio inizialmente sono stato limitato a 15 minuti di impiego, poi 20, quindi 25 e ora 30. Adesso però fisicamente mi sento bene, la caviglia è a posto e presto non dovrei più avere nessun tipo di restrizione sul mio minutaggio”.

Uscire dalla panchina è una novità.

“Sì, per me è un ruolo nuovo ovviamente, a cui mi sto abituando perché è una situazione completamente diversa dal solito. Dal punto di vista dell’approccio e della preparazione alla partita non cambia nulla, ma il ruolo che mi viene chiesto è completamente diverso. Penso di dover ancora migliorare e di dovermici abituare, ma fa parte del piano e della strategia di questo gruppo: pian piano ce la farò. Devo trovare un’intesa sia con la second unit che entra in campo con me, sia con i titolari al loro rientro, se mi viene chiesto di restare in campo: e sono due gruppi completamente diverse che al momento hanno anche due chimiche assolutamente diverse”.

È passato da avere una point guard come Chris Paul a Oklahoma City a Trae Young qui ad Atlanta: che differenze ci sono?

“Sono due giocatori completamente diversi, sia a livello tecnico e tattico che per l’esperienza che portano in campo, che è fondamentale. Con Trae guardiamo molti video assieme, il confronto è continuo, ci parliamo molto per cercare di migliorare la nostra intesa”.

Philadelphia e Utah fanno corsa di testa a Est e Ovest: la sorprende?

“Non sono sorpreso che siano al vertice: sono prime ma anche se fossero state seconde o terze questo è il loro livello, la posizione a cui mi aspettavo di trovarle. Ora sono addirittura in testa e ci sta, può essere, siamo anche all’inizio della stagione, ma sono comunque squadre di quel calibro lì, costruite per vincere e squadre che fanno bene da tanti anni — soprattutto Utah — sfruttando un sistema ormai rodato. Conosco molto bene sia Doc Rivers, che mi ha allenato [ai Clippers, ndr] che Quin Snyder, con cui ho avuto modo spesso di parlare ed è un allenatore che ha avuto tante esperienze diverse in panchina, compreso quella europea [assistente di Ettore Messina a Mosca, ndr]: sono due ottimi coach, entrambe le loro squadre molto ben allenate. Sixers e Jazz stanno facendo molto bene ma me lo aspettavo,: in questo momento — se i primi hanno anche una individualità pazzesca come quella di Joel Embiid, che sta facendo una stagione incredibile — la miglior pallacanestro di sistema è quella di Utah”.

Il 7 marzo si disputa un All-Star Game diverso dal solito, anche contestato da alcuni giocatori.

“Capisco sia la posizione della NBA, che ha voluto questo All-Star Game, che quella di alcuni giocatori che hanno sostenuto che sarebbe stato meglio evitare, viste le circostanze straordinarie dovute alla pandemia. Dare un’opinione sinceramente è difficile”.

Si giocherà ad Atlanta, “in casa”: se dovessero invitarla alla gara da tre punti?

“Inviti finora non ne sono arrivati, anche perché quando non sei nei primi cinque NBA per percentuali dall’arco credo sia difficile che arrivino, ma è chiaro che per me sarebbe super avere un’altra opportunità di misurarmi con la gara del tiro da tre. L’ho fatta una volta, nel 2010, ma mi piacerebbe riprovarci: parteciperei molto volentieri”.