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NBA, Joe Harris in esclusiva: "Il mio idolo d'infanzia è Ray Allen, puntiamo al titolo"

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Non solo tiro da tre punti, ma anche tanto lavoro sul resto del suo gioco: dedizione e lavoro, sin da quando da bambino faceva il tifo per i Supersonics. Joe Harris - intervistato in esclusiva da Sky Sport - ci racconta i segreti del suo modo di stare in campo e del dilemma che affligge ogni realizzatore dall’arco come lui: qualità o quantità? Lui la pensa come Kyle Korver, con cui spesso si confronta (anche prima delle chiacchierate con i giornalisti)

Uno dei migliori tiratori dall’arco della lega, tassello fondamentale dei Brooklyn Nets che vanno a caccia del titolo NBA, nonostante il caso Kyrie Irving da gestire e un roster rivoluzionato in estate da dover amalgamare e sfruttare al meglio nei prossimi mesi. Queste le risposte di Joe Harris all’intervista esclusiva concessa a Sky Sport, parlando della sua infanzia a Seattle e della colazione con Kyle Korver - con cui spesso ragiona sulla miglior tipologia di tiri da prendere, su come fare selezione, cercando di aggiungere anche altri punti di forza al suo gioco.

 

Quanto è cambiato il gioco dal momento in cui sei arrivato in NBA?

“Abbiamo visto quante siano state l’evoluzioni in rapida successione: la più grande è certamente l’attenzione esponenziale che viene data al tiro da tre punti nelle ultime stagioni e in particolare al ritmo con cui si gioca. Negli ultimi sette anni, da quando sono nella lega, la velocità dei match continua a salire: basta pensare ai Phoenix Suns in cui ha giocato il mio coach Steve Nash, indicati da tutti come una squadra che correva e disponeva di un alto numero di possessi. Nella NBA di oggi sarebbero invece una delle più lente. Ormai il trend è chiaro: atletismo, un sacco di transizioni e soprattutto cinque giocatori in grado di colpire sul perimetro”.

 

Hai iniziato a giocare da piccolo a pallacanestro: quali sono stati i tuoi riferimenti?

“Sono cresciuto nello stato di Washington e per questo sono sempre stato un grande tifoso dei Seattle Supersonics: adoravo la loro squadra negli anni ’90, quella arrivata anche alle NBA Finals. Gary Payton, Shawn Kemp e tanti altri giocatori iconici, mentre quando sono diventato un po’ più grande il mio idolo era Ray Allen: è arrivato a Seattle nei primi anni 2000 e amavo il suo modo di giocare, la sua dedizione in campo e l’attenzione all’intera comunità”.

Quali sono gli obiettivi che ti poni a livello personale e con i Nets?

“Essere diventato il miglior realizzatore da tre punti della storia di Brooklyn per me significa molto, perché è un traguardo che racconta tutto il lavoro che ci ho messo per arrivare fino lì. Come dicevamo prima: sono stato fortunato, perché mi sono ritrovato in campo in un momento in cui c’è così tanta attenzione e spazio per il tiro dall’arco, ossia su quello che è il mio pezzo forte. A livello di obiettivi personali invece mi rendo conto che ciò a cui posso ambire dipende dai traguardi che riuscirò a raggiungere con la squadra: come organizzazione, qui a Brooklyn, sappiamo che il fine ultimo del nostro lavoro è vincere un titolo NBA.

 

Stai provando a rendere più completo il tuo gioco e a non dipendere solo dal tiro da tre punti?

“Sì, è una tendenza che sto cercando di avere già da qualche anno. Provare a non essere monodimensionale. So bene che la ragione per cui ho successo in NBA e che mi rende utile alla squadra è la mia capacità di tirare da tre punti, ma gli avversari ormai sono sempre più preparati a questo: cercano di portarmi lontano dall’arco, di mettermi in situazioni più difficili e io devo dimostrare di essere in grado di fare canestro in ogni caso. La mia è una reazione necessaria a ciò che la difesa mi concede, ma non voglio cambiare in modo radicale: la grande maggioranza delle mie conclusioni saranno sempre dall’arco, ma devo dimostrare di essere in grado di giocare dal palleggio, di attaccare il ferro, passare ai compagni”.

Quanto cambia il vostro gioco non avendo Kyrie Irving sul parquet?

“Abbiamo bisogno di tempo per adattare il nostro gioco: ci sono alcune certezze nel nostro roster, ma sono tanti i volti nuovi e le persone da integrare in squadra. Ci sono 10-11 giocatori arrivati in estate. Non possiamo pensare che basti un “click” per far andare bene le cose, trovare ritmo soprattutto in attacco: serve tempo e lavoro”.

 

Korver diceva di privilegiare la qualità delle conclusioni alla quantità: ti trova d’accordo il suo punto di vista?

“Mi fa piacere che tu mi faccia questa domanda perché è uno degli argomenti di cui abbiamo parlato oggi a colazione proprio con Kyle, presente al campo di allenamento. Penso che bisogna avere un approccio aggressivo se vuoi essere un tiratore efficace e spesso devi vedertela con questo dilemma: io sono dello stesso parere di Korver - mi trovo decisamente più a mio agio nel prendere tiri di qualità migliore, mantenendo un’alta efficenza, piuttosto che ragionare sotto l’aspetto del volume e del cercare la conclusione a ogni costo”.