"Le superstar devono scendere in campo il più possibile". Ultimamente è uno dei "mantra" recitati con più convinzione dal commissioner NBA, pronto però sempre ad aggiungere: "Ovviamente non spingeremo nessuno a giocare se infortunato". Ma è allo studio un cambio nel regolamento che imponga un numero di partite minime per essere eleggibili ai premi di fine stagione
Oggi un giocatore NBA deve disputare almeno il 70% delle partite previste dal calendario (58 in una stagione regolare da 82) per potersi qualificare per le classifiche finali nelle principali categorie statistiche (punti, rimbalzi, assist, stoppate, etc.). Non c'è però nessuna soglia minima, però, per poter correre al premio di MVP (o agli altri premi di fine stagione assegnati dalla NBA): un dettaglio regolamentare che potrebbe presto cambiare, almeno a sentire il commissioner della lega Adam Silver. "L'ho già detto: vogliamo che le nostre superstar siano in campo il più possibile. Per questo studieremo senza dubbio un numero minimo di partite da disputare in stagione per essere eleggibili per i premi di fine campionato. Non vogliamo spingere nessun giocatore a scendere in campo se infortunato, sia chiaro - aggiunge Silver - ma allo stesso tempo tutti dobbiamo capire che la nostra è una lega che fa entertainment e il pubblico paga aspettandosi di vedere i migliori giocatori in campo, se sono nelle condizioni di giocare.
Nella top 10 del premio di MVP 2021-22, ad esempio (premio vinto da Nikola Jokic) si va dalle 55 gare stagionali giocate da Kevin Durant (10°) alle 76 di Jayson Tatum (6°) e DeMar DeRozan (10°). Al termine della stagione 2016-17, Malcolm Brogdon vinse il titolo di matricola dell'anno (con 64 primi posti) ma Joel Embiid finì terzo (con 23 voti di primo posto, 10 in più del secondo Dario Saric, ma meno punti totali) nonostante avesse disputato soltanto 31 partite in tutta la stagione.