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NBA, Paolo Banchero e il suo futuro con la maglia dell'Italia: parla Riccardo Fois

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Mauro Bevacqua

©Getty

Già assistente allenatore di Ettore Messina a Eurobasket 2017, oggi Riccardo Fois per la federazione italiana ricopre l’incarico di coordinatore nella supervisione e nel monitoraggio dei prospetti italo-americani impegnati nei licei e nei college USA. Lui ha aperto la strada perché Paolo Banchero - allora soltanto 15enne - potesse ottenere il passaporto italiano. Lui - meglio di chiunque altro - può raccontare la sua parabola come giocatore e le vere chance di poterlo vedere in campo con la maglia azzurra

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Riccardo Fois non ha neppure 35 anni, è nello staff tecnico di Gianmarco Pozzecco con la nazionale italiana e oggi - dopo essere stato tra gli assistenti di Monty Williams ai Phoenix Suns nella stagione 2020-21, quella della finale NBA - ricopre lo stesso ruolo per coach Tommy Floyd sulla panchina degli Arizona Wildcats, una delle potenze del college basketball USA. Dopo il Draft NBA appena svoltosi al Barclays Center, però, il nome di Fois è tornato di grande attualità per il rapporto che il tecnico di Olbia ha, ormai da anni, con Paolo Banchero, la prima scelta assoluta degli Orlando Magic titolare (dal 2020) di un passaporto italiano che lo rende eleggibile per giocare con la maglia azzurra. Scenario che - anche ai microfoni di Sky proprio pochi giorni prima del Draft - Banchero ha ribadito con convinzione, e che ovviamente farebbe fare alla nazionale italiana un notevole balzo in avanti in termini di talento e ambizioni. Nessuno meglio di Fois può però raccontare gli intrecci - non certo nati oggi - tra Banchero e l'Italia, e questo è quello che ha detto in esclusiva a Sky.

I retroscena del lungo corteggiamento da parte della nazionale italiana

"Quando ho sentito per la prima volta parlare di lui io allenavo ancora a Gonzaga [sotto coach Mark Few, con Tommy Lloyd tra gli assistenti, ndr]. Il suo nome era uno di quelli che iniziava a girare, giocava al liceo a Seattle ed era ritenuto tra i più forti prospetti di tutto lo stato di Washington. Il figlio di coach Tommy Lloyd, Liam - buon giocatore, l'anno prossimo a Northern Arizona - faceva parte delle selezioni dei migliori talenti statali e la sua high school, Gonzaga Prep, prese parte a uno di questi tornei dove, in un'altra categoria, giocava anche Paolo, al tempo solo al secondo anno di liceo con O'Dea HS. Bancherò dominò quelle partite, giocò davvero alla grande, e Liam per primo mi disse di tenerlo d'occhio". Il primo contatto diretto con la famiglia avviene a Minneapolis, in occasione delle Final Four NCAA del marzo 2019: "Dopo averlo sentito un paio di volte soltanto telefonicamente, incontrai suo padre, Mario - racconta Fois - e iniziammo a intavolare una discussione seria sul poter far entrare Paolo nel giro della nazionale italiana". 

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"La differenza l'ha fatta il legame vero di Mario, il papà di Paolo, con l'Italia. In tanti in USA si definiscono italo-americani ma poi non hanno un vero legame con il nostro Paese. Per Mario non è così, forse anche per via dell'attività di suo nonno, il bisnonno di Paolo, che aveva questo negozio di carne [Mondo & Sons, ndr] dove anche lui aveva lavorato vendendo la carne. In quelle chiacchiere con Mario ho potuto percepire un legame forte, autentico col nostro Paese e mi ha sorpreso - racconta Fois - legame poi confermato dal fatto che poi il passaporto italiano lo hanno preso tutti, in famiglia, non solo Paolo". Tanto che Paolo - se non si fosse messa di mezzo la pandemia - avrebbe già esordito con la maglia azzurra: "Ricordo ancora una telefonata che ricevetti proprio da Mario, preoccupato che il virus potesse rovinare i piani che volevano il figlio unirsi alla squadra. 'No, tranquillo, vedrai che tutto andrà come da programmi', gli dissi. Non fui un gran profeta... Poi un'altra volta - nell'ottobre 2020 - era di nuovo pronto a scendere in campo per coach Sacchetti che lo aveva convocato per le sfide di qualificazione europee di Tallin, in Estonia. Quella volta fu una presunta positività in famiglia a consigliare a tutti di rimandare il viaggio: si era al picco dei contagi, ancora non c'erano i vaccini disponibili, ci sembrava scorretto giocare sulla pelle di un ragazzo di 17 anni, metterlo su un volo intercontinentale per farlo arrivare a Roma e poi magari scoprire una posività che avrebbe voluto dire isolamento e mille problemi supplementari". 

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Anche alla luce dell'esterma correttezza e trasparenza sempre dimostrate dalla federazione italiana, Fois non vuole preoccuparsi troppo per le sirene che ora - prima scelta assoluta al Draft NBA, dopo il passaggio a Duke - potrebbero allontanare Banchero da una maglia azzurra. "La presenza dell'opzione Team USA è l'elefante nella stanza, inutile girarci attorno: giocare con la nazionale USA è sicuramente un onore ma lo è altrettanto vestire la maglia azzurra, e la famiglia ha sempre dimostrato di aver apprezzato tutto quello che la federazione, dai vertici in giù, ha fatto per loro da anni. Io mi baso su quello che mi hanno sempre detto lui e suo padre, e non voglio perdere sonno sul resto: loro ci hanno sempre dimostrato di volere essere parte del progetto azzurro e noi facciamo affidamento su questo rapporto consolidato negli anni". Attenzione: non è certo - questo - un atteggiamento figlio di una certa ingenuità, perché Fois il mondo di USA Basketball può dire di conoscerlo bene: "Ci ho lavorato e le persone che oggi hanno in mano Team USA le conosco bene. Coach Steve Kerr è un alunno di Arizona, dove oggi io lavoro; tra i suoi assistenti ci sono sia Mark Few, che considero il mio mentore per gli anni che ho fatto sotto di lui a Gonzaga, che Monty Williams, che ho avuto come capo staff ai Suns nella mia esperienza NBA. Per cui la realtà di Team USA la conosco bene, e posso anche dire che non è tutta rose e fiori come uno è portato a immaginare". 

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Detto questo a Fois non sfugge certo che l'anno a Duke e la prima chiamata assoluta al Draft hanno ridefinito i contorni del fenomeno Banchero, ora assolutamente esploso. "Per questo - dice - dovremmo sederci nuovamente tutti attorno a un tavolo e ridefinire le 'regole dell'ingaggio', per quel che riguarda tutto ciò che come federazione italiana potremo mettergli a disposizione in termine di piattaforma comunicativa e di gestione dell'immagine. È normale che oggi le aspettative sue e di chi è attorno a lui su quella che può essere la carriera di Paolo siano cresciute". 

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Di una cosa però Fois non è sorpreso: la scelta degli Orlando Magici di farne la prima scelta assoluta all'ultimo Draft. "Avendo avuto la fortuna di vivere da dentro le dinamiche che portano alla scelta di un giocatore al Draft non sono sorpreso. Spesso quello che si legge e quella che è la realtà dei fatti sono spesso all'opposto: Paolo a me ha sempre dato un'idea di grande serietà, di grande forza mentale e di maturità, unita a una super etica dal lavoro, che poi sono le caratteristiche che cerchi a parità - più o meno - di doti fisiche, tecniche, atletiche. A quel livello la differenza la fa proprio la testa, e la capacità di gestire la pressione del mondo NBA". Se tecnicamente i (pochi) dubbi attorno al nome di Banchero si concentrano su un tiro non ancora micidiale, anche in questo caso Fois respinge ogni allarmismo: "La NBA è piena di esempi di giocatori che hanno migliorato radicalmente il loro tiro da fuori. In più se oggi guardi chi sono i giocatori più forti nella lega - al di là di qualche eccezione come Steph Curry e Devin Booker - la caratteristica comune a tutti è quella di sapersi costruire il proprio tiro e saper attaccare il ferro per creare canestri facili o generare falli. Penso a Giannis [Antetokounmpo], Embiid, Jokic, lo stesso Doncic, LeBron (anche se è migliorato come tiratore), Jimmy Butler: sono tutti tiratori non eccezionali, in alcuni casi addirittura mediocri, ma fenomenali nell'attaccare il ferro, capaci di arrivare in area e creare gioco - che sono proprio le caratteristiche di Paolo, unite a una grande forza mentale". E la difesa? "Da migliorare, certo, ma questo vale per tutti. I grandi prospetti che arrivano dal college o dall'Europa spesso in quei contesti sono così forti che non gli viene chiesto di difendere alla morte. Paolo però ha la fisicità necessaria per poter difendere ad alto livello: magari non diventerà mai Shane Battier, ma sono assolutamente convinto che possa essere un ottimo difensore NBA". 

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Un'ultima "paura" può essere quella collegata a un traguardo straordinario - la scelta alla n°1 dei Magic - che però portà con sé anche un carico di pressione che rischia di diventare un fardello in più da sopportare. "Forse sì, ma se fosse mio figlio - e Paolo lo considero un po' un mio figlioccio - sarei solo contento per questo traguardo. Dopo la chiamata dei Magic gli ho scritto: "Fantastico, festeggia la scelta, ma da questo momento in poi sei un giocatore NBA che non ha ancora segnato neppure un punto nella lega'". La mentalità dev'essere questa, ma Paolo Banchero lo sa bene.