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NBA, Kevin Durant e Steve Nash, cosa è andato storto: le possibili ragioni della rottura

la ricostruzione
©Getty

Durant ha chiesto al proprietario Nets come condizione per restare a Brooklyn il licenziamento di Steve Nash e del GM Sean Marks: perché si è arrivati al punto di non ritorno? Dopo essere stato promotore dell'arrivo del nuovo coach a New York nel 2020, la mancanza di risultati ha cambiato le cose: ma il non essere riusciti a vincere è davvero una colpa imputabile a Nash?

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Dopo sole due stagioni alla guida dei Nets, Steve Nash si ritrova dalla parte sbagliata di un ultimatum che in molti avevano già messo in conto negli ultimi 40 giorni, ma che pareva impensabile soltanto qualche mese fa. Durant ha criticato la direzione tecnica presa dalla squadra, sia a livello di coaching staff che dirigenziale, ma da mesi Brooklyn ha continuato a seguire anche le indicazioni date da KD, mettendo al centro il suo parere sia quando si è trattato di discutere di questioni tecniche che riguardo le scelte di mercato. Di fronte all’ennesimo cambio di rotta del n°7 dei Nets - che 12 mesi fa aveva deciso di legarsi a vita a Brooklyn, firmando un’estensione per quattro anni a quasi 200 milioni e accordandosi proprio con Sean Marks a riguardo - viene spontaneo chiedersi: perché non ha funzionato?

Kevin Durant e Steve Nash: cosa non è andato per il verso giusto

“La sua capacità di leggere il gioco, la sua conoscenza e il modo in cui comunica ci daranno una grossa mano, soprattutto nel far crescere i talenti in squadra: ogni volta che sono in palestra al suo fianco divento una spugna, cerco di carpire tutto da lui”: queste le parole con cui Durant aveva accolto Nash alla guida dei Nets nel 2020, promotore del suo arrivo a New York insieme a Kyrie Irving e felice di potersi confrontare con un due volte MVP. La luna di miele però è durata poco, soprattutto a causa dei risultati - che non sono arrivati - e dell’impossibilità di costruire qualcosa di duraturo: infortuni, COVID, stagioni slittate e mancati vaccini infatti hanno portato Durant e Irving a condividere il parquet soltanto per 44 partite in due anni e 17 volte nella passata stagione. Tutto per colpe e ragioni non imputabili a Nash, che nel frattempo prima ha visto il suo roster rivoluzionato dall’arrivo di James Harden e nel giro di 12 mesi o poco più è stato costretto a ripartire per l’ennesima volta da zero. Come sottolineato da diversi osservatori, al netto di teoriche lacune tecniche dovute all’inesperienza, cosa avrebbe potuto fare di più l’allenatore dei Nets?

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Giusto quindi, oltre che doveroso da parte della dirigenza Nets, l’essersi subito schierata dalla parte di Nash, a prescindere da come andranno le cose e da come Brooklyn riuscirà a gestire una situazione sempre più complicata. La domanda infatti ora è: come muoversi? Le tre squadre che restano le favorite per mettere le mani su Durant non sono ancora riuscite a fare un’offerta appropriata dal punto di vista dei Nets, che con il passare dei giorni vedono l’asset Durant perdere di valore. Al tempo stesso Brooklyn non ha alcuna intenzione di ottemperare alle richieste di un giocatore sempre più vicino all’addio, che ha indicato in tempi non sospetti in Miami e Phoenix le sue destinazioni preferite. Cosa attende la franchigia newyorchese nel dopo-Durant? L’idea è quella di avviare una fase di rebuilding del roster, nonostante restino poi da gestire altre due situazioni complicatissime come quella di Kyrie Irving - ormai in totale rottura con il resto del gruppo - e di Ben Simmons, che non mette piede in campo da un anno. Difficile imputare al solo Steve Nash una serie di problemi che sarebbero insormontabili o quasi per chiunque.

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