La 27^ stagione da capo allenatore di Gregg Popovich sulla panchina dei San Antonio Spurs inizia sotto il segno dell'ironia. Quella che sciorina quando ammette che di certo la sua squadra non può puntare all'anello e quella che sfodera nuovamente a chi gli chiede cosa lo spinga ancora ad andare avanti: "L'assegno che ricevo a fine mese"
La nuova stagione dei San Antonio Spurs non ha più nessun legame con le grandi firme degli Spurs del passato - non ci sono più i Duncan, i Parker, i Ginobili, ovvio - ma quel che forse è peggio a mancare più ancora dei nomi sono le ambizioni di alta classifica. Lo sa bene l'unico vero trait d'union tra i texani di ieri e quelli di oggi, l'eterno coach Popovich: "Forse non dovrei dirlo, ma lo dirò lo stesso: nessuno qui dovrebbe andare a Vegas col pensiero di scommettere su di noi come possibili campioni NBA". Un'ammissione tanto scontata quanto onesta che ha fatto divertire i giornalisti presenti al media day della squadra, ma che ha anche ricordato la realtà di una franchigia in ricostruzione, e non da oggi. "E cosa succede se invece lavorano tutti duro e si danno da fare?", ha continuato Popovich nel suo show. "No, con ogni probabilità non succederà nulla, non è abbastanza", ha ammesso col sorriso. "Ma non è questo il punto - ha aggiunto - e di vincere non me ne potrebbe interessare di meno. Perché il punto oggi è provare a sviluppare questo gruppo e assicurare a ogni giocatore che ne fa parte l'opportunità migliore per avere una carriera NBA lunga e di successo".
Come quella di Gregg Popovich, che alla domanda su cosa lo spinga ancora, a 73 anni, a restare ancora su una panchina NBA ha risposto come solo lui sa fare, con grande ironia: "L'assegno che mi consegnano a fine mese".