Sono passati più di quarant'anni dall'ultimo titolo vinto dai Sixers, e quasi altrettanti dal suo ritiro dal basket, ma per Julius Erving Philadelphia rimane la squadra del cuore. E ai microfoni di Sky Sport il leggendario Doctor J ha parlato di Joel Embiid e della bruciante sconfitta contro New York, della NBA di ieri e di oggi, senza tirarsi indietro nel pronostico su chi vincerà il titolo a giugno. E anche quanto al suo possibile erede sul parquet, Erving ha le idee piuttosto chiare
Nel vocabolario sportivo ci sono termini spesso un po’ abusati, e tra questi “leggenda” è forse uno dei più utilizzati. Esistono però atleti per cui quella definizione è persino riduttiva e Julius Erving, meglio conosciuto come Doctor J, è uno di questi. La sua carriera, spesa tra la pionieristica ABA e quindi l’NBA, è stata leggendaria, così come è passato alla storia il suo stile di gioco spettacolare, rivoluzionario e allo stesso tempo tremendamente concreto. Per quasi tutti i tifosi e gli appassionati, poi, il nome di Erving è legato indissolubilmente a quello dei Philadelphia 76ers. È stato infatti proprio Doctor J a regalare ai Sixers l’ultimo titolo NBA nell’ormai lontano 1983. La chiacchierata con Erving non poteva quindi che cominciare con la stretta attualità e con la dolorosa eliminazione della squadra che a distanza di ormai quasi quarant’anni dal ritiro rimane nel suo cuore.
Ovviamente devo chiederti qualcosa sulla sfida tra Sixers e Knicks e su gara-6 che l’ha chiusa. Come hai vissuto una serie così equilibrata? So che può essere un argomento doloroso per te, ma...
È molto doloroso! Mi fa pensare a quale tipo di stagione avrebbero avuto i Sixers con un Joel Embiid in buone condizioni e se non fosse rimasto fuori per due mesi a partire da febbraio. Era il capocannoniere della lega, ben avviato nel percorso verso un altro premio di MVP. Senza di lui la squadra ha dovuto cambiare molto, e penso che sia stata brava a sopravvivere durante la sua assenza. E quando è tornato i Sixers hanno vinto 9 partite di fila per chiudere la stagione regolare. E poi ai playoff hanno incontrato i Knicks, che sono un osso duro, e penso che i Sixers abbiano dimostrato tutto il loro valore e se la siano giocata alla pari, gara-6 compresa. Certo sono un po’ triste perché è un troppo tempo che a Philadelphia non si vince il titolo, circa quarant’anni anni, e a dire il vero per i Knicks ne sono passati addirittura cinquanta [ride NdA]. Eppure i Knicks vanno avanti e i Sixers si devono rimboccare le maniche e prepararsi per la prossima stagione.
Pensi che questa versione dei Sixers, costruita attorno a Joel Embiid e Tyrese Maxey, abbia ciò che serve per portare finalmente un altro titolo a Philadelphia?
Penso di sì. Penso che la seconda stagione con Nick Nurse in panchina sarà importante e Joel Embiid e Tyrese Maxey avranno un altro anno per conoscersi e giocare insieme. Penso che saranno importanti anche altri giocatori come Kelly Oubre Jr. o Tobias Harris, anche se non è sicuro che possa rimanere. E poi ci sono anche i ragazzi che escono dalla panchina e possono accendere le partite, sia in attacco che la difesa. Buddy Hield l’ha dimostrato in gara-6 segnando 17 punti. Certo, non è una cosa che può succedere a ogni partita, perché hai due stelle in squadra e molti tiri vanno a loro. Ad ogni modo la domanda è: chi sarà il terzo violino della squadra in grado di dare ogni volta il suo contributo? Perché tutte le grandi squadre sembrano averne uno. È quella la formula per vincere il titolo e i Sixers ci sono molto vicini. E credo che durante l’estate faranno le scelte giuste sul mercato per arrivare all’obiettivo.
I campioni di oggi e l'erede di Doctor J
Con i Sixers ormai fuori causa, devo chiederti: chi pensi la spunterà a Est e a Ovest e chi vincerà il titolo a giugno?
Ok, dico Denver, credo che realizzeranno un back-to-back. Hanno già dimostrato di avere le capacità per farlo, soprattutto nel modo in cui si sono sbarazzati dei Lakers al primo turno. Contro Minnesota non sarò facile, ma penso che i Nuggets arriveranno fino in fondo a Ovest. E poi, anche se mi pesa dirlo [ride NdA], i Celtics sono la squadra migliore a Est. Certo, ci possono sempre essere delle sorprese, e Indiana potrebbe essere una di queste, poi vedremo anche cosa succederà tra Cleveland e Orlando, ma Boston deve per forza uscire vincente dalla Eastern Conference.
Dicevi prima che sono passati quarant’anni dall’ultima volta che Philadelphia ha vinto il titolo, ma sono anche quarant’anni che sentiamo appiccicare l’etichetta di “nuovo Julius Erving” a diversi giocatori. Perciò sono curioso di sapere cosa pensi di una stella in grande ascesa come Anthony Edwards, che per certi versi mi ricorda il tuo stile di gioco così spettacolare. Come lo vedi e soprattutto pensi che possa diventare il giocatore simbolo della NBA?
Sei la prima persona che sento fare questo paragone. Ci sta, penso all'esplosività di Edwards, anche se lui gioca da guardia mentre io ero un’ala, quindi per quanto mi riguardava era tutta una questione di farmi avere la palla nella porzione di campo che preferivo, mentre lui può anche portare la palla e crearsi un tiro da solo. È un ottimo paragone, mi piace e mi piace anche Edwards. Penso che abbia grandi margini di crescita, e poi l’ho visto anche nel film che abbiamo girato insieme ad Adam Sandler [“Hustle” NdA], anche se non avevamo scene in cui comparivamo entrambi siamo stati entrambi parte dello stesso film. E in qualche modo lui sta seguendo le mie orme, ricalcando quanto ho fatto io al mio quarto o quinto anno da professionista recitando in “The Fish That Saved Pittsburgh” [film del 1979 distribuito in Italia con il titolo di “Basket Music” NdA]. Ed è anche un bravo attore, è stato veramente bravo in quel film ed è bravo anche in campo. Gioca dando sempre il massimo e sta dimostrando di avere anche doti di leadership, per cui tutta la NBA dovrà fare i conti con lui da qui in avanti.
Oltre a Anthony Edwards, c'è un giocatore in particolare che puoi definire come il tuo preferito in questo momento? Uno di quei giocatori che quando è in campo ti fa dire: devo guardare questa partita?
Si, gioca per Brooklyn, come si chiama... Mikal Bridges! Sì, ho quasi dimenticato il suo nome, perché i Nets non sono andati ai playoff e la loro seconda parte di stagione non è stata un granché. Durante la prima parte della regular season, però, l’ho incontrato e gliel’ho detto: sei tu il mio giocatore preferito, mi piace guardarti giocare. E lui era felice, per cui credo che adesso debba riscattarsi e farlo per me [ride NdA]. Poi mi pare che sia anche un ragazzo di Philadelphia ed è andato all’università a Villanova. Sì Mikal Bridges è un giocatore che mi piace veder giocare e spero che in molti lo guardino quando gioca.