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NBA, i Lakers sono tirchi o hanno meno risorse economiche degli avversari?

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©Getty

Il giornalista di Bleacher Report Eric Pincus ha scritto un articolo nel quale sottolinea la strana situazione dei Los Angeles Lakers, una delle squadre più famose del mondo ma allo stesso tempo con una proprietà che non ha il portafogli senza fondo di altre concorrenti. La recente offerta rifiutata da Dan Hurley è stata ritenuta piuttosto deludente, confermando ancora una volta la "frugalità" dei gialloviola nello spendere sullo staff

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L’offerta da 70 milioni di dollari in sei anni presentata dai Los Angeles Lakers a Dan Hurley potrà essere sembrata adeguata, considerando che avrebbe reso l’allenatore di UConn uno dei sei più pagati di tutta la NBA, ma all’indomani del rifiuto da parte di Hurley ha fatto riaffiorare qualche domanda. A porsele è il giornalista di Bleacher Report Eric Pincus, che in un articolo sul sito si chiede: ma i Lakers sono tirchi? La risposta che dà lui stesso, argomentando, è sia no che sì. Nel corso degli anni i Lakers hanno speso tanto nella costruzione del roster, specialmente per andare a prendere Anthony Davis (cedendo praticamente tutti gli asset a disposizione tra giocatori e scelte) e rinnovando sempre al massimo salariale le loro stelle, tanto che per il quarto anno consecutivo pagheranno la luxury tax. Storicamente i Lakers hanno sempre speso tanto per far felici i loro migliori giocatori, un motivo di vanto per la franchigia, e con ogni probabilità LeBron James alla soglia dei 40 anni rinnoverà con un triennale da oltre 160 milioni di dollari, non proprio un investimento da poco. Da questo punto di vista, non si può proprio dire che i Lakers vadano al risparmio, per quanto alcune decisioni del recente passato (come ad esempio lo scambio per prendere Russell Westbrook o il mancato rinnovo di Alex Caruso) si siano ritorte contro di loro.

Il "braccino corto" dei Lakers quando si parla di staff

È però anche vero che quando si parla dello staff, sia dirigenziale che in panchina, la storia è stata molto diversa. Tolta l’assunzione di Phil Jackson, per il quale non si è badato a spese, nel resto della loro storia i Lakers sono sempre andati al risparmio per quanto riguarda la dirigenza (anche a costo di perdere una leggenda come Jerry West) e la panchina. I 70 milioni di dollari proposti a Hurley infatti sono ben lontani da quanto ci si immaginava quando Adrian Wojnarowski di ESPN aveva prospettato un "contratto gigantesco" per il coach di UConn, tanto che alcuni avevano prospettato un’offerta in tripla cifra (100 milioni di dollari in 8 anni) che lo avrebbe reso l’allenatore con l’accordo più lungo in tutta la lega in termini di durata, oltre che vicino alla top-5 della NBA. Esattamente come nel 2019, quando i Lakers presentarono un’offerta considerata "deludente" per Tyronn Lue decidendo di virare invece su Frank Vogel, i gialloviola hanno dimostrato una certa ritrosia a investire fortemente sullo staff, considerato che hanno una delle dirigenze numericamente meno popolate della lega (ad esempio non hanno scout che girano gli USA per guardare partite NBA alla ricerca di giocatori da prendere tramite scambi).

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La proprietà dei Lakers ha le risorse per competere nella NBA di oggi?

I Lakers sono un caso pressoché unico in tutta la NBA di franchigia a "gestione familiare". La famiglia Buss nella figura del leggendario papà Jerry infatti ha fatto i soldi nel ramo immobiliare, ma una delle loro principali fonti di reddito sono proprio i Lakers, diventati nel tempo una delle squadre sportive più famose e riconoscibili del mondo. Ma i Buss, di per sé, non sono necessariamente ricchi in senso stretto, e non sono neanche lontanamente ricchi quanto il loro "vicino di casa" Steve Ballmer, uno degli 8 esseri umani più facoltosi del pianeta Terra secondo l’ultima classifica di Forbes con 126 miliardi di dollari di patrimonio. In una NBA in cui sempre di più sono i "nuovi miliardari" a dettare legge, i Lakers si trovano ad avere uno svantaggio competitivo per quanto riguarda la profondità delle tasche della proprietà, potendosi permettere molti meno "passi falsi" rispetto alla concorrenza. Giusto per fare un esempio recente: per i Lakers sarebbe stato difficile cacciare un allenatore dopo un solo anno come fatto da Mat Ishbia ai Phoenix Suns con Frank Vogel, motivo per cui Darvin Ham è stato allontanato solo quando la situazione si è fatta del tutto insostenibile.

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Spendere non significa vincere, almeno in NBA

Nella NBA, però, non sempre spendere più degli altri è garanzia di vittoria — anzi. Le regole del contratto collettivo puniscono le squadre che “spendono e spandono” limitando di molto la loro libertà di manovra sul mercato, cercando di mantenere il più equilibrato possibile il livello competitivo. Persino i Clippers di Ballmer stanno avendo difficoltà a concedere un max contract a cuor leggero a Paul George, così come Klay Thompson molto probabilmente non vedrà accontentate tutte le sue richieste dai Golden State Warriors. Le tre squadre che hanno speso di più in termini di monte salari quest’anno — Warriors, Suns e Clippers — non hanno superato il primo turno esattamente come i Lakers, sintomo che comunque spendere non significa vincere. E in ogni caso, se la proprietà dei Lakers dovesse decidere prima o poi di cedere la franchigia, ci sarebbe la fila fuori per assicurarsi l’acquisizione di un brand sportivo senza eguali in un mercato gigantesco come quello di Los Angeles, facendo “rientrare” i Buss di qualsiasi soldo speso in questi quasi 50 anni di proprietà della squadra acquisita nel lontano 1979. Farsi delle domande è lecito, insomma, ma la salute finanziaria dei gialloviola non è comunque in discussione.

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